“In mezzo ai duellanti ma senza sferrare colpi”

«I nostri soldati non andranno a fare a pugni con i due “scazzottanti” sul campo. La nostra sarà un forza di intermediazione, un contingente di pace e non un altro duellante».
Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà sociale ed esponente di Rifondazione comunista, ricorre alla metafora del ring per chiarire condizioni e “paletti” che, ai suoi occhi, legittimano la missione dell´Onu in Libano. Non solo. Apre un nuovo fronte: quello dei “costi” dell´operazione. «Se si spende da una parte – afferma – bisogna risparmiare dall´altra: una ragione in più per venire via dall´Afghanistan».
Il ministro della Difesa Arturo Parisi ha avvertito che “c´è il rischio che i nostri militari debbano usare la forza per rispondere al fuoco”. Cosa ne pensa?
«Penso che quella dell´Onu deve essere una forza di pace, con precisi intenti pacifisti. Per questo, il mandato politico deve essere chiaro e rispettare due condizioni essenziali».
Quali?
«Primo, il contingente deve presentarsi sotto le bandiere dell´Onu, senza ambiguità. Secondo, l´azione deve essere di interposizione e non di polizia internazionale».
E se non fossero rispettate queste condizioni?
«Insisto: con le due condizioni di cui ho parlato c´è l´accordo. Senza di esse, bisogna ridiscutere tutto. Posso spiegarmi con un esempio. Va chiarito che l´Onu si pone in mezzo ai due “pugili”, senza partecipare al duello, senza sferrare a sua volta pugni e senza cercare di disarmare l´uno o l´altro».
Un arbitro, insomma.
«No, perché l´arbitro accetta lo scontro e pone le regole. Qui si tratta, invece, di impedire lo scontro tra le due parti, con una interposizione fisica e pacifica».
D´accordo. Ma in caso di attacco, i nostri soldati potranno rispondere al fuoco?
«La situazione sarà certamente complessa e difficile da gestire. In un tale contesto, le regole di ingaggio potranno ben prevedere un diritto di difesa in caso d´attacco».
Non teme contrasti con i pacifisti “duri e puri” del suo partito?
«Guardi, la missione Onu di interposizione in Libano si colloca all´interno di una strategia di pace ed è l´esatto opposto della guerra preventiva, che abbiamo criticato in Iraq. Questo va ribadito, contro i tentativi di strumentalizzazione del centrodestra. Il problema vero semmai è un altro: il prezzo dell´intervento».
Parla dei costi della missione?
«Certo, la spesa sarà alta e l´Italia non può accollarsi troppo a lungo costi così persistenti. Toccherà allora analizzare le priorità e tagliare altre spese».
Vuol dire che si dovranno ridiscutere le altre missioni?
«Sì, le future spese per la missione in Libano costituiscono per me un ulteriore motivo per ritirare le nostre truppe dall´Afghanistan».