Inflazione, nuovo allarme rosso. Drastico calo nei consumi primari

Codice rosso, massima allerta, pericolo grave: l’inflazione è fuori controllo; la perdita del potere di acquisto di salari e pensioni è di almeno 1200 euro, dice l’Ires-Cgil; di 1830, rilanciano le associazioni dei consumatori.
Dopo che l’Istat ieri ha reso noto la malattia grave nell’andamento dei prezzi al consumo e la paranoia in cui è piombata la spirale dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali, i più alti dal 2003, Confesercenti, Confcommercio, Coldiretti, agricoltori, artigiani, sindacati rossi bianchi gialli e neri, si sono finalmente svegliati dal dormiveglia estivo in cui l’Italia è piombata dopo “l’effetto Berlusconi”.
I prezzi al dettaglio vanno all’impazzata, sotto la sferza implacabile della corsa del greggio. Il settore petrolifero è aumentato infatti del 5,8% in maggio e del 16,9% nei primi cinque mesi di quest’anno, determinando un incremento alla produzione nell’ultimo anno del 4% sui beni di consumo, del 2,7 sui beni strumentali, del 4,1 per i beni intermedi, del 21,5% per energia e trasporti.
Tutto ciò si traduce, per le sempre più desolate e sprovviste tasche dei cittadini-lavoratori-consumatori italiani, in una perdita secca del 6,1% sui prodotti alimentari e le bevande analcoliche, in sostanza la spesa di prima necessità e l’acqua minerale, con uno “choc allo scaffale” del 22,4% sulla pasta, del 13 sul pane, dell’11,1 sul latte, del 7,6 sulla frutta, del 4,1 sulle carni, del 3,2 sugli ortaggi.
Va da sé che il peso più gravoso lo sopportano i costi per le abitazioni e per le bollette di acqua luce e gas,aumentate dal mese di maggio del 2007 del 7,2%, e dei trasporti che, con l’incremento dei carburanti (12,6 la benzina) e dei combustibili per autotrazione (31,2 il gasolio), hanno subìto nell’ultimo anno un aumento medio del 6,9%.
Seguono gli alimentari e le bevande analcoliche, con il 6,1%; i tabacchi e gli alcolici, con il 3,2; i mobili e servizi per la casa, con più 3%; altri beni e servizi, più 2,9; i servizi ricettivi e la ristorazione, aumentati del 2,5; l’istruzione, la cui spesa è cresciuta del 2,4; l’abbigliamento e le calzature, più 1,8; la ricreazione gli spettacoli e la cultura, più 1,1%. L’unica voce in diminuzione (meno 2,3) stando alle rilevazioni Istat, è quella relativa alle comunicazioni, ma se una famiglia italiana va a farsi la somma delle bollette del telefono fisso (vocale), della linea adsl per internet, delle schede dei cellulari acquistate dai diversi membri della famiglia nell’ultimo anno, questo dato statistico sembra piuttosto discutibile e varrebbe la pena di metterlo sotto attento monitoraggio.
Cosa che hanno fatto alcune organizzazioni dei consumatori come l’Adusbef e e la Federconsumatori, per le quali a fine anno l’aumento complessivo dei prezzi si attesterà attorno a 1813 euro, con un tasso di inflazione reale del 6,1%, da cui ne deriva la richiesta al governo di un adeguamento del tasso di inflazione programmata, stabilita per quest’anno da Tremonti all’1,7%. Come si vede, una beffa assoluta, sia che abbiano ragione Adusbef e Federconsumatori, sia che ci si fermi al dato Istat che con una previsioni per fine anno attorno al 4% (come Eurostat per l’Eurozona) è comunque più del doppio rispetto a quanto fissato dall’esecutivo e dal ministro dell’Economia quale base per gli incrementi “consentiti” nei rinnovi contrattuali.
Molto preoccupati i sindacati, che chiedono un tavolo per tenere sotto controllo la spirale dei prezzi. «Bisogna che il governo prenda decisioni immediate per incrementare salari e pensioni – ha dichiarato per la Cisl Antonio Foccillo – perché dopo tanti proclami e denunce, ultima quella del governatore della Banca d’Italia, siamo al punto di partenza, con la vita di migliaia di persone che sta peggiorando velocemente».
Pronto l’altolà di Emma Marcegaglia e di Joaquin Almunia. Per la presidente di Confindustria «non possiamo permetterci di ritornare ad agire sulla rincorsa tra prezzi e salari. Su questo la nostra posizione sarà molto ferma e chiara». Idem per il commissario europeo agli Affari economici e monetari, che ha ribadito la necessità di evitare “l’effetto secondo round”, cioè l’innescarsi di una rincorsa inflattiva tra salari e prezzi, perché «gran parte dell’incremento è strutturale, ed è per questo che nei prossimi mesi i prezzi non scenderanno. Ma ci sono moltissimi abusi nella distribuzione dei prodotti alimentari e c’è anche un problema di trasparenza dei mercati petroliferi. Bruxelles sta facendo proposte per adottare misure che portino a un rallentamento dei prezzi – ha precisato Almunia – ma spesso a criticarci sono proprio i ministri degli Stati membri che bloccano ogni tentativo di fare chiarezza sulle cause reali del caro-petrolio e del caro-cibo».
In ogni caso, quali che siano le cause e le concause – ad esempio le anomalie innescate sui mercati internazionali dall’espianto di cereali per l’alimentazione a all’impianto di produzioni agricole per il biodiesel, o l’aumento ingiustificato del costo del mais ogm destinato ai mangimi per gli allevamenti – la Coldiretti lancia un avvertimento: «L’aumento dei prezzi favorisce il calo dei consumi a tavola, con riduzioni record del pane (meno 5,5%) e della pasta (meno 2,5%), che non hanno niente a che fare con i prezzi alla produzione della filiera agroalimentare, rimasti gli stessi dall’inizio dell’anno».