In memoria di Raffaele De Grada

I ricordi giocano talvolta strani scherzi. Hai condiviso per decenni impegno e passione politica con un compagno come Raffaele De Grada ma poi, al momento del saluto estremo, ti accorgi quanto abbiano pesato sulla tua vita quel paio d’ore del primo incontro avvenuto sessantacinque anni prima in una tiepida giornata di fine gennaio, nel 1944, su una panchina di Viale Tunisia. Ero da poco rientrato in città dopo un breve periodo di guerriglia improvvisata sulle Prealpi lombarde. L’appuntamento, mi dicono, è con un compagno dirigente del partito e bisogna seguire tutte le cautele imposte dalla clandestinità in una città come Milano occupata dal nemico. Superati i convenevoli del riconoscimento, a rialzarmi il morale un po’ abbacchiato ci pensò quel giovane dall’aria un po’ scanzonata che, dopo essersi presentato col nome di battaglia di “Santi”, cominciò a spiegarmi, una sigaretta dopo l’altra, e con l’occhio attento a scrutare ogni passante, che da quel momento il partito mi affidava un compito molto serio, quello di organizzare nel nascente Fronte della Gioventù gruppi combattenti di giovani operai e studenti, di tutte le tendenze politiche antifasciste. Nel giro di un paio d’ore, mentre tenevo il dito sempre pronto sul grilletto della pistola, “Santi” mi spiegò come andava combattuta una guerriglia condotta in una grande città occupata dal nemico e come avrei dovuto comportarmi se fossi caduto nelle mani dei fascisti e della Ghestapo. Dopo avermi chiesto più volte se avevo ben capito e se ero disposto a seguire quelle regole, mi confermò l’incarico aggiungendo che presto sarei stato contattato dal gruppo dirigente del Fronte della Gioventù. E fu esattamente da quel gruppo diretto da Eugenio Curiel e composto da Quinto Bonazzola, da Gillo Pontecorvo e Luca Staletti che nei mesi successivi imparai ad unire all’uso del fucile le prime nozioni della politica. Difficile dimenticare cosa abbia significato per me quel primo incontro con Raffaele De Grada. Lo abbiamo ricordato spesso con grandi risate liberatorie tutte le volte che mi sono incontrato con lui in questi lunghi decenni. Lo ricordo anche ora con grande tristezza nel momento dell’estremo saluto. Ciao Raffaellino.