Quali sono gli orientamenti e le tendenze delle economie della Cina e dell’India? Quest’ultima viene spesso presentata come se seguisse una traiettoria di ipercrescita simile alla Cina. E’ un’impressione errata alimentata da un giornalismo superficiale e dalle stesse élites indiane.
Il tasso di crescita dell’economia indiana è dichiarato intorno al 7% – solo da alcuni anni però – e con un ritmo di crescita della popolazione dell’1,6% annuo, il doppio di quello cinese. Dopo le sconvolgenti misure amministrative di Indira Gandhi, che introdusse controlli forzati fino alla sterilizzazione obbligatoria, il tema del controllo delle nascite è diventato un argomento tabù. Quindi, dato che il tasso crescita dell’economia cinese è superiore a quello indiano, ne consegue che, in termini di prodotto per abitante, il divario tra Cina ed India sta aumentando in favore della prima.
Questa tendenza dura dal 1990. Vi sono quindi tre fasi nella dinamica tra Cina ed India. Nella prima fase, post 1947 per l’India e post 1949 per la Cina, la dinamica di quest’ultima era superiore a quella indiana per via della maggiore concentrazione nel settore industriale secondo il modello sovietico allora seguito. Furono proprio gli economisti indiani a sottolineare il fenomeno. Con la crisi agraria dei primi anni Sessanta dovuta alla sciagurata politica del «Grande Balzo in Avanti» e con la decade di sanguinosi scontri interni causati dalla Rivoluzione Culturale, la Cina regredisce nei principali campi produttivi. Secondo stime fondate sulla parità del potere d’acquisto, sembra che allora l’India abbia superato la Cina. La situazione si ribalta nuovamente dieci anni dopo le 4 modernizzazioni varate da Deng Xiaoping nel 1978. Si noti come la base industriale «sovietica» costruita in Cina negli anni Cinquanta abbia fornito la struttura portante per la reindustrializzazione capitalistica. Senza di essa la Cina non potrebbe oggi produrre circa 280 milioni di tonnellate d’acciaio e appestare l’aria, soffocando la gente e avvelenando i fiumi. Tutti problemi oggi ufficialmente riconosciuti a Pechino come di difficilissima, se non impossibile, soluzione.
In effetti l’elemento in comune tra i due paesi consiste nel rapido degrado ambientale, ma per il resto le tendenze non sono tanto comparabili. Gira e rigira quando si parla positivamente dell’India si finisce per indicare il settore informatico. Tuttavia il suo contributo al prodotto lordo indiano è stimato appena sopra il 4% e occupa in totale poco più di 1 milione di persone. Molto più grave è il fatto e che non c’è una grande continuità tra questo settore ed il resto dell’economia. Sebbene sia una notevole esportatrice di software, l’India ha un tasso di penetrazione dei computers ancora molto molto basso. Secondo l’Economist si prevede che per il 2010 i personal computers aumenteranno di 80 milioni di unità, ma in Cina l’espansione sarà di 178 milioni.
L’assenza di continuità strutturale è il principale ostacolo al vero decollo dell’India. Nel campo dell’informatica e software, ad esempio, le imprese devono provvedere in proprio all’energia elettrica tramite generatori e cercare di aggirare il caos stradale e portuale. In questo contesto l’India ha un settore, l’informatico, che – benchè piccolo in termini occupazionali e di Pil – contribuisce per oltre il 25% alle esportazioni totali. Tuttavia traina poco, tant’è che la crescita occupazionale nell’industria è molto lenta. Il grosso dell’espansione avviene nel settore dei servizi. Quindi l’India è simultaneamente postmoderna e premoderna. In quest’ultimo comparto è racchiuso il 70% della popolazione totale, che appunto vive nelle zone rurali. Contemporaneamente, nel settore postmoderno si espande prevalentemente il lavoro informale ed in nero, per cui la povertà e si riproduce e l’impulso alla domanda interna viene principalmente da un’ élite assai ristretta, se rapportata alla popolazione totale. In Cina l’espansione si basa su un alto tasso di investimento interno, stimato tra il 35 ed il 40% del Pil, connesso alla strategia delle esportazioni, ove quelle verso gli Usa hanno la funzione di trasformare la gerarchia settoriale dell’export. Esso oggi si orienta prevalentemente su produzioni meccaniche e di tecnologie intermedie nel campo dei macchinari. E’ la connessione tra alti investimenti interni ed il ruolo trasformatore delle esportazioni che permette alla Cina di usare in maniera sistematica il meccanismo marxiano dell’esercito industriale di riserva, mantenendo quindi i salari deboli rispetto alla produttività. L’India con il 70% della popolazione bloccato nell’agricoltura, spesso in un rapporto di servitù per via dell’indebitamento verso gli agrari, non ha per ora grandi possibilità di lanciarsi nella tumultuosa traiettoria cinese.