Non è la prima volta che la Fiom finisce sul banco degli imputati. La pubblica accusa è la Cgil, cioè la confederazione sindacale di cui i metalmeccanici rappresentano la principale costola industriale. E siccome il reato contestato è la partecipazione alla manifestazione contro la precarietà, la difesa – restando alla metafora – non può che essere costituita dai 200 mila partecipanti alla mobilitazione contro la legge 30 ereditata dalla deregulation berlusconiana. Come questo giornale ha raccontato, un’uscita di dubbio gusto e dubbia opportunità politica dei Cobas contro il ministro Damiano aveva offerto l’occasione alla segreteria della Cgil per ribadire la sua estraneità a quel corteo che a Corso d’Italia appariva segnato da intenzioni antigovernative e invitare le categorie a seguire il suo esempio. Qualcuno aveva raccolto l’invito, altri – la Fiom, ma anche Lavoro e società e la Rete 28 aprile – avevano confermato l’adesione. Di precarietà, Finaziaria e pensioni parliamo con il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini.
C’è un problema tra Fiom e Cgil. E colpisce l’analogia tra lo schieramento sindacale del 4 novembre e quello del 21 luglio 2001 a Genova.
A me colpisce che nessuno sembra accorgersi che alla manifestazione non c’era solo la Fiom ma anche Lavoro e società. Viene da pensare che il punto vero riguardi il rapporto tra confederazione e categorie, lo stesso nodo che era emerso a Genova. E’ come se la dialettica fosse possibile solo tra aree programmatiche.
Nei vostri confronti circolano due accuse: 1) la Fiom si muove come se fosse il quarto sindacato (Cgil, Cisl, Uil e Fiom); 2) fate politica invece che contrattazione.
Il quarto sindacato? Non sta né in cielo né in terra, è un’idea deformante secondo cui le questioni generali sono patrimonio della confederazione mentre alle categorie compete la difesa degli interessi degli associati. Questa è una logica di altri sindacati, non della Cgil che è nata cent’anni fa su iniziativa di alcune Camere del lavoro e alcune categorie. La relazione al congresso di fondazione della Cgil fu tenuta dal segretario della Fiom, un sindacato nato 5 anni prima. Non esiste il quarto sindacato, come non esiste la Fiom senza la Cgil. Dire poi che non facciamo sindacato ma politica è ridicolo. La ragione del conflitto è un’altra, riguarda il rapporto tra vicende sindacali e vicende politiche.
Parli del «governo amico»?
Siamo in una fase di ridefinizione di buona parte della forze politiche e, nello specifico, della rappresentanza della sinistra. Per molti, nel sindacato, sia in confederazione che nelle categorie, si pone il problema di una ricollocazione dentro questo processo. Non ci sono problemi per chi ha come orizzonte le dinamiche interne al Partito democratico, mentre i sospetti fioccano se un segretario di categoria guarda altrove. Personalmente, io resto ancorato a un’idea di autonomia e indipendenza del sindacato. Credo addirittura nel ritorno all’incompatibilità.
Torniamo al corteo del 4: come giudichi le critiche confederali alla Fiom?
Alle critiche risponde la manifestazione stessa. Preferisco esprimere un giudizio, molto positivo, sul corteo, anche per la presenza di tanti giovani e tanti lavoratori stranieri che dovrebbero costituire un segnale importante per tutte le organizzazioni. Prendo atto con piacere che il presidente del consiglio e uno dei due vicepresidenti ne hanno dato un giudizio positivo, precisando che non era una prova contro il governo ma contro la precarietà. Ma c’è ancora chi spiega a Prodi che è impazzito, per non aver capito che la protesta era contro di lui.
Quando venne presentata la Finanziaria rinviasti il giudizio al momento in cui fosse chiaro il segno, la sua direzione di marcia. Cosa dici oggi?
Perché, adesso il segno è chiaro? Posso esprimere soltanto alcune impressioni, in attesa di vedere il testo approvato. Aver deciso di farla così pesante, in presenza di una struttura fiscale falsa, non poteva che produrre un esito confuso sui soggetti da cui reperire le risorse necessarie. Ma le dimensioni della Finanziaria non possono certo essere oggetto di trattativa sindacale: un contenzioso con l’Europa si può aprire solo se c’è la volontà politica del governo. Una ragione di più per dire che questa è la Finanziaria del governo, non del sindacato. Non vedo però nelle intenzioni un’azione punitiva verso i lavoratori e le retribuzioni più basse, dunque sarebbe un grave errore sperare o peggio lavorare per una crisi di governo. Ma sono preoccupato per i tavoli di confronto tra le parti sociali e il governo annunciati per gennaio su pensioni e precarietà, con Confindustria che pretende di strappare una controriforma del sistema contrattuale e del regime degli orari.
E qual è il punto di vista della Fiom?
Si arriva all’appuntamento con un malessere diffuso tra i lavoratori e i precari. Noi chiediamo democrazia e trasparenza nelle scelte: nessuna trattativa è possibile senza una proposta unitaria, discussa e votata dai lavoratori. I tempi sono stretti, Non c’è tempo da perdere. Nel merito riteniamo urgente una nuova legislazione basata sulla centralità del lavoro a tempo indeterminato, che non può essere oggetto di scambio con orari e contratti. In altre parole, per la Fiom non esiste il «patto per la produttività» evocato da Montezemolo.
E poi ci risiamo con le pensioni…
Una trattativa che si limitasse a discutere su dove reperire le risorse per abolire lo scalonte di Maroni sarebbe segnata, in negativo. La Finanziaria ci ha già regalato un aumento dello 0,30 % del contributo fiscale tutto a carico dei lavoratori, dal 32,7 al 33%. Nessun peggioramento è ammissibile.
Il ministro Damiano dice che si può lavorare su una definizione seria dei lavori usuranti.
E che problema c’è, bastano gli incentivi. Non dimentichiamoci che stanno continuando i prepensionamenti, non ha senso discutere di pensioni a prescindere dal paese reale. In Europa, come del resto da noi, l’età legale e l’età effettiva del pensionamento sono ben diverse, in Germania e in Francia il sussidio disoccupazione è il 70% del salario e la spesa sociale è al 30%. In Italia è al 26,4%, è un imbroglio raffrontare realtà non comparabili per giustificare la pretesa di alzare l’età pensionabile.