Intervento di Baudouin Deckers, Ufficio politico nazionale del Partito del Lavoro del Belgio

da Partito dei Lavoratori del Belgio – www.wpb.be – in www.solidnet.org
Traduzione dall’inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Cari compagni,

Prima di tutto vorrei ringraziare il Partito comunista sudafricano di aver ospitato quest’anno il nostro Incontro annuale.

I. Discutere in terra africana la questione della crisi del sistema capitalista è particolarmente appropriato per noi, comunisti di tutto il mondo. Per esempio il paese da cui provengo, il Belgio, è diventato uno dei più ricchi del mondo spogliando la ricchezza della regione centrale dell’Africa, il Congo, 80 volte più grande del Belgio medesimo. Le pagine orribili della nostra storia mostrano come il capitalismo non si sia mai fatto scrupolo di sterminare milioni di persone quando si tratta di moltiplicare i profitti. E non crediamo che l’imperialismo, nel frattempo, si sia “incivilito” …!

La prima crisi internazionale del capitalismo è scoppiata intorno al 1873, esacerbando la competizione tra i monopoli di recente formazione in cerca di risorse naturali a buon mercato, nuovi sbocchi per le loro merci e opportunità di investimento per i loro capitali crescenti. La corsa è iniziata con la completa sottomissione dei paesi economicamente meno sviluppati dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina.

La famiglia reale belga era il più importante azionista della maggiore multinazionale belga, la Société Générale. Leopoldo II finanziò la spedizione coloniale di Henry Morton Stanley e dal 1885 si appropriò della regione più ricca d’Africa. Da quel momento ha intrapreso un brutale e crudele sfruttamento dei popoli del Congo. La Société Générale accumulò capitali strabilianti sfruttando ogni risorsa mineraria e i prodotti delle piantagioni. Questo le consentì di creare in Belgio un vasto impero di impianti siderurgici, cantieri navali, compagnie ferroviaria, ogni sorta di impresa legata ai minerali ferrosi e non ferrosi.

Nel 1908 ebbe termine un lungo dibattito in seno al parlamento belga: il Congo avrebbe dovuto rimanere proprietà privata del re o lo Stato avrebbe dovuto prendere il sopravvento? I partiti borghesi erano divisi. Ma il partito socialista, guidato da Emile Vandervelde, un importante leader della Seconda Internazionale, assunse una ferma posizione: “Come socialista, disse, noi siamo per la nazionalizzazione. Allora, si consenta al Congo di assumere la sua nazionalità.” E così il Congo divenne ufficialmente una colonia belga.

La posizione di Vandervelde non era frutto del caso. Eduard Bernstein, uno dei maggiori teorici della Seconda Internazionale, era un convinto sostenitore del colonialismo – con il pretesto che avrebbe contribuito al miglioramento della vita dei lavoratori… nei paesi imperialisti, naturalmente. Egli scrisse che “… Non è né detto che l’occupazione dei territori tropicali da parte degli europei leda gli indigeni nel loro godimento della vita, né finora è stato così in generale. Inoltre, ai selvaggi può essere riconosciuto solo un diritto condizionato alla terra da loro occupata. La civiltà superiore in effetti può rivendicare un diritto superiore. Non la conquista, ma la coltivazione della terra conferisce una legittimazione storica al suo utilizzo. Questo è stato ed è ancora in buona sostanza l’approccio della socialdemocrazia al colonialismo e al neocolonialismo”[1]. (sì, questa ultima frase è tutt’ora valida …! … Tenendo conto che il significato di ‘socialdemocrazia’ è cambiato).

Beh, mister Bernstein, Parliamo di “godimento”.

Leopoldo II instaurò in Congo un regime di vero e proprio terrore. Mani e piedi dei lavoratori recalcitranti venivano amputati. Tra il 1880 e il 1920, una cifra che va da 5 a 10 milioni di congolesi, cioè il 33%-50% della popolazione, è scomparsa. Assassinati, morti di stenti o fuggiti nei paesi vicini.

Nel frattempo, i nostri capitalisti hanno fatto un sacco di soldi e hanno goduto davvero! Il tasso medio di profitto delle imprese coloniali ha raggiunto il 30% nel periodo 1950-1955. Per le società minerarie si è addirittura attestato tra il 50 e il 60%. E così, grazie al saccheggio dell’Africa centrale e lo sfruttamento della classe lavoratrice belga hanno generato una potente borghesia imperialista.

Sotto la pressione della popolazione congolese, ma anche dell’Unione Sovietica e di altri paesi, il Belgio è stato indotto a riconoscere l’indipendenza al Congo e a prevederne le elezioni. Queste sono state vinte nel 1960 dal nazionalista congolese Patrice Emery Lumumba. La borghesia belga, con il pieno sostegno del governo statunitense, ha fatto tutto ciò che poteva per sconfiggere i nazionalisti e impedire che il Congo fosse perso per sempre dai monopolisti. E così, Patrice Lumumba venne vigliaccamente assassinato il 17 gennaio 1961.

I popoli dell’Africa hanno subito perdite in vite umane senza precedenti nel corso di oltre cinque secoli di schiavismo, colonialismo e neocolonialismo.

Ma le lotte di liberazione nazionale hanno prodotto anche grandi rivoluzionari ed eroi come Patrice Lumumba e Pierre Mulele e innumerevoli altri.

Il debito che noi, popoli d’Europa, abbiamo nei confronti dell’Africa è enorme [2]. Insistiamo su questa pagina nera della nostra storia, perché ci induce ad aver consapevolezza di come la potenza del capitalismo sia indissolubilmente legata allo spietato sfruttamento degli operai, nel nostro paese e ancora di più nelle nazioni oppresse del Sud del mondo. Questo insegnamento è fondamentale per comprendere le parole di Lenin e l’appello del Secondo Congresso della Terza Internazionale: “Lavoratori, popoli e nazioni oppressi del mondo, unitevi” e quindi agire di conseguenza.

A nome del mio partito desidero rendere omaggio al coraggio dei popoli dell’Africa. Arriverà il giorno in cui il continente africano, che ha dato vita al genere umano, riprenderà il posto che merita.

II. Se sosteniamo pienamente la lotta nazionale dei popoli oppressi dall’imperialismo, inevitabilmente ci opponiamo fermamente al nazionalismo reazionario all’interno del nostro paese. Proprio come le guerre di conquista da parte dell’imperialismo sono una conseguenza della crisi del capitalismo, il nazionalismo che in questo momento mette a repentaglio l’unità del mio paese e della classe operaia del Belgio ha la medesima matrice.

Il Consiglio nazionale del PTB ha di recente adottato una risoluzione esaustiva su questo argomento [3].

Il Belgio è un piccolo paese di appena 10,5 milioni di persone. Il nord del paese è chiamato “Fiandre”, la lingua parlata da quasi 6 milioni di abitanti – fiamminghi – è olandese. Il Sud del paese, abitato da 3 milioni di persone, si chiama “Vallonia” e parlano francese. La regione della Capitale Bruxelles è al centro del paese, con 1,5 milioni di abitanti che parlano per lo più francese, ma anche olandese e naturalmente molte altre lingue degli immigrati. Una regione molto piccola a est – annessa al Belgio dopo la prima guerra mondiale – parla il tedesco.

E’ indubbio che per quasi un secolo la popolazione di lingua olandese è stata discriminata, per esempio nelle scuole, nei tribunali, ecc, dall’élite di lingua francese [4]. Si è sviluppato un “movimento fiammingo” per opporsi alla discriminazione. Ma, mentre il problema della discriminazione linguistica andava risolvendosi, l’ala destra ha investito il movimento fiammingo, insistendo per l’indipendenza, anche se non c’era oppressione di una nazione da parte di un’altra potenza straniera. Il movimento nazionalista è stato dall’inizio di destra e reazionario.

Fino alla Seconda Guerra Mondiale, la Vallonia a Sud era l’area più industrializzata. Ma le cose cambiarono negli anni Sessanta. La borghesia fiamminga ha cominciato a svilupparsi intorno alle grandi multinazionali belghe e alle neo arrivate straniere (americane, tedesche, francese, ecc …) nei settori dell’automobile, petrolchimica, chimica, elettronica, servizi, trasporti, commercio, banche e assicurazioni e altri. Questi nuovi borghesi del Nord hanno dato alla difesa dei loro interessi un sapore “fiammingo”. Il nazionalismo fiammingo ha monopolizzato intere sezioni delle risorse finanziarie (e competenze) dello Stato.

Le elezioni del giugno 2010 hanno rivelato una progresso impressionante del nazionalismo nella parte settentrionale del paese. Anni di propaganda ingannevole e faziosa sul “Belgio che ostacola la crescita delle Fiandre”, sugli “affaristi valloni”, ecc, hanno riscosso il loro tributo e hanno conquistato le menti di una parte della popolazione. Certo, la crisi e la sua catastrofe – fabbriche chiuse, crescita dei tassi di disoccupazione, pesanti tagli nella sicurezza sociale, istruzione e servizi pubblici, ecc – ha prodotto un crescente malcontento tra i lavoratori. Invece di cercare a monte i veri responsabili, cioè la grande borghesia, i milionari e i banchieri, i politici nazionalisti fiamminghi si sono concentrati su un facile capro espiatorio: il vicino vallone [5]. Questo nazionalismo è un veleno letale per il movimento sindacale e per tutte le idee progressiste.

Dobbiamo fare una analisi più approfondita dei legami che esistono tra la crisi del capitalismo a partire dalla fine degli anni Settanta, la crescente concorrenza tra i gruppi capitalisti e l’offensiva regionalista in varie regioni ricche d’Europa. Lo schieramento degli imprenditori fiamminghi auspica di saper indurre la popolazione ad accettare una rapida regressione sociale in nome della competitività e della “Fiandre come prima regione d’Europa”. L’Europa, capeggiata da un gruppo di regioni ricche, è un’invenzione sostenuta dalla destra della borghesia tedesca che fomenta movimenti etnici ovunque: in Italia, Francia, Spagna, Belgio, nei Balcani e in Europa orientale. Una Germania compatta a fronte di regioni spaccate non può significare che il dominio tedesco in Europa. Questa è la verità.

I movimenti nazionalisti separatisti nei paesi europei imperialisti non possono che essere reazionari. Essi perseguono angusti interessi regionali anziché la necessaria unità di classe dei lavoratori di tutto il paese contro il governo centrale borghese – unità grazie alla quale la classe operaia aveva conquistato alcuni diritti politici e sociali del passato. Il nostro punto di partenza è la difesa del principio dell'”internazionalismo proletario”. Ciò che cerchiamo è lo sviluppo economico globale e gli interessi di tutti i lavoratori. Solo il socialismo può renderlo possibile. Nello stato socialista, come lo presagiamo, le decisioni strategiche in materia di economia saranno prese da soggetti eletti dal popolo e non dai consigli di amministrazione dei grandi gruppi capitalistici. Il funzionamento del sistema economico su base programmata è possibile e porterà a un migliore equilibrio tra le regioni di un paese rispetto il tenore di vita e lo sviluppo economico. Questo è essenziale se vogliamo neutralizzare le discordie nazionaliste. Questo è ciò che l’Unione Sovietica si è sforzata di fare sin dal suo inizio. Già nel 1917 la linea di condotta del governo sovietico era stato uno sviluppo accelerato delle regioni arretrate dell’Unione Sovietica rispetto alla media.

III. La crisi strutturale del capitalismo, iniziata intorno al 1973 non può essere risolta: è invero una crisi del sistema stesso. Le economie di USA, Europa e Giappone non riescono a superare la sua recrudescenza registrata dal 2008. Al contrario, molti economisti ne prevedono un aggravamento.

Il leninismo ci insegna che esistono solo due possibilità. O la rivoluzione abbatte l’imperialismo, oppure l’imperialismo va in guerra. La realtà mostra che la seconda possibilità ci minaccia sempre di più.

Ancora come candidato alla presidenza, Barack Obama aveva dichiarato forte e chiaro che la sua ambizione era quella di ripristinare e rafforzare la leadership statunitense nel mondo. E ha più volte sottolineato che la vera minaccia a lungo termine per la leadership nordamericana non è l’Iraq, non l’Afghanistan o il Pakistan, né Al Qaeda e neppure l’Iran. Ma la Cina. Ha accusato Bush di aver perso molto tempo con obiettivi secondari, che hanno diviso gli alleati, mentre la Cina ha continuato la sua ascesa economica e politica. Per Obama, gli interventi in Afghanistan, Pakistan, Iran o altri paesi nell’area di attuale o probabile intervento statunitense, hanno senso solo se contribuiscono esplicitamente, in un modo o nell’altro, a contenere, minaccia o indebolire la Cina.

Non solo per la crescente forza del gigante asiatico. Ma perché la Cina è diventata oggettivamente una leva per una crescente l’indipendenza economica di molti paesi di Asia, Africa e America Latina. Qualunque critica possa essere avanzata, a livello globale non c’è dubbio che i rapporti economici della Cina con l’Asia, Africa e America Latina hanno consentito a decine di paesi di svilupparsi più indipendentemente dall’imperialismo occidentale, che risulta di conseguenza indebolito.

In America Latina, tradizionalmente il cortile di casa degli USA, abbiamo visto il ridispiegamento della IV flotta USA, il rafforzamento delle basi USA in Colombia, il colpo di Stato in Honduras e un tentativo di golpe in Ecuador, mentre Cuba è sotto una pressione crescente. Gli Stati Uniti non possono nutrire l’ambizione di recuperare e allargare il loro dominio sul mondo se non possono controllare il loro presunto cortile di casa…

Il Pentagono ha istituito “AFRICOM”, ovviamente non per salvaguardare la pace o promuovere il progresso in Africa, ma per tutelare esclusivamente i propri interessi imperialistici nel continente prospero di una tale ricchezza e diversità di materie prime, petrolio, minerali, ecc

Ma gli sforzi principali sono orientati all’indebolimento e all’accerchiamento della Cina.

Gli Stati Uniti stanno facendo tutto il possibile per riguadagnare lo status di “naturale alleato dell’Asia”. Sfruttano tutte le possibili contraddizioni tra la Cina e i suoi vicini – dai conflitti sui confini alle controversie economiche – al fine di isolare la Cina in Asia. Questa era la scommessa del recente viaggio nell’Asia che si affaccia al Pacifico di Barack Obama, e delle visite di Hillary Clinton e Robert Gates in Giappone, Corea del Sud, Indonesia, Australia, Taiwan, Vietnam, India e altri paesi.

Già Washington ha per esempio sostituito Mosca come maggior fornitore di armi dell’India: cosa che non solo significa un sacco di soldi per l’industria degli armamenti degli Stati Uniti, ma prima di tutto ciò consente al Pentagono di dire la sua in materia di politica militare dell’India …

Nel frattempo gli Stati Uniti stanno negoziando con vari paesi del Sud-Est asiatico le cosiddette strutture logistiche per la sua marina …

Se gli Stati Uniti mostrano di ristabilire l’amicizia con i paesi asiatici, il loro unico obiettivo naturalmente è di usarli per indebolire il proprio nemico principale, al fine di ristabilire in seguito in modo più semplice il dominio totale e lo sfruttamento complessivo dell’Asia.

Per la Cina, l’Oceano Indiano, lo Stretto di Malacca e il Mar Cinese Meridionale sono di primaria importanza strategica, vie indispensabili per l’importazione del petrolio e per il commercio in generale. Chiaramente, gli Stati Uniti si preparano a bloccare queste rotte e cercano la collaborazione dei paesi vicini.

Gli obiettivi militari degli Stati Uniti risultano evidenti anche quando si guarda al Mar Giallo, che costeggia Cina e Corea. Ci sono prove sufficienti per avallare le dichiarazioni di Pyongyang, che non aveva niente a che fare con l’affondamento della corvetta Cheonan la scorsa estate. Come è chiaro che le manovre militari della Corea del Sud due settimane fa, nelle immediate vicinanze del confine contestato, erano una mera provocazione, ordita da Washington e Seoul. Non possiamo non ricordare l’incidente della baia del Tonchino del 2 agosto 1964. Per due volte gli Stati Uniti hanno usato questi incidenti provocati come pretesto per tenere manovre su larga scala con le corazzate della sua Settima flotta nelle immediate vicinanze … della Cina. La Corea del Nord non è l’obiettivo finale, l’obiettivo finale è la Cina.

Le preoccupazioni di Pechino sono perfettamente comprensibili. Tali manovre consentono al Pentagono di raccogliere tutti i tipi di informazioni, di esercitare pressione e prepararsi per possibili attacchi in Cina, ecc

Probabilmente non c’è alcuna minaccia immediata per un conflitto USA-Cina. Non può neanche vincere in Iraq o in Afghanistan. Ma Washington (a meno di non voler credere che l’imperialismo si suicidi), continuando il suo relativo declino economico, non ha altra scelta che la militarizzazione e la preparazione di guerre su larga scala. La conquista della Cina, quasi impossibile via terra aumenta il pericolo per un reale utilizzo delle armi di distruzione di massa da parte degli Stati Uniti.

Qualunque opinione si nutra sul sistema politico ed economico della Cina, abbiamo l’obbligo di denunciare le crescenti minacce contro di essa. Se Washington e i suoi alleati avranno successo nell’indebolire gravemente la Cina, sarà il Sud del mondo e anche gran parte del Nord che ne soffriranno. A nostro parere i Partiti comunisti della regione e di tutto il mondo hanno il dovere di rafforzare la loro solidarietà, cooperazione e coordinamento.

Compagni, abbiamo il compito urgente di rafforzare il movimento per la pace e il movimento antimperialista in tutto il mondo e rafforzare la solidarietà della classe operaia e dei progressisti di tutto il Nord con i popoli e paesi del Sud. La nostra lotta di liberazione dall’imperialismo e per il socialismo è indissolubilmente legata ai nostri sforzi per la pace.

Grazie.

Note:

[1] Eduard Bernstein, “Evolutionary Socialism”,(also known as “The Prerequisites for Socialism and the Tasks of Social Democracy”) (1899), Chap. III “The Tasks And Possibilities Of Social Democracy”, part (d) The Most Pressing Problems Of Social Democracy http://www.marxists.org/reference/archive/bernstein/works/1899/evsoc/ch03-3.htm#d . (In the translation published in 1909 by NEW YORK, B. W. HUEBSCH, 1909: page 178-179: http://ia311004.us.archive.org/3/items/cu31924002311557/cu31924002311557.pdf )

[2] Today, the current Gross National Product of the Democratic Republic of Congo is 42 times smaller than the one of Belgium with a population more than six times bigger.

[3] This document will soon be available on our website http://www.wpb.be

[4] The elite spoke french, as well in Wallonia as in Brussels and in the Flanders

[5] Wallonia had become poorer, with the closures of the colemines, steelfactories and other ‘old’ (basic) industries that had made it richer in the past. The unemployment rate became (much) higher in the South, more people needed medical care, etc.