«Intercettare» la verità. Cosa fa la stampa?

Caro Giuseppe D’Avanzo,
ho apprezzato molto l’articolo uscito ieri su Repubblica. Mi ha colpito e ispirato al punto che senza nemmeno pensarci su ho preso carta e penna e ho cominciato a scriverle questa lettera aperta. Condivido tutto quello che ha scritto; ho trovato però nel suo preambolo qualcosa su cui forse sarebbe utile riflettere. Vorrei farle notare che quando scrive: «lo sapevamo tutti dell’Unipol, che il calcio è corrotto e che una ragazza per lavorare in Rai deve passare sul divano di qualcuno ecc.» così scrivendo è come se dichiarasse apertamente che non sta parlando con i comuni lettori. Perché è vero che tutti, comuni lettori e spettatori, siamo diffidenti e sospettosi su tutto, ma questo non fa di noi persone informate.
A parte le sue inchieste e quelle di pochissimi altri noi veniamo a conoscenza dei fatti solo quando a indagare è la magistratura perché i suoi colleghi non hanno o il coraggio o il potere o la capacità per farlo. Quindi le chiedo: con chi sta parlando? Si rivolge a quelli che non hanno nessuna intenzione di seguire i suoi consigli per giungere a una conclusione disperata? Accusa i politici di non prendersi le loro responsabilità ma rivolgendosi solo a loro esclude che i singoli cittadini possano assumersi le loro, quindi condivide in una certa misura il disprezzo che la classe politica sembra mostrare nei confronti del suo elettorato? Capisco che nel suo articolo la premessa è un artificio retorico che prepara al colpo di scena. Lei dice: il problema non è tanto sapere le cose, perché le sappiamo, il problema è agire di conseguenza una volta che si sanno. Ed è naturale ed è forse, chissà, il male minore che se i rappresentanti del popolo non reagiscono in modo adeguato, sia la magistratura a farsi carico di responsabilità che non le competono, con tutti i limiti e i pericoli che questo ripiego comporta. Vorrei che riflettesse sul fatto che il suo ragionamento, che si conclude teorizzando l’impossibilità di arrivare a una soluzione, forse contiene una via d’uscita proprio nella premessa. Può darsi che con questo andazzo sia inevitabile che la magistratura tenderà a espandere il suo potere oltre i limiti stabiliti, e di sicuro i politici che contano, da tempo hanno smesso di assumersi le responsabilità che loro competono occupandosi a tempo pieno e ormai sfacciatamente solo della propria autoconservazione.
Ci sono però altri due grandi poteri responsabili di questo degrado e sono l’opinione pubblica e l’informazione. E tra questi due poteri credo che sia difficile per tutti immaginare l’opinione pubblica come una forza che possa agire indipendemente dall’informazione. Quindi direi che chi fa informazione ha senz’altro più responsabilità nella costruzione e partecipazione del declino del nostro paese.
Ora, lei liquida le responsabilità dell’informazione nella premessa come se la reazione della stampa così superficiale e irresponsabile anch’essa di fronte all’enormità di questi scandali, fosse un fatto inevitabile che fa parte del folklore. Lei dice che ogni volta si ripete la commedia dei falsi dibattiti che non centrano il problema, i media sfruttano l’aspetto voyeristico delle intercettazioni ignorando i diritti dei registrati e tutto resta tale e quale, anzi scivola inesorabilmente verso un baratro di cui non possiamo misurare la profondità.
Ma potrebbe Gianfranco Fini mettere a tacere tutto se il giornale dove lei scrive e gli altri continuassero a pretendere delle risposte finché non le ottengono, consapevoli che queste risposte sono le stesse che i lettori vogliono avere? La domanda che rivolge indirettamente a Fassino è condivisibilissima. La Repubblica uscirà con un’intervista in cui si chiede a Fassino di spiegare in modo soddisfacente perché ha voluto esprimere solidarietà a Fini? Gli chiederà cosa ci vede lui, Fassino, che noi non vediamo, in quello che a noi sembra un comportamento inqualificabile e trucido nella fattispecie?
Io leggo le sue inchieste e penso di lei che è uno che sa fare il suo lavoro. Penso anche che il suo lavoro è quasi completamente vanificato dal contesto in cui viene pubblicato. Alla sua sacrosanta lamentela, il suo giornale per primo – pur immagino approvando in toto almeno formalmente la sua posizione – non farà seguire nessun comportamento coerente. Avrà una reazione identica a quella dei nostri rappresentanti: una apparente condanna a cui temo, per esperienza di lettrice, non seguirà nessun gesto concreto.