«Indipendenza? Qui regnano i clan»

È il monumento medioevale più importante della Serbia, per i suoi affreschi e la sua storia, tomba di re e luogo d’incoronazione. Chiesa, monastero, un grande complesso monastico, ora con le officina del legno e della pittura delle icone, più a sud una vigna antica. Per l’Unesco è patrimonio dell’umanità, per la storia dell’arte «l’anello mancante per capire il nostro medioevo». Fuori il contingente militare italiano che lo protegge – nel 2004 sono stati sparati contro il monastero anche colpi di mortaio. Dentro una comunità di rifugiati dalle distruzioni che vanno dal 1999 a oggi, con un picco nel 2004, comprese le quattro donne riparate nel convento dopo la distruzione della Santa Trinità di Djakovica. Un litania di profughi che ha visto fuggire nel terrore 200mila serbi e altrettanti rom. E siccome non è possibile immaginare un luogo di culto in assoluto, tantomeno ortodosso, senza un comunità – tantopiù che queste province si sono semprte chiamate Kosmet (Kosovo e Metohja, Terra della chiesa) – i monasteri ormai sono un presidio, un simbolo della residua presenza dei serbi in quel Kosovo che buona parte della comunità internazionale vuole consegnato ad una nuova indipendenza statuale etnica, quella albanese.
A padre Sava, responsabile del monastero e spesso portavoce dei serbi rimasti – che il giorno prima abbiamo incontrato a Villaggio Italia, base dei contingenti Kfor, dove era venuto per un incontro interconfessionale con esponenti musulmani e cattolici promosso dal generale Attilio Claudio Borreca che comanda i contigenti Kfor della zona ovest -, abbiamo rivolto alcune domande nella straordinaria biblioteca del convento, con l’aiuto di padre Andrej.
Che fareste se venisse concessa l’indipendenza secondo il piano del mediatore dell’Onu, Martthi Ahtisaari respinto nelle trattative ufficiali di Vienna? Il Patriarca Pavle ha invitato i serbi a rimanere in Kosovo.
I serbi vivono in queste terre da secoli, ci hanno vissuto sotto diversi stati e sotto diverse autorità, così la chiesa ortodossa ci ha vissuto, anche sotto diversi sistemi politici, a testimoniare la verità di Cristo. Il patriarca Pavle ha invitato il nostro popolo a rimanere fedele alla sua fede e alla sua tradizione. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu deve ancora decidere come si svilupperà la crisi del Kosovo. Non si tratta più di una questione «locale» tra Belgrado e Pristina, ma del nuovo ordine geostrategico mondiale. Il piano di Ahtisaari presenta molti elementi significativi per una permanenza dei serbi, ma nel contesto di un Kosovo indipendente che non avrà più legami istituzionali con la Serbia. E questo crea una grande preoccupazione da parte serba, perché c’è la fondata paura che senza legami con la Serbia non sarà possibile garantire la presenza a lungo termine in Kosovo del popolo serbo. Il piano ha molti elementi positivi, ma il contesto politico istituzionale negativo che propone scoraggia i serbi dall’accettare anche gli elementi positivi. Ora si discute molto a Belgrado sull’ultima versione del piano Ahtisaari. Che da una parte rifiuta il disegno di Pristina di indebolire i contenuti di protezione della minoranza serba, ma dall’altra dice no anche alla richiesta delle autorità di Belgrado di una connessione tra le proposte del piano e la risoluzione dell’Onu 1244. Quella che assumeva gli accordi di pace di Kumanovo che ponevano fine alla guerra della Nato e che prevedeva il ritorno del Kosovo all’autorità statuale della Serbia.
In questi giorni, dopo le aggressioni subite da molti monasteri, le autorità di Belgrado hanno chiesto che a protezione delle chiese ortodosse oltre ai militari della Kfor ci sia la polizia serba…
I media l’hanno presentata come il tema dominante delle trattative alle quali ha partecipato il nostro vescovo Teodosio. E’ stato solo uno degli argomentiin discussione, subito abbandonato. La proposta è stata fatta però perché a Belgrado c’è il timore che la Kfor, di fronte all’avvio della cosiddetta indipendenza, prepari il ritiro della protezione dei monasteri ortodossi per consegnarla al Corpo di polizia kosovaro-albanese (in maggioranza composto dalle ex milizie dell’Uck, ndr). Perché nel piano Ahtisaari si dice che «bisogna liberare la Kfor appena possibile della sua attività militare». La posizione della Chiesa è che la Kfor-Nato continui a proteggere il più a lungo possibile gli otto luoghi sacri ortodossi che la Kfor-Nato sta già proteggendo – il numero più grande è in questa zona e vede coinvolto il contingente italiano. La polizia kosovaro-albanese, specialmente in questa zona, non è né capace né motivata a proteggere monumenti cristiani. Nella sommossa del marzo 2004 il loro ruolo è stato deludente. Per questo la proposta della compresenza della polizia di Belgrado a supporto dei militari Nato era abbastanza legittima, ma improponibile perché poi ci vorrebbero più militari Kfor per proteggere i poliziotti serbi. Ma parlare di polizia serba non è una provocazione, il pericolo c’è ancora tutto. E riguarda anche le chiese che stiamo ricostruendo di Pristina, di Podujevo e in particolare di Pec che è stata nuovamente violata nei giorni scorsi. Sono chiese che hanno subito distruzioni e incendi nel marzo 2004, sono state ricostruite grazie al Consiglio europeo con dentro rappresentanti albanesi e serbi e i soldi del governo kosovaro, ma voglio denunciare che sono state di nuovo violate e derubate. La polizia kosovara non ha fatto nulla.
Ma esistono per voi gli standard democratici – rispetto delle minoranze, metodi non violenti, garanzie dei diritti umani – per concedere l’indipendenza al Kosovo?
Noi poniamo sempre una domanda ai rappresentanti della comunità internazionale: come si fa a parlare di indipendenza per una società che praticamente è al livello dei clan che governano il Kosovo? E dove le istituzioni sono una facciata dietro alla quale comandano potenti personaggi dell’ex Uck? Quando noi continuiamo ad avere gravi problemi con i municipi che ci rispondono che sono impotenti a risolvere i problemi che poniamo come comunità religiosa e serba e dove tutti i problemi sono demandati all’influenza di personaggi come Ramush Haradinaj e Hasim Thaqi internazionalmente squalificati. Mentre per attivare un piano d’indipendenza assai complesso ci vuole almeno il coinvolgimento di autorità, non solo locali, reali e politicamente credibili ed efficienti. Forse nel Kosovo centrale, dov’è maggiore la presenza internazionale, c’è una maggiore credibilità. Ma il nodo, dappertutto, restano i municipi. Prima che una decisione raggiunga Decani, Djakovica o Pec si perderà per strada. Perciò temiamo che molti provvedimenti del piano siano impossibili da mantenere; i poteri esecutivi devono restare nelle mani della comunità internazionale, sperando che si sviluppi prima o poi una élite politica democratica che non avrà più bisogno di protettorati. Per la protezione del patrimonio culturale ortodosso noi chiediamo concretamente una tutela dell’Unione europea. Vogliamo che la Nato rimanga il più a lungo possibile. Questi luoghi sacri potrebbero essere distrutti in una notte e tutto lo sforzo finora dimostrato dai vostri contingenti potrebbe essere vanificato con la poco prudente concessione dell’indipendenza.
Come finirà allora?
Siamo ottimisti. Naturalmente per esserlo ci basiamo su valutazioni non solo politiche, altrimenti dovremmo essere più che pessimisti. Abbiamo una visione dei problemi escatologica. Come gli affreschi della nostra chiesa, non ci raffiguriamo la realtà così com’è ma come crediamo sarà nel regno dei cieli. Ma torniamo alla realtà. Noi speriamo che la presenza internazionale rimanga, sia quella militare che quella civile, almeno finché tutti i Balcani occidentali siano integrati nell’Unione europea. E’ molto importante mantenere la stabilità politica in Serbia, facendo la concessione di non dare al Kosovo un posto alle Nazioni unite come fosse uno stato internazionalmente riconosciuto, fino al momento della piena integrazione dei Balcani occidentali in Europa quando questa questione sarà risolta. La Serbia è pronta adesso a concedere al Kosovo molti elementi di uno status di autonomia, quasi statale, ma all’interno della Serbia: avrebbe tutte le prerogative di uno stato senza il posto all’Onu e certamente con il mantenimento di legami istituzionali con i serbi del Kosovo, attraverso una collaborazione flessibile con le istituzioni del Kosovo. La proclamazione di una indipendenza completa causerebbe una maggiore destabilizzazione in tutti i Balcani. Non dico questo perché gli albanesi non ottengano quello che vogliono. Forse anche loro hanno diritto a desiderare l’indipendenza, così come i serbi hanno diritto di continuare a vivere nel loro paese, in un Kosovo serbo, come è stato in tutti questi secoli. Bisogna trovare una soluzione provvisoria, legata ad una via dinamica verso l’Unione europea. Questo condizionerebbe Belgrado e Pristina ad uno scopo comune e li costringerebbe ad essere fedeli agli accordi. E’ l’unico modo che potrebbe portare maggiore stabilità a quest’area, ai Balcani e all’Europa. Ora vedremo che cosa decideranno i grandi poteri mondiali, perché alla fine l’accordo sarà tra Washington, Mosca e Bruxelles tutti pronti a far accettare il piano Ahtisaari così com’è.