La camera dice sì all’indulto, raggiunta la fatidica maggioranza dei due terzi: nella votazione finale 460 sì, 94 no e 18 astenuti. Dopo due legislature di illusioni e di disillusioni per i detenuti che affollano le carceri, vittime di inverecondi giochetti, Fausto Bertinotti può finalmente dire «è una bella giornata per le istituzioni, vince lo stato di diritto». Sarebbe stata una giornata bellissima se Di Pietro e i comunisti italiani non avessero scatenato uno scontro violento all’interno dell’Unione, una spaccatura che rischia di lasciare il segno. Ora tocca al senato che potrebbe votare entro la prossima settimana, anche lì la battaglia sarà dura. Parola di Antonio Di Pietro.
I deputati dell’Italia dei Valori hanno votato no insieme alla Lega e ad An, quelli del Pdc si sono astenuti. L’ultimo pretesto per bloccare l’indulto – dopo settimane di discussione in commissione giustizia durante le quali il Pdci si era mostrato assai poco interessato, anzi in genere assente – è stato il voto di scambio, l’articolo 416 ter che punisce fattispecie diverse dall’associazione mafiosa (articolo 416 bis, escluso dallo scontro di pena) e risulta peraltro di rarissima applicazione. L’emendamento contestato, quello che puntava escludere il reato in questione, è stato respinto con 408 no (Ulivo, Fi, Prc + 6 di An), 57 sì (Lega, Idv, 12 del Pdci + La Loggia di FI, Zipponi del Prc e Misiani e Rotondo dell’Ulivo) e 53 astenuti (An e altri). Luciano Violante è uscito dall’aula. Ora Antonio Di Pietro tuona: «Questo indulto è un voto di scambio politico parlamentare con cui l’Unione ha svenduto la propria dignità cedendo al ricatto di Forza Italia». E Oliviero Diliberto ha colto l’occasione per un attacco sgradevole a Francesco Forgione, deputato siciliano di Rifondazione e figura limpida dell’impegno antimafia.
L’atteso provvedimento di clemenza, tre anni di sconto per le pene fino a cinque anni con esclusione dei reati più gravi, è atteso alla prova del senato, che si annuncia difficile. Alla camera è dunque passato con i voti dell’Unione (meno Idv e Pdci) e quelli di Forza Italia e Udc. Il prezzo, sul quale l’Unione ha discusso al suo interno fino all’approvazione della bozza finale, votata anche da chi non la condivideva in particolare nei Ds e nell’Ulivo, è la non esclusione dei reati finanziari e di quelli contro la pubblica amministrazione, per i quali tuttavia rimangono pienamente vigenti le pene accessorie come l’interdizione dai pubblici uffici – comminata per esempio a Cesare Previti – e dall’esercizio di imprese e professioni. Anche Magistratura democratica mantiene le sue critiche, senza indicare il 416 ter, per l’estensione dell’indulto «ai reati relativi alla sicurezza della vita umana e della salute sui luoghi di lavoro, a quei reati – come l’usura – da sempre collegati alle associazioni criminali, alle violazioni tributarie o i più gravi delitti contro la pubblica istruzione e l’economia», si legge in una nota del segretario di Md Ignazio Juan Patrone che peraltro riconosce le ragioni dell’indulto. «Non viene prevista quella condizione del risarcimento del danno e della restituzione del maltolto che avrebbe almeno garantito un minimo ristoro», aggiunge Patrone segnalando l’aspetto concreto del problema.
Ad alzare la tensione fin dal mattino, prima del voto, è stato l’ex pm oggi ministro. Di Pietro non era contento dei titoloni sui giornali delle ultime settimane, quando organizzava le manifestazioni e raccontava tutto contento di essersi «sospeso no congelato» come ministro, «anzi – sbrodolava – il ministro lo faccio di notte». Ieri mattina il capo dell’Idv ha minacciato di pubblicare sul suo sito internet nomi e cognomi dei colleghi deputati che in commissione avevano votato sì all’inclusione dell’articolo 416 nella legge di indulto. «Deplorevole», ha commentato il presidente della camera. E Di Pietro: «Se Bertinotti non ritira le sue parole si aprirà un caso politico». Vedremo. La Casa delle libertà ha chiesto all’ex magistrato di dimettersi: «Mi sembra un po’ troppo’», ha risposto lui.
«Con Di Pietro non ci saranno strascichi», assicura il ministro della giustizia Clemente Mastella. Poco prima aveva bacchettato severamente il collega, sia pure senza nominarlo, nell’intervento in aula: «Non posso accettare il giudizio per cui chi è contro l’indulto è in regola moralmente e chi è favorevole ha invece qualche vicinanza con il tratto dell’immoralità». Mastella ha poi spiegato che «sull’indulto non c’è un’opinione del governo per la semplice ragione che è materia parlamentare». Dopo l’annuncio dell’astensione da parte di Diliberto, che ha colto di sorpresa l’Unione, la tensione è salita: tutti a cercare i deputati assenti per farli votare, inutile il tentativo di mediazione del guardasigilli.