Intellettuali impegnatevi, Sanguineti si racconta

Pubblichiamo lo stralcio di “comunismo”, una delle voci raccolte in “Abecedario” di Edoardo Sanguineti, (edizioni DeriveApprodi, video-intervista a cura di Rossana Campo, regia di Uliano Paolozzi Balestrini, 2 dvd + libro, euro 35).

«Se hai la compagna, e non hai la tua casa, e i tuoi figli, così, non ti devono nascere, e sei troppo stanco per parlare e per amare, quando hai mangiato un boccone, la sera, e non dici più niente, nemmeno, agli amici, perché non c’è niente più, nella tua vita, tu, vota comunista». Ho scritto anche delle poesie diciamo così di propaganda, per intenderci. Non moltissime perché uno dei problemi difficili è quello di non essere retorici naturalmente pur esprimendo una visione politica il più possibile netta e precisa. Allora penso che se l’occasione è giusta e se si riesce così a non lasciarsi tentare da uno sloganismo un po’ facile sia in alcuni momenti doveroso scrivere poesie – usiamo una parola molto equivoca – impegnate. Ma in fondo parto dall’idea che si è impegnati sempre e comunque. E’ utile saperlo perché allora uno può cercare anche di controllare in qualche modo razionalmente quelle che sono le proprie posizioni.

[… ] Io partii da posizioni che chiamo anarchiche. Laborintus, il mio primo libro, è un libro dove chiaramente si propone l’anarchia come principio e secondo me era e forse lo è ancora oggi una storia abbastanza tipica quella dell’intellettuale nel senso largo della parola che trova la via della contestazione attraverso una volontà di rivolta. Il passaggio importante è passare dalla rivolta alla rivoluzione, che per me sono due cose radicalmente diverse. La rivolta può essere anche estremamente di destra, è una protesta contro lo stato delle cose, può essere fatta in nome del socialismo, può essere fatta in nome del fascismo, insomma. Penso così a un pensatore come Heidegger, che è un pensatore nazista, non solo perché aderì ecc., ma perché veramente tutta la sua dottrina filosofica è squisitamente nazista. Però se io leggo Heidegger – e Heidegger fu tra le letture per me molto importanti – la critica che mi fa allo stato delle cose, il realismo diagnostico, sia pure diagnosticato da destra, ne fa uno dei grandi reazionari, la stessa ragione per cui Marx amava Balzac. Balzac era un reazionario, le aveva tutte, però era il modello realistico, cioè di uno che da destra criticava la catastrofe che arrivava dal mondo borghese per nostalgia verso il mondo feudale, monarchico, cattolico, ortodosso – ortodosso nel senso dell’ortodossia. Ci sono critiche feroci di Engels – lo ricordo sempre volentieri – contro la poesia socialista che fanfalucava sulle magnifiche sorti che aspettava il mondo. Dante per me è un grande reazionario, Leopardi è un grande reazionario, spesso i grandi reazionari sono dei grandi contestatori.

Credo che per un giovane che ha un’educazione come poteva… Bisogna pensare che io ho visto Mussolini dal vivo, almeno due volte nella mia infanzia, il mondo era il mondo hitleriano, a dieci anni – siamo nel ’40, io poi sono di dicembre, beh insomma… – l’Italia entra in guerra, ho la memoria piena di cosa fossero i fascisti, quelli di Salò poi, e i nazisti ecc. Sono cose che si possono benissimo studiare sui libri ma se uno poi li porta nella carne, evidentemente nell’esperienza diretta, è pieno di ricordi che sono ricordi molto precisi, cioè riesce a rivivere le esperienze in concreto…
Bene, io ero un anarchico, ero disgustato dal mondo in cui vivevo non solo da quello nazista, ma anche le speranze di democrazia che furono aperte – e furono molto importanti – dalla Liberazione, dalla Costituzione e via dicendo, però non toglievano il punto che a mano a mano mi si faceva sempre più chiaro, cioè passare dalla rivolta alla rivoluzione. Ora questo passaggio vuol dire passare direttamente al comunismo perché la rivoluzione o è comunista oppure è controrivoluzione. Posso chiamare, battezzare qualunque cosa come rivoluzionaria, il punto è che soltanto un conflitto di classe polarizzato tra proletariato e borghesia è la realizzazione effettivamente di un atteggiamento – almeno per me – rivoluzionario. Poi ci si può intendere sulle parole: io intendo questo. E non essendo nato comunista il diventarlo ebbe degli aspetti qualche volta faticosi. Per esempio, io ero uno stalinista, ma fui più fortemente forse stalinista quando fu abbandonato lo stalinismo. Mi resi conto che Krusciov era un idiota, per esempio, subito. Qui parlo di anni molto più avanzati, ma non c’è dubbio che ai miei occhi nella storia europea c’era stato un momento decisivo che era il conflitto “O Stalin o Hitler”. L’alternativa era quella, gli americani non erano dei liberatori, se non nel senso di espansione dell’economia americana in Europa, un’ottima occasione. Vorrei vedere che non ne fossero morti, ma nessuno dice grazie ai morti sovietici che sono morti pure loro per eliminare il nazismo. Allora questa è veramente un’iniquità che chi ha vissuto quei tempi lo capisce fino in fondo perché se non c’era Stalin i nazisti ce li saremmo tenuti in casa. Non c’è nessun dubbio in questo, che Hitler abbia commesso l’errore di cadere nella orribile trappola di pensare che in quattro e quattr’otto avrebbe liquidato il socialismo reale fu assolutamente fatale. E per fortuna Stalin vinse, insomma.

Non rinnego nessuna di queste esperienze, le esperienze hanno un senso in rapporto a delle date molto precise. Allora Stalin rappresentava una grande apertura però era chiaro che io mi trovavo in una posizione culturale, uomo dell’avanguardia, che contemporaneamente era ipercensurata nell’Unione Sovietica. Ma io mi ricordo che avevo degli amici conservatori, in qualche caso nettamente reazionari che mi dicevano: “Sì, tu fai queste cose, scrivi queste cose, se fossi in Unione Sovietica, tu che sei comunista non potresti farle”. Io dissi: “Certo, se io fossi nato in Perù sarei un uomo totalmente diverso, se fossi vissuto sotto Giulio Cesare sarei un uomo completamente diverso, io vivo qui e oggi, io qui ho in mente certe cose, e riesco a capire quello, il significato dello stalinismo, e anche quello che non mi piace dello stalinismo”. Allora quando il Partito comunista era appoggiato sulle posizioni neorealiste, o realismo critico, realismo socialista, cose di questo genere come punti di riferimento, di queste cose non volevo saperne. Allora io non mi iscrissi mai al Partito comunista perché volevo mantenere questa onesta libertà di dissenso all’interno di certe posizioni che non erano solo d’ordine culturale, erano anche di ordine politico insomma, c’erano elementi che condividevo a fondo e c’erano elementi invece che mi lasciavano perplesso. Anche qui… io cito volentieri Brecht perché da un punto di vista di comportamento etico-politico è sempre esemplare, Brecht non si iscrisse mai al Partito comunista. Lavorò nella Germania orientale, fu anche critico nei confronti di molti elementi della Germania orientale, penso che potesse farlo proprio perché aveva mantenuto onestamente una posizione di distacco. Questo non mi impedì poi mai di sostenere in ultima istanza, come avrebbero detto volentieri i classici, le posizioni del Partito, di fronte a delle deviazioni, perché io capivo anche i limiti che poteva avere il Partito comunista nella situazione italiana, i limiti e i vantaggi che poteva avere. Quando Berlinguer dice: “E’ morta la spinta propulsiva”, io fui pieno di ammirazione per Berlinguer, era l’unico uomo al mondo credibile che poteva dirlo e lo poteva dire in due sensi: uno perché lavorava in Occidente e non in Oriente, se no non avrebbe potuto dirlo, ma nello stesso tempo era l’unico credibile perché era uno che progettava un comunismo europeo, un eurocomunismo come si diceva allora, che voleva essere l’uscita da un’impasse storica entro cui era penetrata la situazione del comunismo in un solo paese.

[… ] Allora se tu mi domandi cosa ne penso del comunismo oggi, per paradosso mi piace dire: in fondo ha ragione Berlusconi. Quando Berlusconi dice: “O me o i comunisti”, confessa una cosa molto semplice, che l’unica alternativa a tutte le forme del berlusconismo, cioè del potere del capitalismo finanziario oggi trionfante nel mondo attraverso la globalizzazione, sono i comunisti. Confessa una verità. [… ] In questo momento la parola d’ordine potenziale, l’unica seria, è ritornare all’unico punto che Marx vantava come proprio[… ]. Che cosa c’era di suo, di originale? “Proletari di tutto il mondo unitevi”, punto e basta. E nemmeno un programma da seguire. Cosa farà una società socialista non lo sapeva. La critica a Marx dicendo: “Non ha mai avuto un progetto di Stato”… Lo credo, voleva distruggere lo Stato. Stato e rivoluzione è un titolo correttissimo marxisticamente parlando, non a caso era il progetto leninista. Che poi le cose siano andate in un certo modo dovremmo conversarne lungamente e si potrebbe capire e spiegare tutto. Che cosa deve fare allora oggi un intellettuale [… ]? Oggi è chi lavora al computer che rappresenta meglio la posizione dell’operaio e dello sfruttato. Bene, detto questo, che cosa resta da fare? Quello che c’è sempre da fare da parte di un intellettuale, cioè fare un appello alla coscienza di classe. Che cosa sta accadendo oggi? Il proletariato ormai a livello mondiale è il 98% della popolazione mondiale ma non sa di essere proletariato. Allora l’intellettuale non può che favorire la ripresa di una coscienza di classe. E’ il suo compito storico, io lo considero il mio compito personale.