Non accadeva dal ’96. Da più di dieci anni, infatti, l’inflazione non registrava un aumento verticale così importante. I dati diffusi ieri dall’Istat, del resto, parlano chiaro e ci dicono che a marzo la nostra inflazione è arrivata al 3,3%. Un pesantissimo +0.4 rispetto al dato di febbraio. Non solo, la decisa tendenza al rialzo viene conferma anche dalla rilevazione dei prezzi alla produzione, dalla quale, sempre a febbraio risulta un aumento su base annua del 5,7%.
Come se non bastasse, Confindustria, il centro studi di Confindustria, fa sapere che la situazione non è poi così grave e che le misure per tutelare le fasce della popolazione più colpite dall’aumento dei prezzi «non passano nè attraverso blocchi o controlli sui prezzi, nè per aumenti generalizzati delle retribuzioni con sconti fiscali estesi a tutti. Occorre – specificano da viale dell’Astronomia – che il Paese adotti finalmente un welfare moderno» Come dire, a nessuno venga in mente di far sborsare i soldi alle imprese, è compito dello Stato, semmai, metter mano al portafogli.
Di fronte a tutto questo lo sforzo di Piergiovanni Alleva, ordinario di diritto del lavoro all’Università degli Studi di Ancona, non è tanto, o non è solo concentrato sulle cause di questo aumento dell’inflazione – petrolio alle stelle, recessione mondiale e così via – quanto, piuttosto, sulle azioni da intraprendere per tutelari i salari e il potere d’acquisto dei lavoratori.
Parla esplicitamente di scala mobile Alleva, che «non è un parolaccia», ma un modo concreto per «salvaguardare il poter d’acquisto dei lavoratori e degli strati sociali più deboli ed esposti». Anche perchè proprio Alleva nel lontano ’93, quando si decise di abolire la scala mobile, fu tra i pochi a manifestare i propri dubbi: «Lasciando le retribuzioni al gioco dei rapporti di forza tra le parti – ebbe a dire allora – entro dieci anni i salari italiani diverranno i più bassi d’Europa». Una profezia che purtroppo si è avverata.
Non solo, il professor Alleva è convinto che gli strumenti di misurazione dell’inflazione, il famoso paniere, almeno così com’è oggi «non è assolutamente rappresentativo dell’uomo medio. Anche perchè l’uomo medio non esiste più». Soluzione? «Progettate un paniere di beni di consumo primario su cui costruire vere forme di garanzie dei salari».
Professor Alleva, l’inflazione schizza al 3.3%, non accadeva da 10 anni. Cosa succede?
I motivi sono quelli che ormai conosciamo da tempo. Aumento del prezzo del petrolio, recessione mondiale e così via. Ma il problema, il problema che dobbiamo risolvere riguarda la tutela del potere d’acquisto dei lavoratori.
Da parte sua Confindustria fa sapere che la situazione non è poi così drammatica e che i soldi per i lavoratori devono arrivare dallo Stato e non certo dalle imprese…
Non mi stupisce. Confindustria continua a fare rigorosamente il proprio mestiere, il mestiere di padrone. E’ infatti evidente che a viale dell’Astronomia parlano di possibilità di aumento salariale solo parziale e legato esclusivamente al risultato produttivo. Di fronte al risultato sono disposti a pagare solo una parte della retribuzione. Il resto, sia chiaro, lo paga lo Stato. Insomma, massimo rendimento per l’impresa e massima fatica e incertezza per il lavoratore.
Da Sinistra, invece, per dare più potere d’acquisto ai salari arriva la proposta di una nuova “scala mobile”. Che ne pensa?
Innanzi tutto credo che non si debba aver paura delle parole. Chi parla di scala mobile sembra quasi che dica una parolaccia. Vogliamo chiamarla indicizzazione? L’importante è che ci si metta d’accordo sulle modalità. Da questo punto di vista vedo due possibili strade. La prima riguarda la tutela del potere d’acquisto attraverso un’integrazione rispetto all’adeguamento in via contrattuale o alla salvaguardia di quest’ultimo. Mi spiego, la scala mobile vera è quella che tutela il valore reale dei salari compresi gli incrementi contrattuali. Ogni contratto è acquisizione di ricchezza nuova. Se il costo della vita è passato da 100 a 105, di questo 105 posso avere un aumento salariale che mi porta a 103. Il problema a questo punto è: indicizzo solo i 2 punti necessari per arrivare a 105 o indicizzo anche il 103? Come seconda scelta metodologica possiamo pensare di adeguare i salari aumentando il guadagno nominale, dando dunque più soldi al lordo oppure aumentando il guadagno al netto. Mi spiego, per avere la stesso potere d’acquisto con 100 devo avere 105 netti oppure 108 lordi che mi diventano 105. Altrimenti devono togliermi i 5 punti dalla tasse.
In questo caso però pagherebbe il nostro erario e non le imprese.
Certo, a questo punto dobbiamo decidere se aumentare i salari o tagliare le tasse. E’ evidente che se tagliamo le tasse tagliamo anche i servizi per cui, alla fin fine, il peso di tutto ricade sempre sui lavoratori. Per questo Berlusconi dice di detassare gli straordinari. Se detassiamo il salario quando vi è un aumento di produttività significa che il lavoratore viene retribuito dall’erario. Insomma dobbiamo decidere se l’aumento salariale devono pagarlo i padroni o lo Stato. Capisco una scala mobile attraverso la detassazione quando non vi è aumento di ricchezza, ma non la capisco affatto quando invece siamo di fronte ad una ricchezza nuova da dividere tra profitti e salari.
Si parla anche di riprogettazione del nuovo paniere, che ne pensa?
La misurazione dell’inflazione non è un dato neutro. In effetti non ha molto senso parlare di paniere unitario dell’ uomo medio. Siamo di fronte ad una polarizzazione molto importante per cui i ceti più poveri concentrano la propria capacità di consumo sui beni primari, ed i ceti benestanti sui beni di lusso e non primari. In tutto questo sono proprio i beni primari ad aumentare di prezzo mentre quelli di lusso diminuiscono. Per questo dico che bisogna pensare di tutelare i beni veri, progettare un paniere di beni di consumo primario e garantire i salari proprio rispetto all’eventuale aumento di quest’ultimi.