Inni e tradimenti, va in scena la resa dei conti

NON si era mai visto un partito che uccide il padre il giorno dopo averle portato in trionfo, anche se quello compiuto ieri notte dal congresso di Rifondazione è stato in realtà un delitto per interposta persona, una catarsi di rimbalzo.
PER colpire Bertinotti hanno pugnalato il suo figlio prediletto, quel Nichi Vendola che era il suo erede designato e che ha pagato con una amarissima sconfitta tutte le colpe imputate a dodici anni di bertinottismo.
Ma il dramma che si è consumato nella inutile frescura delle terme di Chianciano — perché il mal di fegato dei comunisti era tutto psicosomatico — non può essere compreso e spiegato inforcando solo gli occhiali della politica, incapaci per esempio di dare un senso al paradosso più eclatante: un partito che imputa alla sua dirigenza di aver portato Rifondazione nel governo Prodi, e poi elegge come nuovo segretario Paolo Ferrero, ovvero l’unico suo iscritto che di quel governo sia stato ministro.
No, c’è dell’altro dietro questo scontro avvelenato, dietro le raffiche di parole sorde che hanno segnato la resa dei conti di un partito ormai extraparlamentare. E forse ci vorrebbero le lenti della psicanalisi, che letteralmente significa scioglimento dell’anima, per decifrare le ansie nascoste, i sogni misteriosi e i desideri inconsci di una risicata ma solidissima maggioranza di comunisti che, dopo la più rovente sconfitta della loro storia, fucilano sul campo tutto il quartier generale e imboccano senza esitazioni il sentiero della purezza ideologica (o della solitudine politica).
Sotto il tendone bianco del Palamontepaschi ha prevalso, prima della ragion politica, la voglia irresistibile di regolare i vecchi conti, vestendola magari di altri sentimenti come nella trama di un dramma shakesperiano. Eppure bastava dare un’occhiata ai documenti delle cinque mozioni per trovarne le tracce. La mozione 1, quella di Ferrero, cominciava con una citazione di Majakovskij che era uno schiaffo al bertinottismo: «Esci partito dalle tue stanze, torna amico dei ragazzi di strada». E la mozione 4, quella del trotzkista Claudio Bellotti, ci andava ancora più pesante: «E’ necessario compiere una vera e propria rivoluzione interna che faccia piazza pulita dei veleni del carrierismo e dell’istituzionalismo». Titolo: «Que se vayan todos!», che se ne vadano tutti.
Così è stato. A nulla è servita l’affascinante, poetica e astuta orazione con cui Vendola ha aperto il congresso, indicando al partito la strada di una nuova autonomia, però senza rompere col Pd e senza rinunciare a cercare nuove alleanze a sinistra, «infedele ai richiami della nostalgia e dell’identitarismo». A nulla è valso l’appassionato intervento di Bertinotti, che evocava Lula, Chavez e Morales per seppellire definitivamente la «Sinistra Arcobaleno» e ammetteva che «bisogna saper imparare dalle sconfitte»: l’applauso che lo ha sommerso, quella standing ovation che per otto minuti ha dato l’illusione ottica di un partito di nuovo unito nel nome del padre, nascondeva la voglia di celebrare con un giorno di ritardo il 25 luglio di Rifondazione, l’espulsione dalla nomenclatura interna di chiunque abbia gestito il partito negli ultimi dieci anni.
L’ora della verità è arrivata nellanotte, almomento di votare il documento politico che avrebbe deciso la linea del partito. Allora i bertinottiani hanno capito che gli altri si erano coalizzati contro di loro, che non accettavano nessuna proposta di mediazione. «Abbiamo il 47 per cento — ha protestato poi Gennaro Migliore — e ci viene impedito di proporre un documento unitario. Incredibile. E’ come la storia del nano più alto del mondo, avete presente?». Bertinotti, però, aveva capito tutto in anticipo, quando ha sentito che l’intervento di Ferrero veniva salutato con «Bandiera rossa».
Allora s’è girato verso Vendola e gli ha sussurrato: «Hai capito cosa ti stanno facendo? Vogliono farti passare per il traditore del comunismo. Chi vota per te tradisce».
La sindrome del traditore ha spianato la strada all’ex ministro e sbarrato quella del governatore delle Puglie. Claudio Grassi, leader della corrente «Essere comunisti» con il suo 7 per cento avrebbe potuto consegnare a Vendola le chiavi della segreteria, ma lui non se l’è sentita di passare dall’altra parte, dopo il sangue sparso nei congressi provinciali — le assemblee taroccate, i tesserati fantasma e la guerra di ricordi — per non sentirsi chiamare Giuda dai suoi compagni. Era uno schiaffo a Bertinotti? Pazienza, commentava Maurizio Acerbo, il combattivo alfiere della mozione di Ferrero: «Qui non siamo nella fattoria degli animali. Nessuno è più compagno degli altri. Nessuno è maggioranza per diritto divino».
La parte di Bruto, ovvero il compito di assestare il colpo finale, è toccata a Giovanni Russo Spena, che ha letto al congresso il documento politico della nuova maggioranza. Senza enfasi e senza fretta («Ve lo leggo, compagni, sono solo quattro cartelle») l’ex capogruppo al Senato ha disegnato l’identikit della nuova Rifondazione: un partito ancora più marxista-leninista, che lavora nell’anno 2008 alla ricerca di una «società comunista», che si gode la sua solitudine per non inquinare la purezza della sua ideologia, chenonvuolsapeme non solo del Pd di quel centrista perso di Veltroni — centrosinistra addio — ma neanche del Partito socialista europeo, troppo in odore di socialdemocrazia.
Bertinotti ascoltava, dalla solita settima fila, e l’abbronzatura rendeva ancora più forte lo scurirsi del suo viso. Lui è rimasto muto, ma i suoi no.
«Si può tenere in vita un simbolo e cancellare la sua storia» ha gridato Graziella Mascia scendendo dal palco, mentre Vendola c’è andato giù pesante: «Considero questo congresso come la fine della storia di Rifondazione comunista». Per un partito nato da una scissione, la vera nemesi storica sarebbe la sua scissione. Invece ci sarà solo una coabitazione tra separati in casa: da una parte Vendola con la sua minoranza del 47,3 per cento—«ilnanopiù alto del mondo» — dall’altra Ferrerò con i comunisti duri e puri, da Citto Maselli al trotzkista Bellotti, che alzano una bandiera ancora più rossa e marciano spediti verso il deserto che li aspetta.