Intervento di Beatrice Giavazzi al Congresso

Intervento di Beatrice Giavazzi al VI Congresso del PRC
Venezia 3 – 6 marzo 2005

Cari compagni e care compagne,
scusate se inizio con una battuta, ma mi chiedo dall’inizio del congresso chi ha potuto pensare un podio di questo genere. Non credo innanzitutto che si sia preoccupato certo di mettere a proprio agio gli oratori, catapultati nel cielo. Ma ci si può forse anche leggere una metafora del partito?
Uno che sta su, nell’empireo, e la stragrande maggioranza che sta giù? Con la distanza tra chi sta su e chi sta giù che, abbandonato il rosso, il colore del e nel cuore dei comunisti, si è tinta d’arancio? Ma forse l’azzardo della metafora lo vedo solo io, e non insisto oltre.
Quello che invece, purtroppo, abbiamo visto è il nostro VI congresso.
2200 circoli l’hanno tenuto, oltre 50.000 compagni hanno espresso il loro voto sul documento del segretario, appunto espresso un voto. Qualcuno ha detto e scritto iperboli positive su questo congresso. Io non lo farò
E non tornerò neppure sulle polemiche di un tesseramento anomalo. Assieme ad altri abbiamo scritto e firmato le nostre proteste su un, questo sì, iperbolico tesseramento di dicembre che, forse perché invernale, manca del calore che l’adesione al partito della rifondazione comunista dovrebbe avere. Il calore della condivisione di un progetto grande. Contiene, invece, la freddezza del numero e del calcolo di parte. Così come hanno la freddezza dei numeri percentuali le scelte che questo congresso nazionale ha assunto. Ma, appunto, numeri, dove il 59% si prende tutto il 100%.Questo ha fatto il nostro VI congresso.
In quanti circoli (a congresso chiuso possiamo dircelo) il numero dei votanti ha corrisposto al numero dei partecipanti al dibattito? Se siamo franchi tra di noi la risposta è: pochissimi. Abbiamo aperto le urne, compagni, quasi fossimo uffici elettorali (e io di uffici elettorali se permettete me ne intendo) alle volte senza neppure aprirlo, il dibattito. Ma questo accade quando si trasforma, plasmandolo su di sé, consapevoli della debolezza della linea politica che si esprime, un congresso in un referendum “plebiscitario”.
E che esito ha dato ai chi l’ha proposto questo referendum ai compagni: se vince Bertinotti sta, se perde lascia? Negativo. Perché metà partito ha detto sì e l’altra metà ha detto no! Ma la metà che ha vinto, o crede di aver vinto, ha perso. Ha perso un’ occasione, quella di discutere, convincere e portare a sintesi la linea politica. Ed oggi è costretta a fare di tutto, anche lo scempio delle regole su cui tornerò, per tenersi questa vittoria, di numeri.
Che dire poi della mancata trasparenza, ad esempio, sui dati (giocati tutti sull’impatto mediatico), anche quelli parziali, che tanti compagni attendevano con ansia, perché consapevoli dell’importanza di questo congresso e non hanno mai avuto? Per non dire del nostro lavoro centrale di gestione del congresso. E’ vero o non è vero che la commissione nazionale del congresso, composta come un consiglio di amministrazione per quote di pacchetto azionario percentuali, ha deciso in pochissimi (qualche unità) casi all’unanimità, qualche volta con una maggioranza composita e invece quasi sempre con voto unico della maggioranza della maggioranza?
Ho combattuto, compagni, con tutta la veemenza che mi viene dall’essere resistente e comunista, assieme agli altri compagni delle minoranze, contro questa logica che non condivido, che trovo aberrante del senso del pluralismo cui aspiriamo e che ci appartiene, ma ho provato anche con la trattativa, la dialettica cercando, anzi, provando e riprovando, nel tentativo di trovare qualche spazio di unità, qualche possibilità di accordo più ampio. Ma le risposte sono quasi sempre state: si decide a maggioranza! Con una logica, quella maggioritaria, che scopriamo essere diventata la logica introiettata dal Partito in questo congresso (le primarie?), che ha visto la sua più drammatica affermazione nella riunione di venerdì sera dove si è deciso dello Statuto, delle nostre regole di vita comune, di rispetto delle differenze politiche, delle garanzie alla partecipazione, parole di cui tanto riempiamo i nostri programmi elettorali e i nostri manifesti.
Ho passato 6 anni al Collegio Nazionale di Garanzia. E’ stato un lavoro duro e non esaltante vedere per tanto tempo le brutture di questo partito, perché lì le brutture arrivano. Ma adesso posso dire con certezza che quando ci si prova e riprova si riesce a dipanare anche il nodo più intricato nelle relazioni interne al partito. Pochissime situazioni di crisi si sono rivelate insormontabili, pochissime volte, ad esclusione della fase precedente il congresso che probabilmente già influenzava le scelte, abbiamo preso decisioni a maggioranza. Lì, al CNG, dello Statuto siamo stati i garanti, abbiamo cercato di esserlo sempre, anche nei passaggi non condivisi al 100%.
Non è nostra la battaglia contro Berlusconi che con una maggioranza semplice, cambia stravolgendola la costituzione? E cosa fa questo congresso? Stravolge le regole dello Statuto ( la nostra carta costituente) proprio nella struttura pluralistica dei suoi gruppi dirigenti, senza accogliere una sola proposta, cercare una sola mediazione, senza neppure provare a riconoscere il pluralismo necessario al nostro procedere. E lo fa a maggioranza. Tutte le decisioni prese a colpi di maggioranza.
Rivendico per questo una differenza, la differenza di tutti quelli che ci hanno provato, noi, i compagni delle altre 3 mozioni di minoranza con le quali abbiamo condiviso questa battaglia per la difesa della democrazia interna. Abbiamo trovato intese inattese con compagni che politicamente ci stanno lontani, ma che sentiamo, oggi come sempre, compagni di strada oltre che di partito.
Durante la discussione, invece, da questa presidenza abbiamo sentito un parlamentare della maggioranza che, parlando delle regole della nostra convivenza che si decidevano appunto brandendo il 59% come una clava, ci ha apostrofati così: “se le minoranze non colgono ……. Sono problemi loro!” No, caro compagno Alfonso Gianni, le minoranze, anzi, il 41% del partito, ha colto benissimo il senso di questa china pericolosissima che la maggioranza ha deciso di imboccare: vuole tutto senza potersi permettere tutto! Non solo la gestione della linea politica che ha fatto vincere con il 59%, ma vuole anche tutta la gestione. E questo, per l’appunto, non è il problema delle minoranze ma proprio un grande problema della maggioranza. Perché, cari compagni, governare questo partito con il 59% NON SI PUO’. Leggete i dati dei congressi delle federazioni, delle regioni e ditemi voi se pensate che così si possa fare, E’ questo il modello che il centro offre alle periferie? Il nostro è un Partito che può anche rispondere ancora a un referendum sul segretario con : SEGRETARIO. Ma che poi, nel quotidiano del lavoro politico, di radicamento, di intreccio con le culture diverse che si incontrano quando si organizza il conflitto nella società, nelle istituzioni dove ci battiamo per ottenere qualche miglioramento delle condizioni di vita della classe che rappresentiamo – i lavoratori, le donne, i giovani del movimento, tutti quelli a cui questa società nega i diritti -, nelle feste di Liberazione, nelle manifestazioni, nelle campagne elettorali per qualche voto in più per il Partito, insomma, quando non si deve scegliere un nome ma si fa iniziativa politica allora questo partito risponderà ancora: PARTITO COMUNISTA!
Il segretario, nella sua relazione di apertura, ci ha comunicato che questo sarà il suo ultimo congresso, che passa il testimone e capisce che il testimone passa in buone mani. Penso che abbia ragione. Quello che non so è se il segretario parlava delle mani di tutti, o solo del 59%. Ma anche se non parlava delle altre, noi ce le metteremo lo stesso, ci sono quelle di tutti noi. Corriamo tutti per questo partito della rifondazione comunista che oggi ha bisogno più che mai di tutte le nostre intelligenze e forze. Questo partito non ha padroni. Non possiede certezze, si pone dubbi (il tanto amato camminare domandando) ma ad un certo punto si ferma e cerca nelle sue esperienze e storie di comunisti le risposte con l’analisi precisa di fase, elabora la sua linea politica e si fa più forte. Così sappiamo fare e così faremo.
E’ vero, è compito nostro ridare fiducia a chi vede ancora in un partito comunista la possibilità di miglioramento di una condizione materiale che si fa ogni giorno più insostenibile. Il clima di guerra permanente sempre più opprimenti, i lavoratori vengono costantemente catapultati nella precarietà, i giovani senza diritto allo studio, le condizioni economiche che si fanno sempre più insostenibili, la privazione dei diritti fondamentali. Questi sono i grandi temi che dovremo affrontare con la materialità dell’impegno concreto, assumendoci la responsabilità di dare risposte. Questa è la ragione dell’attualità dell’essere comunisti la necessità dell’unico partito che, oggi, potrebbe farsene interprete, il Partito della Rifondazione Comunista. Ma ho visto, vedo, concretarsi il pericolo di una deriva moderata nella linea congressuale piegata sulla linea “governista” che prescinde da tutto questo. Questo è stato il vero tema del nostro VI congresso. Credo che presto questa linea dovrà fare i conti con le contraddizioni che determinerà all’interno del Partito e che si determineranno nella società, sia nell’ipotesi di un prossimo governo dell’Unione che in quella malaugurata che non si riesca a sconfiggere Berlusconi (cosa che resta nostra priorità politica).
Un partito ancora così leggero avrà quindi bisogno, pena il rischio di inerzia o, peggio di implosione, avrà bisogno di tutto il “piombo” possibile per non farsi travolgere. Per parte nostra, come sempre, faremo la nostra parte. Fino in fondo.