Intervento al Congresso nazionale Prc

Così come condivido complessivamente le principali proposte politiche che, sia pure con una positiva sterzata finale e con qualche resistenza, stanno emergendo da questo nostro 5° congresso nazionale, non condivido l’orientamento confuso ed anche ambiguo che emerge sulla nostra identità.
Ho apprezzato e condiviso fortemente la svolta delle ultime settimane per la valorizzazione della nuova centralità del movimento operaio a partire dai fatti che incalzano. Il 23 marzo vi è stata non solo la più grande manifestazione della storia del nostro paese, ma una delle più grandi manifestazioni della storia di tutta l’Europa del dopoguerra. Il mondo del lavoro è profondamente cambiato (come è ovvio, solo un cieco non lo vede), ma io mi chiedo: perché la scintilla scatenante di tanto conflitto e movimento, è lo scontro sull’articolo 18 e cioè un classico conflitto di classe, che riguarda per di più i “classici”, “vecchi”, “superati”, tanto vituperati “lavoratori tipici” e persino solo della grande impresa capitalistica ? Ma la lotta continua e noi non possiamo essere solo osservatori. Dobbiamo anche essere attori di questo movimento, a partire dalla piena riuscita dello sciopero generale del 16 aprile. E come stiamo in questa grande nuova lotta anche per costruire da questo movimento il nostro partito ? Per radicarlo nei luoghi di lavoro ? Come lavoriamo per fare nuove migliaia e decine di migliaia di iscritti di questi operai e lavoratori che riempiono le piazze d’Italia ma non riempiono ancora i nostri circoli e le nostre federazioni. Questi sono i problemi che dovremmo porci nei prossimi giorni.
Condivido, inoltre, la nuova proposta (che indiscutibilmente aggiorna le tesi) di unità d’azione con il centro-sinistra per contrastare la vera e propria vandea reazionaria messa in campo dal governo Berlusconi, pur sapendo che non vengono meno le differenze strategiche con le forze riformiste italiane dell’Internazionale Socialista, a partire dai DS.
Ho particolarmente apprezzato la proposta, forse poco ripresa nel dibattito e sulla stampa, di rilanciare la battaglia per il cambiamento in senso proporzionale della legge elettorale, contro la disastrosa deriva maggioritaria e presidenzialistica a cui abbiamo assistito nel nostro paese.
Condivido, infine, la necessità di un salto di qualità nella nostra iniziativa per la pace in Palestina, nella piena consapevolezza che la politica assassina di Sharon è finanziata, sostenuta, armata dal governo americano. Non ci si può fare nessuna illusione su una presunta svolta dell’ultimo giorno del governo americano per fermare Sharon: il massacro dei palestinesi non ci sarebbe potuto essere senza il via libera del governo americano, senza la nuova politica imperialistica americana, senza la guerra infinita di Bush.
Queste indicazioni politiche che escono dal nostro congresso – il rilancio del movimento dei lavoratori e del movimento contro la globalizzazione capitalistica; la lotta a fianco del popolo palestinese e in generale per la pace e contro la guerra di Bush; l’estensione della lotta e dell’azione unitaria contro il governo di centro-destra – sono indicazioni concrete importanti e positive che possono vedere unita e convinta un’ampia maggioranza del partito.
Così come condivido queste fondamentali proposte politiche, non condivido invece un orientamento a volte confuso, a volte contraddittorio, altre volte addirittura ambiguo sull’identità del partito.
Vorrei portare come esempio di ciò una cosa concreta che mi sono trovato fra le mani in questi giorni al congresso. Non so se avete letto il questionario che è stato qui distribuito ai delegati. Non è in discussione ovviamente la positività di una espressione diretta dei delegati anche con un si o con un no (in forma diciamo referendaria) su questioni delicate della nostra identità, ma trovo francamente discutibili due domande di questo questionario che invito chi non lo avesse fatto a leggere.
La prima domanda:
– “Secondo lei – leggo testualmente – è auspicabile un futuro partito unico della sinistra che riunisca Rifondazione Comunista e i DS ?” (e si può rispondere SI o NO).
E la seconda domanda:
– “Secondo lei potrebbe essere giusto rinunciare al nome “comunista” se questo consentisse di accelerare la costruzione di una grande organizzazione di sinistra radicale ?” (SI o NO).
Ecco, io due domande del genere non le farei nemmeno ai delegati del nostro partito, da un lato perché sono domande inutili, sappiamo già la risposta dei delegati, dall’altro lato perché comunque generano quelle confusioni e sbagliate interpretazioni sulla nostra identità di partito comunista, che rischiano persino di danneggiare l’innovazione, la riflessione critica sulla nostra storia, la stessa costruzione di un polo di sinistra di alternativa. Ho usato apposta il termine “polo” (che è il termine usato nella relazione introduttiva di Bertinotti) e non il termine “costituente” della sinistra di alternativa, perché questa potrebbe essere confusa con la proposta del Manifesto, che tutti abbiamo respinto. Cosa diversa è invece un “polo” di sinistra di alternativa, nella piena autonomia politica ed organizzativa del Partito della Rifondazione Comunista.