VI CONGRESSO P.R.C.
INTERVENTO DI CLAUDIO GRASSI
(Coordinatore della Mozione Essere Comunisti)
Care compagne, cari compagni,
la relazione che ci ha proposto Bertinotti nell’apertura dei lavori rappresenta una evoluzione in negativo di quanto abbiamo criticato come mozione “Essere Comunisti”, ma più complessivamente come mozioni di opposizione nel dibattito congressuale.
In essa è confermata e accentuata la svolta governista; non vi è alcun cenno critico alle posizioni del centrosinistra e non è stato fatto alcun riferimento a chi nel congresso ha criticato la linea di maggioranza raccogliendo il 41% dei consensi e cioè la percentuale più alta di opposizione da quando esiste Rifondazione Comunista.
Come si è visto dai commenti di tutta la stampa, di tutte le forze politiche e anche dei movimenti – come era già avvenuto durante la fase precongressuale e dei congressi di circolo – il tema vero che ha suscitato interesse attorno a questo nostro congresso nazionale è stato il tema del governo, la scelta di Rifondazione Comunista, di entrarvi. D’altra parte è giusto che sia così. Si tratta di una novità assoluta.
Rifondazione Comunista da quando è nata ha sempre ritenuto che questa eventualità non fosse praticabile, talmente diverse sono le opzioni programmatiche tra noi e il centrosinistra. Con questo congresso abbiamo deciso non solo di entrare nel governo ma anche di entrare nell’Unione, compiendo anche qui una scelta sempre rifiutata da Rifondazione, e cioè quella di entrare in uno dei due Poli in competizione, poiché – si diceva – che questo avrebbe rafforzato quel sistema dell’alternanza che noi contrastiamo.
Una doppia scelta: dentro il governo, dentro l’Unione ancor prima di avere discusso e concordato un programma. Una scelta politica che capovolge la linea di sempre di Rifondazione Comunista, prima i programmi poi gli schieramenti. Una scelta politica che noi contestiamo nettamente. Credo sia sbagliato associare queste scelte, l’ingresso nel governo e nell’Unione, alla necessità di cacciare Berlusconi. Questa è una necessità che tutti avvertiamo e che noi in particolare avanziamo da sempre. Ma oggi siamo passati da un estremo all’altro. Dalle tesi – dello scorso congresso – delle «due Destre» e dell’«esaurimento dei margini di riformismo», alla scelta attuale di entrare nel governo e nell’Unione ancor prima di avere concordato un programma.
Dovevamo e dobbiamo dire a Prodi e all’Unione: siamo pronti a unirci a voi per cacciare Berlusconi, ma l’intesa è possibile solo se si costruisce un programma che contiene degli elementi di rottura con le politiche che anche voi avete praticato negli anni ’90. E cioè solo se il centrosinistra si impegna a porsi l’obiettivo di battere Berlusconi ma anche il berlusconismo, a battere le Destre, ma anche le politiche di destra. Questo il nodo politico che sta di fronte a noi e che non è risolto.
E qui – su questo tema – c’è il vero punto di dissenso tra di noi, che attiene all’analisi della fase.
Si sostiene che oggi noi possiamo fare questa scelta di ingresso nel governo poiché, rispetto ad alcuni anni fa, tutto è cambiato. Certo, molte cose sono cambiate: il centrosinistra si sta riorganizzando e sta cercando, attraverso la Fed, di costituire il timone riformista dell’Unione; ma anche a sinistra della Fed vi sono lavori in corso e, con la costituzione della Camera di consultazione, si sta cercando di dare forza e voce alla Sinistra di Alternativa.
Inoltre sul versante della società si sono sviluppati movimenti importanti contro il neoliberismo e la guerra, che hanno portato in piazza milioni di persone e vi è stata una significativa partecipazione a queste manifestazioni di importanti organizzazioni di massa, come la Fiom, l’Arci, la Cgil.
Il problema è che tutto questo non ha modificato significativamente le opzioni politiche di fondo della componente maggioritaria del centrosinistra, che non ha operato alcuna cesura con le politiche di liberismo temperato degli anni ’90.
Non si sono modificate queste posizioni sulla politica estera, non solo perché Prodi accoglie Bush dandogli il benvenuto – e se lo poteva risparmiare – ma perché continua a definire ancora oggi la guerra in Kosovo non come una guerra ma come un intervento umanitario; e anche Fassino, rispondendo recentemente a Panebianco sul Corriere della Sera, ha confermato non solo la validità di quella guerra, ma il fatto che il futuro governo di centrosinistra, di fronte al riproporsi di situazioni analoghe, saprà prendersi le proprie responsabilità, “anche se saranno impopolari”. Magari accettando i voti del centrodestra.
E sempre sulla politica estera: è vero che c’è stato un voto contrario al rifinanziamento, ma né Prodi, né la Margherita, né i Ds oggi pongono più la questione del ritiro immediato dei militari italiani dall’Iraq, segnando quindi un netto arretramento rispetto allo scorso anno quando nel centrosinistra era maggioritaria la linea di Zapatero.
Eppure la situazione internazionale non solo non è migliorata, ma è peggiorata. E in Iraq, come dimostra il tragico epilogo della vicenda della liberazione di Giuliana Sgrena, che ci impedisce di gioire fino in fondo della sua liberazione, la guerra continua, l’occupazione continua. Le elezioni in Iraq – come ha detto significativamente Giulietto Chiesa – sono state uno tsunami propagandistico, svoltesi nella più totale illegalità, senza osservatori internazionali, senza liste di candidati, dichiarate illegittime non solo dalle forze della Resistenza irachena, ma anche dalla componente sunnita: elezioni a cui noi abbiamo sbagliato a dare credito.
Al contrario noi dobbiamo dare credito e sostenere quelle forze della Resistenza irachena che, condannando le stragi e le azioni terroristiche che colpiscono la popolazione civile e i cui autori sono oscuri, legittimamente combattono contro la guerra e l’occupazione; quelle forze che hanno saputo resistere per quasi un mese nella città di Falluija contro la violenza, la brutalità della potenza militare più forte del mondo, quelle forze che oggi cercano di resistere a Ramadi. A questa Resistenza – con la R maiuscola – va non solo il nostro appoggio, ma anche quella che una volta avremmo definito la nostra solidarietà internazionalista. Insomma, il sentirsi dalla stessa parte contro la vera centrale che alimenta il terrorismo nel mondo, il governo degli Stati Uniti d’America, o meglio l’imperialismo americano. Ma purtroppo Bush ha vinto di nuovo le elezioni ed è lui che stila l’elenco degli Stati canaglia contro i quali – e adesso in testa sono saliti Iran e Siria – non è escluso un nuovo intervento militare.
Un elenco di Stati nel quale, come avete visto, sono entrati anche paesi che ci stanno molto a cuore, come il Venezuela di Chavez che, per nulla intimorito dalle minacce degli Stati Uniti e dalle provocazioni effettuate dal governo colombiano, continua con la sua politica indirizzata a migliorare le condizioni di vita dei poveri di quel paese, utilizzando a questo fine i proventi derivati dalla vendita del petrolio nazionalizzato e continua anzi rafforza, il Venezuela di Chavez, il legame politico ed economico con Cuba, non a caso anch’essa introdotta nell’elenco degli stati canaglia. A Cuba, all’isola ribelle, dopo oltre 40 anni di un embargo disumano e vergognoso, va tutta la nostra solidarietà internazionalista. Sono state fatte anche a sinistra numerose critiche a Cuba, e certamente anche quell’esperienza non è immune da errori. Ma chissà perché tutti questi critici non hanno ritenuto opportuno far conoscere quanto ha scritto nei giorni scorsi il New York Times, e cioè che il sistema sanitario cubano è uno dei migliori ed avanzati del mondo, a cui tutti possono accedere gratuitamente e paritariamente; al contrario degli Stati Uniti dove ormai per poter entrare in un ospedale devi consegnare la tua carta di credito, se ce l’hai, e le coordinate della tua assicurazione privata, se hai avuto i soldi per fartela.
Ma – appunto – la rielezione di Bush rende più preoccupante lo scenario internazionale e anche per questo il tema della politica estera, al contrario di quello che dice D’Alema, deve essere il primo e il principale su cui si deve verificare se c’è un’intesa con Rifondazione Comunista e io credo che noi dobbiamo esigerlo. Una netta scelta di pace senza se e senza ma non è un punto o un paletto: è un preambolo senza il quale il governo eventuale che si costruisce non avrebbe alcuna base reale di durare nel tempo, poiché alla prima crisi internazionale ne verrebbe messa in discussione la sua coesione.
Oltre alla politica estera, anche sulla politica interna non vediamo una sostanziale modifica in positivo delle posizioni politiche del centrosinistra. Mi limito a tre esempi:
– il congresso dei Ds che si è concluso con una vittoria ampia della linea moderata D’Alema/Fassino, con un netto ridimensionamento, purtroppo, della sinistra interna. Anche la rivalutazione di B.Craxi, non lascia certo intravedere scelte coraggiose in tema di pace, lavoro, scala mobile, riforme istituzionali, viste le scelte che Craxi fece in questa direzione;
– il convegno programmatico della Margherita di Torino, dove sono state attaccate come anticaglie del passato la socialdemocrazia e l’egualitarismo;
– infine Prodi che alle elezioni regionali non vuole i Radicali non perché hanno appoggiato tutti gli interventi militari fatti dagli Usa o perché sono liberisti e anticomunisti – e noi avremmo fatto meglio a dire che per questi motivi è impossibile un accordo con loro – Prodi non li ha voluti per una delle poche cose su cui convergiamo e cioè l’abrogazione della legge sulla fecondazione assistita.
Questa è la realtà, certo molto è cambiato, ma abbiamo sempre a che fare con un centrosinistra che non si mostra per nulla ricettivo a quelle istanze dei movimenti che noi vorremmo venissero assunte da un futuro governo di coalizione.
Il problema è che i rapporti di forza tra le classi a livello internazionale e nazionale non si sono invertiti rispetto alla sconfitta degli anni ’80 e, pure essendoci state lotte importanti che hanno aperto spiragli – soprattutto perché la Fiom ha investito molto nella direzione della riapertura del conflitto e del superamento della concertazione – continuiamo a registrare sotto la spinta del ricatto delle delocalizzazioni, accordi assai penalizzanti per il mondo del lavoro, come quelli tedeschi e francesi dove viene esattamente ribaltata la nostra parola d’ordine: riduzione di orario a parità di salario in aumento di orario a parità di salario; o quello recente dell’Alitalia,o lo stesso accordo di Terni che riesce per il momento a difendere i posti di lavoro, ma non riesce a salvaguardare la produzione del magnetico, cioè i livelli di occupazione per il futuro.
Io vedo questi problemi, ed è per questo che abbiamo insistito ed insistiamo perché con le altre forze della coalizione di centrosinistra si chiuda questa discussione sui contenitori – che non credo abbia affatto appassionato e motivato i nostri elettori – e si inizi finalmente a discutere di contenuti e su questi si apra una sfida sui programmi. Una discussione che coinvolga i movimenti, che preveda la più larga partecipazione e che attorno ad essa si crei una convergenza della Sinistra di Alternativa. Ma tutto questo, al contrario di quanto è stato fatto, senza darne per scontato l’esito. Oggi è assolutamente sbagliato parlare di accordo di governo poiché non c’è nessun accordo di programma.
C’è un altro elemento che non ci ha convinto e che è andato avanti parallelamente a questo processo di internità di Rifondazione nella Gad prima e nell’Unione oggi. Non ci ha convinto quello che è stato definito il processo neoidentitario di Rifondazione Comunista, quello che il quotidiano Il Riformista ha definito come un processo di depurazione della cultura politica del nostro partito.
Cos’è che non ci convince? Due cose.
Da un lato vengono avanzate proposte di innovazione come quella della rinuncia alla lotta per conquistare il Potere che in realtà vorrebbero introdurre nel nostro bagaglio culturale vecchie tesi anarchiche – quindi non una innovazione ma quanto di più antico il movimento operaio abbia elaborato.
Dall’altro vedo una timidezza nel reagire all’offensiva anticomunista e revisionista che avanza fortissima nel nostro paese, quasi che noi non avessimo gli argomenti per replicare. Credo che sia un errore. Non è possibile che chi è erede, discende e addirittura rivendica i suoi legami con Benito Mussolini possa salire in cattedra e metterci continuamente sul banco degli imputati. Bisogna reagire e mentre dobbiamo essere noi per primi interessati a capire, criticare, condannare ciò che non ha funzionato nei tentativi di trasformazione della società che sono stati compiuti nel secolo scorso, dobbiamo anche rivendicare con orgoglio le pagine positive e importanti – e sono tante – della nostra storia.
Concludo compagne e compagni,
è stato detto che questo è un congresso di svolta per Rifondazione Comunista. È vero. Una doppia svolta. Nella scelta politica di entrare nel governo e nella gestione maggioritaria del partito. Ed essendo stata fatta questa doppia svolta senza tenere minimamente in considerazione quelle che sono state le proposte, le critiche avanzate dalle minoranze interne, si determina una situazione nuova.
Il compagno Bertinotti ha detto che non sa cosa voglia dire la gestione unitaria. Credo che sia un concetto facile da spiegare:
è il contrario della gestione maggioritaria, cioè il contrario di quello che è stato fatto venerdì sera cambiando uno Statuto a colpi di maggioranza;
è il contrario di quello che è stato fatto in passato per la scelta degli eletti alla Camera, al Senato e al Parlamento europeo;
è il contrario della proposta che viene avanzata di una segreteria nazionale dove il 59% si prende 100%.
Riteniamo tutto questo un errore.
Riproponiamo con forza la gestione unitaria, plurale e democratica; a maggior ragione dopo un congresso che, se da un lato ha determinato una maggioranza, dall’altro ha fatto emergere una opposizione vasta e importante.
La maggioranza, con le scelte fatte in questo congresso, si è presa una grande responsabilità: andare avanti sulla sua linea senza coinvolgere le minoranze nella gestione del partito.
A questo punto anche le minoranze hanno una grande responsabilità. Ed io credo che, pur mantenendo ognuna la propria autonomia, si possano determinare convergenze importanti, come già si è verificato in questo congresso sullo Statuto e come si determinerà tra poco nella votazione degli ordini del giorno.
Le posizioni in campo sono chiare: i compagni della maggioranza ritengono vi siano le condizioni per procedere speditamente all’interno dell’Unione per costruire una intesa di governo e ritengono che chi non condivide questa opzione non possa accedere alla gestione del partito.
Noi viceversa riteniamo che allo stato attuale queste condizioni non siano date e che sia sbagliato il percorso che è stato intrapreso per cercare di costruirle.
Per quanto ci riguarda ci impegneremo per fare emergere e dare voce a quella vasta opposizione che nel partito si è pronunciato contro questa svolta.
Ci impegneremo a rendere più netta e visibile l’opposizione interna alla linea della maggioranza.
Ci impegneremo, in questa condizione nuova che la maggioranza ha voluto determinare, comunque a lavorare per il partito, per il suo rafforzamento, per la sua crescita, per il suo radicamento, a partire dai circoli e dai territori.
Ci impegneremo, già da domani appena rientrati nei nostri territori, come abbiamo sempre fatto, a lavorare per riuscire ad ottenere già il 3-4 aprile un successo elettorale.
Ci impegneremo, e chi non lo potrà fare materialmente perché vive in un’altra regione lo farà col cuore, perché Nichi Vendola diventi il nostro Presidente della regione Puglia.
Ci impegneremo perché questo nostro partito in cui crediamo tanto, al quale tanto abbiamo dato e nel quale abbiamo riposto tutte le nostre speranze, riesca ad essere contemporaneamente il luogo dove discutiamo anche duramente,ma nel quale – tutti assieme – lavoriamo per una sua crescita.
Ci impegneremo per fare sempre più forte Rifondazione Comunista.
Claudio Grassi
Lido di Venezia, 6 marzo 2005