In marcia contro le grandi opere

In marcia contro il ponte, «e contro l’aberrazione della legge-obiettivo, madre di tutti i mali» dice Anna Giordano, battagliera ambientalista messinese del Wwf Italia. In marcia dunque anche contro lo scempio della Val di Susa e il mostro-Mose, per dire no alla politica delle grandi opere che il governo Berlusconi sta imponendo, in deroga alle scelte delle istituzioni locali, alle volontà delle popolazioni, ai diktat imposti dalle norme di tutela ambientale e dal buonsenso. Si allarga la protesta contro il mostro sullo Stretto, e la manifestazione in programma oggi a Messina (partenza alle 10 da piazza Cairoli) si preannuncia decisamente affollata, più imponente di quella che già l’anno scorso aveva richiamato circa diecimila persone, e che era stata salutata in città come un «evento storico». Le adesioni sono cresciute di giorno in giorno, e alle numerosissime realtà che costituiscono la rete «No Ponte» – cui aderiscono tra gli altri il presidente del parco nazionale dell’Aspromonte, Tonino Perna, e 37 sindaci dell’area calabrese – si sono aggiunti tutti i partiti del centrosinistra, col neosindaco della Margherita Francantonio Genovese, la Cgil, ma anche esponenti dell’altra parte politica. In testa l’assessore regionale siciliano Fabio Granata di An, in rappresentanza di una vasta area del partito di Fini che nel Sud si è schierata decisamente contro l’opera.

A Messina già ieri sono arrivati alcuni rappresentanti del Comitato No Tav, insieme ad aderenti al Coordinamento valdostano contro il ritorno dei Tir e al Comitato No Mose di Venezia, per sancire il «gemellaggio» politico tra comunità distanti geograficamente ma accomunate dal rischio del disastro ambientale sovvenzionato da fiumi di denaro pubblico.

L’obiettivo della battaglia siculo-calabrese si allarga dunque, ed è stato sintetizzato ieri dal presidente nazionale del Wwf Fulco Pratesi, che sarà oggi anche lui a Messina e ha invocato una moratoria dell’iter di tutte le opere previste dal programma delle infrastrutture strategiche del governo, «un elenco di 531 progetti a pioggia che graveranno, come rilevato dall’ufficio studi della camera dei deputati, nei prossimi 10 anni sul bilancio dello Stato per un totale di 264 miliardi di euro». Una moratoria che deve valere a maggior ragione per la «follia» del progetto del Ponte, che proprio in questi giorni ha subito una nuova sonora bocciatura da parte dell’Unione europea, con l’inclusione di tutta l’area dello Stretto tra le zone a protezione speciale (Zps). Decisione che imporrebbe nei fatti un nuovo studio di impatto ambientale per un progetto che «fa acqua da tutte le parti», e non solo dal punto di vista ecologico.

«I rischi di fattibilità ed economici sono enormi», ricorda la senatrice dei Verdi Anna Donati. E molto si sono battuti gli ambientalisti, con un’incessante azione di contrasto giuridico, che ha ottenuto anche l’apertura di un’inchiesta della procura romana; mentre i ricorsi alla Commissione europea hanno avuto come risultato già l’avvio di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, per la violazione di una serie di direttive comunitarie. Il rischio è però che al danno si aggiunga la beffa: che i veti Ue, non determinando automaticamente il blocco dei cantieri, si traducano invece in un deferimento alla Corte di giustizia europea che potrebbe comminare mega-multe «anch’esse pagate dai contribuenti», sottolinea Anna Giordano. Multe che farebbero crescere ulteriormente le spese per la realizzazione dell’opera, stimate in 6 miliardi di euro per 6 anni di lavori, quando si calcola che di tempo ne potrebbe servire anche il doppio.