In sala regna «L’Ordine della Fenice»

Harry Potter incontra il lato oscura della Forza. E come Luke Skywalker nella saga di Guerre stellari, dovrà scoprire che la differenza tra il Bene e il Male è più complessa di quanto si creda e che il loro scontro avviene sempre dentro ognuno di noi. Arrivate alla quinta puntata cinematografica, mentre quelle letterarie sono ormai in vista della conclusione prevista con il settimo volume («Harry Potter and the Deathly Hallows», nei Paesi di lingua inglese in vendita dalla mezzanotte del 21 luglio, mentre in Italia Salani lo pubblicherà a fine anno), le avventure del maghetto con la cicatrice a forma di fulmine sulla fronte si colorano di una nota ancora più cupa e angosciosa e sfruttano il cambio di regia (David Yates) e di sceneggiatura (Michael Goldenberg) per imboccare una strada a cavallo tra i generi — il tono fanciullescamente fantasy del primo episodio, qui è stravolto da robuste iniezioni gotiche e horror — e accompagnare la prevedibile crescita del pubblico verso un tipo di spettacolo più inquietante e adulto. E non solo per il già tanto strombazzato «primo bacio» di Harry Potter quanto per la trasformazione di un romanzo di formazione (ancorché magico) in una specie di saga morale (con ambizioni filosofiche). Lo si capisce dalle primissime scene, quando Harry (Daniel Radcliffe), in vacanza dai soliti odiosi zii babbani, deve usare la magia per respingere un misterioso attacco di Dissennatori.
Per questo verrà processato dal Ministro della Magia, scoprendo di essere al centro di uno scontro tra chi teme il ritorno di Voldemort (e quindi crede che il duello alla fine del film precedente, Harry Potter e il calice di fuoco, sia davvero avvenuto) e chi invece, come i «burocrati» del Ministero, preferiscono negarlo. E per avvalorare le loro tesi non solo iniziano una sistematica campagna di denigrazione contro Harry Potter ma inviano alla scuola di Hogwarts la perfida professoressa Dolores Umbridge (Imelda Staunton) con l’incarico di ristabilire la disciplina e stroncare ogni possibile «ribellione». Per fortuna, Harry Potter non è solo ad affrontare uno scontro che incubi e coincidenze rendono sempre più imminente. Da una parte Albus Silente (Michael Gambon) ha ridato vita all’organizzazione clandestina dell’Ordine della Fenice proprio per combattere il ritorno di Voldemort (Ralph Fiennes, con la tradizionale faccia da serpente senza naso) ma dall’altra, spinto da Hermione (Emma Watson) e Ron (Rupert Grint), lo stesso Potter preparerà in gran segreto un gruppo di maghetti nelle arti dei sortilegi per non trovarsi impreparati nel momento dello scontro col nemico.
Che puntualmente avverrà alla fine del film, proprio nei locali sotterranei del Ministero della Magia e che, come sanno benissimo i lettori di J.K. Rowling, lascerà sul campo alcuni morti (Sirius Black su tutti, interpretato da Gary Oldman, quasi irriconoscibile sotto barba e baffoni) e si chiuderà con una sconfitta di Voldemort per niente definitiva. Questo, a grandi linee, il percorso del film, che naturalmente si arricchisce di personaggi vecchi e nuovi (tra questi, il più curioso è il gigante Grop — Tony Maudsley — la cui simpatia per Hermione si rivelerà provvidenziale nel mettere fuori combattimento la temibile professoressa Umbridge) ma che finisce per sfruttare solo parzialmente le potenzialità narrative per puntare tutte le sue carte su un paio di temi forti: il ruolo e l’importanza dello studio e dell’applicazione (la Rowling non si dimentica mai che il suo pubblico deve essere «educato») ma soprattutto la scoperta che il Male è una parte di ognuno di noi. «Tutti abbiamo luce e oscurità dentro di noi. Conta da che parte decidiamo di agire» spiega Sirius a Harry e se facciamo caso al fatto che Silente sembra la versione medioevale (barba più lunga, copricapo più folcloristico) di Obi-Wan Kenobi, balza evidente all’occhio l’ossessione tutta «protestante» per un’idea del male non tanto come tentazione peccaminosa quanto come fascinazione per il potere.
In termini più fanciulleschi e sincretici (cioè, sotto sotto, cine-televisivi) Lucas, in modi più inquietanti e gotici (generalizzando, potremmo dire letterari) la Rowling, sembra proprio che entrambi questi eroi adolescenziali — guarda caso, entrambi orfani e entrambi chiamati dal destino a compiti apparentemente più grandi di loro—siano i protagonisti di una specie di nuovo capitolo dell’«etica protestante»: non più spirito del capitalismo, ma angoscia del Male. Una lettura forse un po’ eccentrica, ma che trova una sua giustificazione proprio nella scelta di «glissare» sull’evoluzione fisica e psicologica del protagonista (quell’unico bacio così poco erotico con Cho Chang — Katie Leung — stona decisamente con lo sviluppo anche solo muscolare di Harry: che fine fanno gli ormoni a Hogwarts?) e nelle scarsissime spiegazioni che vengono offerte allo spettatore, dando in qualche modo per scontato una approfondita conoscenza di tutta la saga e una perfetta riconoscibilità dei tantissimi personaggi di contorno. A soffrirne è la coerenza narrativa e qualche volta la logica (possibile che nessuno si accorga che l’infido Lucius Malfoy è in tutto e per tutto un Mangiamorte, cioè un cattivo?).Mai 300 milioni di lettori dei romanzi — tante sono le copie vendute dei primi sei volumi — che correranno al cinema per ritrovare i loro eroi non ci faranno molto caso. I pochi altri digiuni di «maledizione cruciatus» o di «occlumanzia» se ne dovranno fare una ragione.