Per comprendere ciò che si è prodotto nel congresso di Rifondazione comunista, più delle molte interpretazioni che sono state date dei contenuti delle mozioni e degli schieramenti che si sono venuti formando, valgono le immagini della platea del congresso al momento della proclamazione del compagno Ferrero a segretario del partito. Sbaglia chi, come il compagno Vendola, dà della nuova linea emersa dal congresso la lettura di un ripiegamento nostalgico o di un arretramento rispetto al processo di innovazione a suo tempo avviato. E’ vero esattamente il contrario. Le immagini di quella platea festante che intona le canzoni e gli slogan dei comunisti, indica la voglia di una parte consistente della nostra base – che a me pare vada molto oltre le percentuali della nuova maggioranza che si è formata – di riappropriarsi del partito, della sua identità, della sua carica anticapitalistica, della sua vocazione conflittuale e non subordinata. Questa riappropriazione è la reazione legittima di una base a cui in questi anni è stato tolto il senso di un’appartenenza. La vicenda della sinistra-L’Arcobaleno, con il corollario della disfatta elettorale, ne è l’emblema. Questa opzione aveva in sé la scelta del superamento del partito e della costruzione di un improbabile partito della sinistra senza il benché minimo riscontro in termini di contenuti e pratiche sociali. Il compagno Vendola rivendica quella scelta e ne ha il diritto, ma non ha ragione quando cerca di screditare la nuova linea emersa dal congresso magnificando quella che ci ha portato al disastro perché il bilancio di quest’ultima, prima ancora che da alcune mozioni congressuali, è stato tratto dai milioni di elettori che non ci hanno votato. La costituente della sinistra è stata seppellita da quel pronunciamento popolare e nulla vale a salvarla. Il congresso di Rifondazione comunista ne ha preso atto e l’ha derubricata. I compagni della mozione 2 menano scandalo, gridano al tradimento, e polemizzano sulla tenuta della nuova maggioranza. Sbagliano una seconda volta. Perché se non si mette la parola “fine” alla proposta di superamento di Rifondazione comunista non si va da nessuna parte, si dilapida semplicemente un patrimonio ideale e politico per consegnarsi ad un’avventura senza sbocco, destinata a finire nell’area di influenza del Pd. Ed è anche per questo che la distinzione dal Pd è una condizione essenziale per rilanciare l’autonomia politica del partito, per evitarne la deriva moderata e per creare le premesse per una adeguata battaglia di opposizione. La sconfitta elettorale che abbiamo subito infatti, indica che si è prodotta una cesura con la nostra base sociale e qui davvero le scelte di governo e quelle della presentazione della lista dell’Arcobaleno si intrecciano. Entrambe mettevano in discussione un’identità conflittuale e davano il senso di una deriva verso l’omologazione. Senza una svolta a sinistra di questo partito, molto proiettata sul conflitto sociale e sull’interpretazione dei bisogni espressi dal mondo del lavoro e dalle nuove fasce di disagio sociale, non vi è alcuna prospettiva. In alcuni interventi pronunciati nel corso del congresso dai compagni della mozione 2, non ho trovato questa tensione. Ma la riproposizione di un’impostazione che non ci consente di ricostruire il legame sociale che si è rotto. Chi sostiene che la nuova maggioranza è fragile e non reggerà, ovviamente ponendo speranze in una auspicata disgregazione, fa un altro errore. E’ certamente vero che i numeri sono risicati, ma dietro questi numeri vi è un orgoglio che è stato restituito al partito, il ritrovarsi di una comunità, la spinta a ridare senso ad una militanza e vi è una proposta tutt’altro che asfittica e minoritaria. E’ una proposta che guarda ai bisogni e ai conflitti e che nel contempo apre alle interlocuzioni con forze politiche e sociali rompendo con vecchi settarismi ma confrontandosi sui contenuti. Per alcuni compagni, a quanto pare, la “riscoperta del comunismo” è un inguaribile riflesso nostalgico, per me è un segno di vitalità. E’ la riscoperta della missione storica di un partito che era nato per impedire appunto che sparisse un’opzione comunista, e che via via se ne era allontanato perdendo, come era inevitabile, la ragione stessa della sua esistenza. La maggioranza che si è formata raggruppa forze diverse, ma queste forze nel corso stesso del congresso, hanno costruito livelli di unità inimmaginabili al suo inizio. Non si è trattato, come si vorrebbe far credere, della convergenza utilitaristica di alcuni stati maggiori, ma della consapevolezza crescente da parte della base di queste mozioni, che, o si dava il via ad una svolta di sinistra al nostro partito cambiando radicalmente la linea politica, o questo sarebbe morto. Nell’emozione che attraversava la platea alla fine del congresso c’era questo sentore comune. In un nuovo corso del Prc c’è spazio per tutti, anche per chi dissente. Sono stato, insieme ai compagni che hanno dato vita alla terza mozione, all’opposizione dal congresso di Venezia in poi e ho sperimentato la pratica di gruppi dirigenti che intendevano l’applicazione del principio di maggioranza come l’emarginazione delle minoranze. Un nuovo Prc deve dare cittadinanza a tutte le posizioni e consentire loro di contribuire al meglio al rilancio del partito. Saprà la consistente minoranza di Rifondazione comunista cogliere questa disponibilità? Me lo auguro, sinceramente. Ma in ogni caso il partito non resterà fermo. Abbiamo molto lavoro da fare e molti guasti da sanare.