L’Associazione Dignità, Identità e Solidarietà (D.I.S. Onlus) riceve e comunica la dichiarazione delle detenute della sezione di Alta Sicurezza del carcere di Rebibbia Femminile:
Alle forze politiche che il 24 luglio discuteranno in Parlamento un progetto di indulto. Alle Associazioni, ai familiari ed a tutte le persone detenute. A tutti coloro che sinceramente s’impegnano nella solidarietà con le persone private della libertà.
Le detenute della sezione di Alta Sicurezza del carcere di Rebibbia Femm. di Roma intendono con questo scritto far sentire la loro voce in merito al provvedimento di indulto di cui le forze politiche stanno discutendo. Dalle parziali informazioni comparse sui giornali ci sembra di individuare una volontà di operare un’ulteriore divisione e contrapposizione tra le persone che sono private della libertà ventilando un indulto che esclude «i più cattivi tra i cattivi». Un indulto, per definizione, è un provvedimento di clemenza a carattere generale dal momento che mira ad alleviare la pena prevista da un codice che, nel caso di quello italiano in particolare, è già tra le più severe e pesanti. Un indulto non generalizzato equivale, di fatto, ad un ulteriore grado di giudizio che si tramuta in una pena aggiuntiva per coloro che stanno già espiando una condanna che dovrebbe essere proporzionale, secondo le leggi vigenti, alla gravità del reato. Enfatizzando sulla criminalizzazione si tende volutamente ad incutere una paura ingiustificata che nasconde la situazione reale è cioè che 2 o 3 anni di indulto applicati a quelli che vengono considerati «reati gravi», significherebbe solo anticipare eventualmente l’accesso alle misure alternative. Ai fini della cosiddetta «sicurezza dei cittadini» ci domandiamo cosa cambierebbe se, per effetto di un atto di clemenza, si potesse accedere 2 anni prima ad un permesso o a qualsiasi altro beneficio, sempre e solo dopo lunghi anni di esclusione dalla vita sociale?
Un procedimento discriminatorio, oltre ad alimentare le tendenze forcaiole, che in maniera scandalistica speculano su tragiche situazioni che andrebbero seguite con ben altri strumenti da quello della segregazione carceraria, finirebbe per ottenere gli stessi effetti dell’indultino del 2001, limitandosi a sfollare le carceri per pochi mesi ed offrendo ancora una volta il pretesto per non affrontare la questione della necessità di adottare le misure alternative alla detenzione che, come conseguenza di un indulto generalizzato, sarebbero la forma più concreta per rendere effettivo e prolungato nel tempo l’effetto di un provvedimento di questo tipo. Sono questi i motivi che ci hanno indotto ad iniziare lo scorso 17 luglio una protesta pacifica, con uno sciopero del sopravitto e la «battitura» che si protrarrà sino al 24 luglio perché la verità è che l’unica cosa che ai non potenti non viene mai risparmiata è una pena lunga e nei fatti solo punitiva!
Le Detenute dell’Alta Sicurezza
Rebibbia Femminile, Roma