A Kalkilya un festival di musica è stato proibito perché donne e uomini non possono danzare insieme. Succede dopo la vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi. Un caso eclatante, quello di Kalkilya, ma i cambiamenti sono striscianti e inquietanti. Ne parliamo con Zahira Kamal. Fino alla formazione del nuovo governo, è ministra dimissionaria per le pari opportunità. Zahira non è sposata, è stata delegata in quanto dirigente politica alle trattative di Madrid del 1991. E’ Zahira Kamal che, nel 1988 nel primo incontro a Gerusalemme delle donne italiane, palestinesi ed israeliane, ci disse: «Noi donne stiamo lottando non solo per la libertà nazionale ma per la libertà liberazione di tutte e tutti».
Si aspettava questo risultato delle urne?
Mi aspettavo una vittoria di Hamas. Abbiamo osservato con attenzione il periodo pre-elettorale e anche la campagna elettorale. Era chiaro che avrebbero vinto. Quello che non mi aspettavo e che forse non si aspettava nessuno è una vittoria di questo tipo, con questa maggioranza schiacciante. Non tanto in termini di voti quanto di seggi.
Lei non era candidata a queste elezioni?
Me lo hanno chiesto, e con insistenza, ma ho percepito che la situazione in Palestina, soprattutto a Gerusalemme Est – io sono di quel distretto – era molto delicata e complessa, e ho deciso di non candidarmi sin dall’inizio. In fin dei conti volevo continuare il mio lavoro per le donne, un lavoro che porto avanti da anni con molte attiviste e organizzazioni per la pace, e da due anni in particolare con il ministero delle Pari opportunità, il primo nella storia della Palestina.
Quali sono state le priorità portate avanti dal suo ministero?
Il mio lavoro in questi due anni si è incentrato ovviamente sul ruolo della donna nelle dinamiche politiche, sociali ed economiche in Palestina. La nostra agenda punta soprattutto allo sviluppo delle pari opportunità con progetti nella società civile ma anche all’interno di altri ministeri, come ad esempio quello dell’Informazione, per garantire una pari visibilità alle donne come agli uomini. Abbiamo collaborato con associazioni palestinesi ma anche straniere, tra queste anche alcune italiane, per consolidare un codice dei diritti delle donne, che vanno considerati diritti umani tout court. Abbiamo stabilito delle quote per avere una giusta rappresentanza femminile nell’Assemblea legislativa. Abbiamo fatto delle leggi per la protezione della donna dalla violenza, all’interno e all’esterno della famiglia. E poi abbiamo creato dei centri di studi e ricerca come il Women Resource and Research Center che ha il sostegno anche dell’Unesco.
Crede che il suo Ministero continuerà ad esistere anche con il nuovo governo?
Non so se il ministero delle Pari Opportunità continuerà ad esistere, ritengo di sì, il problema è capire se continuerà a lavorare nella stessa direzione in cui noi abbiamo lavorato in questi ultimi due anni. Sicuramente c’è bisogno di cooperare, di confrontare i differenti punti di vista e le diverse esperienze per costruire e rafforzare le istituzioni e pianificare le priorità, ma soprattutto bisogna rivitalizzare i movimenti e le associazioni delle donne che negli ultimi anni, con la situazione di aggressione e repressione israeliana sono stati costretti ai progetti e all’assistenza.
In questo senso, quali pensa che saranno le future politiche delle donne neoelette?
Tra le 17 donne che sono state elette nel Consiglio legislativo, grazie anche al sistema delle quote, almeno con nove di queste si può avere un dialogo costruttivo per indirizzare i lavori dell’Assemblea verso una concreta parità dei generi. Credo anche che sia possibile e necessario dialogare con le donne elette nella lista di Hamas. In particolare su alcuni temi come la salute, l’istruzione, il lavoro. Più delicati sono invece i temi della libertà femminile e quelli legati alla famiglia: vedremo, ad esempio, come si prenderà la proposta di alzare l’età delle donne per il matrimonio o le leggi sul divorzio. In sostanza quello che dobbiamo fare è comunque trovare un terreno comune di dialogo e monitorare costantentemente lo stato dei diritti delle donne.
Come donna è preoccupata dalla sharia?
Certo e non sono la sola, ci sono molte donne, ma anche uomini, che manifestano ora questa paura. E’ comprensibile. Ma non credo che Hamas forzerà molto la situazione attuale. Hamas deve comunque far fronte ad una società, quella palestinese, che si è sempre voluta laica. Non credo che nessuno sarà obbligato ad indossare il velo, anche se ci saranno probabilmente forme diverse di pressione. Io personalmente continuerò a fare politica con il Partito democratico e con le molte associazioni di donne e per i diritti umani. E’ presto per dire se i palestinesi vogliono o meno uno Stato religioso. Questo si vedrà col tempo; noi forze secolari ci opporremo comunque con tutte le nostre forze. Per il momento quello che è certo è che questo è stato un voto di protesta contro Fatah e contro la comunità internazionale, che ha lasciato sola l’Autorità nazionale palestinese nel processo di pace. Credo però che sia importante sottolineare l’importanza di queste elezioni. Tutti le hanno definite come un terremoto politico, uno tsunami. Non si è parlato invece abbastanza della trasparenza e della maturità con cui i palestinesi hanno affrontato questo voto. Della loro capacità di dimostrare al mondo e alla comunità internazionale la loro voglia di democrazia, pace e indipendenza.
E’ ottimista?
Dobbiamo essere ottimisti altrimenti non si hanno abbastanza energie per continuare a lavorare. Non c’è molta scelta. Allo stesso tempo dobbiamo essere realisti: monitorare la situazione con attenzione nei prossimi mesi, vedere come Hamas si comporterà come forza di governo.