Intervento di Claudio Grassi

Questo Cpn apre il nostro VI Congresso e la relazione del Segretario contiene le coordinate principali sulle quali si svilupperà la discussione tra di noi e nel Partito.

Come per le 15 tesi, anche rispetto a questa relazione ci sono cose convincenti, altre meno, alcune che non condivido.

Proprio per questo, al contrario di quanto è stato proposto già nella relazione, ritengo un errore proporre un congresso a mozioni e non a tesi emendabili. In questo modo, ben lungi dal risolvere i problemi di frammentazione interna (si ipotizzano addirittura 6 o 7 mozioni), si costringe chi ha opinioni diverse su singole questioni alla contrapposizione con testi complessivamente alternativi.

Spero vivamente – a mio parere nell’interesse del Partito e per realizzare un congresso che consenta contemporaneamente una dialettica politica interna e la ricerca della massima convergenza possibile – che questo Cpn decida diversamente.

In ogni caso, aldilà delle regole che decideremo, questa riunione è già una prima occasione di confronto.

Come è noto non ho mai avuto alcun dubbio, né sulla pericolosità del Governo Berlusconi, né sul fatto che era assolutamente necessario che il nostro Partito cercasse di costruire una intesa con tutte le altre forze di opposizione per cacciarlo il più presto possibile.

Affermo questa necessità da tempo, anche quando nel partito era molto impopolare farlo. Andavano per la maggiore altre tesi: “le due destre”, l’irriformabilità della CGIL, l’esaurimento dei margini di riformismo. I nostri interlocutori prioritari erano i disobbedienti e chi poneva il tema delle alleanze veniva spregiativamente definito frontista.

Qualcuno potrebbe dirmi: di cosa ti lamenti, incassa il risultato e avanti! Non posso farlo, non riesco a farlo, perché qui si passa, a mio giudizio, da un estremo all’altro: dall’impossibilità dell’accordo, all’accordo di Governo prima ancora di avere iniziato a discutere di contenuti.

Si stravolge una processualità che abbiamo sempre considerato contraddistinguere l’identità di Rifondazione comunista e cioè prima i contenuti poi gli schieramenti, prima i programmi poi le persone.

Si può anche banalizzare la richiesta che io e altri compagni abbiamo avanzato di porre alcuni punti programmatici decisivi senza i quali non ci sarebbero le condizioni per entrare nel Governo, sta di fatto che è sempre stata la modalità che Rifondazione comunista ha seguito dal più piccolo Comune al Governo nazionale e abbiamo sempre valutato la nostra presenza o meno negli esecutivi alla fine e non all’inizio della discussione programmatica.

Oggi si capovolge questo ragionamento e infatti tutti i commentatori politici danno per scontato, nonostante non si sia nemmeno abbozzata una discussione programmatica, che se il centrosinistra vincerà Rifondazione comunista sarà nel Governo. Questa situazione che si è consolidata attraverso le numerose interviste che Bertinotti ha rilasciato questa estate, la considero negativa per il nostro Partito. Su ciò manifesto il mio dissenso.

Noi oggi facciamo parte della Grande Alleanza Democratica – decisione che non è mai stata discussa in nessun organismo del Partito – ma (chiedo) quali sono i contenuti programmatici condivisi e qualificanti che ci hanno spinto ad entrare nella GAD?

Nessuno, visto che di programma ancora non si è discusso. Le stesse decisioni assunte nella prima riunione della GAD hanno prodotto iniziative che hanno perso di efficacia: la manifestazione contro la Finanziaria è stata inopportunamente rinviata all’11 dicembre il che equivale a dire che probabilmente non si realizzerà, con l’argomentazione del tutto senza senso che essendo Prodi in Europa non si può più fare! Come se le ragioni di una mobilitazione forte contro una Finanziaria non fossero determinate dal fatto che colpisce i ceti popolari, dalla sua iniquità e pesantezza ma fosse un pretesto per fare parlare Prodi.

Dobbiamo prendere atto che l’iniziativa più importante che avevamo valorizzato dopo quella riunione della GAD è stata fatta saltare senza una motivazione seria.

Ma anche la mozione sulla guerra, che è stata votata nei giorni scorsi alla Camera, pur sapendo che è stato il frutto di una mediazione tra forze diverse e che, da quel punto di vista, contiene anche elementi positivi, rappresenta un passo indietro rispetto la precedente mozione unitaria, votata da tutto il centrosinistra, che chiedeva il ritiro immediato.

Noi abbiamo sempre sostenuto – e io resto di questa opinione – che il progetto strategico della componente maggioritaria del Centrosinistra e quello della Sinistra di Alternativa sono divergenti, radicalmente diversi. Mentre la prima, la sinistra moderata, si muove nella cornice del sistema capitalista per cercare di rimuovere le storture più gravi, la seconda, la sinistra di alternativa, opera per tenere aperta una prospettiva di trasformazione di sistema.

Ne consegue che le intese per battere le destre – che devono sempre essere ricercate – sono in questa fase necessariamente parziali, possono esserci, ma possono anche non esserci, debbono in ogni caso essere vincolate a contenuti programmatici.

Ma, si dice, oggi la situazione è mutata, è “cambiato il vento” e l’asse del centrosinistra si è spostato a sinistra.

Anche nella relazione Bertinotti ci ha detto che grandi temi come la redistribuzione della ricchezza e la patrimoniale sono acquisizione comune di tutto il centrosinistra, sarei più cauto. Certo, c’è una presa d’atto che dopo 20 anni consecutivi di compressione salariale la situazione sta diventando intollerabile e qualche cosa bisogna fare, ma non si vede all’orizzonte una cesura, da parte della componente maggioritaria del centrosinistra, rispetto alle politiche praticate negli anni ’90.

Non c’è in Italia e non c’è in Europa. D’altra parte ne abbiamo avuto una conferma clamorosa proprio in questi giorni; mentre noi rivendichiamo giustamente una contrarietà di fondo con questa Costituzione europea è proprio il centrosinistra italiano, purtroppo anche in alcune componenti di sinistra, ad enfatizzarla come fatto importante e positivo.

Non c’è contraddizione in questo?

Ma, oltre a ciò, sempre per rimanere su questioni di fondo (che però determinano le grandi come le piccole scelte) rispetto al Patto di stabilità e ai vincoli di Maastricht quali margini ci sono nella GAD perché vengano messi in discussione?

E noi sappiamo bene – ce lo dicono tutti gli economisti – che se ciò non avviene qualsiasi impegno di politica redistributiva seria è un imbroglio.

Per non parlare delle guerre che, se ottengono una copertura dell’ONU, quasi tutti nel centrosinistra le considerano legittime.

Mi chiedo, in questo quadro come si affronteranno le grandi scelte di politica economica e internazionale? Credo che questi problemi non li possiamo rimuovere e li dobbiamo affrontare prima e non dopo aver fatto l’accordo di Governo.

È vero che rispetto agli anni passati ci sono significativi mutamenti nell’orientamento di importanti organizzazioni sindacali ( la Fiom e, parzialmente, la CGIL) e che si è consolidato un importante movimento per la pace e contro il liberismo. Ma questi fatti non hanno ancora mutato i connotati politici di fondo del centrosinistra in Italia e in Europa.

E questi stessi movimenti ci parlano con un linguaggio contraddittorio. Così come è stata straordinariamente importante la lotta di Melfi, soprattutto grazie alla conduzione della Fiom, altrettanto non possiamo dire dell’accordo siglato all’Alitalia per non parlare degli accordi drammatici che sono stati fatti in Francia e in Germania di aumento dell’orario di lavoro a parità di salario.

Qui c’è un arretramento, non possiamo negarlo.

E la stessa nostra parola d’ordine di alcuni anni fa di riduzione d’orario e delle 35 ore oggi è praticamente impronunciabile.

Se questa è la situazione, e io sono convinto che sia così, l’impianto politico che noi abbiamo scelto in questi mesi per avviare una intesa con le altre forze di centrosinistra è stato sbagliato.

Dovevamo e dobbiamo seguire un’altra strada.

Senza i voti di Rifondazione comunista il centrosinistra non ha nessuna possibilità di vincere contro Berlusconi; partendo da questo dato di fatto, che ci consegna oggettivamente un forte potere contrattuale, a cui potremmo aggiungere – cosa che non avevamo nel ’98 – la convergenza con istanze di movimento e pezzi di sinistra di alternativa, noi dobbiamo rivendicare una stringente discussione programmatica al fine di ottenere alcuni punti significativi e vincolanti a partire dal rifiuto della guerra da chiunque dichiarata, da realizzarsi certamente nel corso della legislatura. Se non ci sono almeno queste garanzie, credo che il rischio di infilarci in una avventura che potrebbe metterci molto in difficoltà sia reale. So che il fatto di scrivere dei punti non determina di per sé il fatto che saranno realizzati, ma certamente se non li scrivo sarò ancora più debole nel rivendicarli.

E inoltre tutti noi sappiamo – dopo l’esperienza del ’98 – che se si dovesse ripetere una nuova rottura, la situazione diventerebbe drammatica, e in quel contesto poter utilizzare, come argomento, la mancata realizzazione di un punto programmatico deciso e preventivamente concordato potrebbe aiutarci. Per tutte queste questioni io credo che senza un impegno programmatico stringente noi non dobbiamo entrare nel futuro Governo di centrosinistra.

Un altro argomento su cui non mi ritrovo della relazione, ma anche delle 15 tesi e dell’ordine del giorno che viene proposto per concludere questo Cpn, è la questione della spirale guerra-terrorismo.

È una rappresentazione che ritengo fuorviante della realtà internazionale. Dal 1989 il tratto distintivo è, al contrario di quanto era stato teorizzato, la guerra, che si è sviluppata ben prima e a prescindere dall’emergere di fenomeni terroristici.

Parlare di spirale guerra-terrorismo significa dare una rappresentazione di corresponsabilità della crisi internazionale, mentre invece sono determinanti e decisive le scelte di guerra del Governo americano e, per quanto riguarda il Medio Oriente, del Governo israeliano. Siamo nemici irriducibili del terrorismo. I comunisti lo sono sempre stati, a cominciare da Lenin che con dolore e lucidità criticò le scelte del fratello.

Il terrorismo uccide l’idea stessa di trasformazione rivoluzionaria, perché inibisce la partecipazione delle grandi masse. Detto questo però dobbiamo anche avere il coraggio di dire che è terrorismo anche quello di Bush e di Blair, poiché hanno deciso una guerra – illegale anche per Kofi Annan – che ha causato almeno 100.000 morti quasi tutti civili innocenti.

Ma ciò che è più grave è che non si riconosca un ruolo importante e positivo alla Resistenza irachena. Ho letto che nel comizio conclusivo della manifestazione di Londra del Forum sociale europeo si è inneggiato alla Resistenza di Falluja paragonandola a Stalingrado, il paragone è forse eccessivo, ma noi dobbiamo riconoscere che in Iraq non c’è solo la guerra e il terrorismo, c’è un popolo che resiste, anche con le armi, per cacciare le truppe di occupazione e per conquistare il diritto di decidere del proprio destino. Di questa Resistenza va affermata la piena legittimità. Non solo, noi dobbiamo auspicare che essa si rafforzi, poiché solo una sua crescita e la crescita del movimento internazionale della pace possono riuscire a sconfiggere una politica di guerra degli Stati Uniti.

Questi sono i due temi, l’accordo di Governo, e guerra-terrorismo, sui quali ritengo ci siano differenze significative e credo che il Congresso – in qualsiasi modo si svolgerà – potrà essere un occasione importante di approfondimento e soprattutto di coinvolgimento di tutto il corpo del Partito per scelte che si profilano così importanti.