In Libano un pericoloso «nuovo diritto umanitario»

In Libano è in atto una drammatica emergenza umanitaria. Il numero di sfollati raggiunge le migliaia e mancano generi di prima necessità e acqua. Nonostante questa situazione né le Nazioni unite ne le Ong umanitarie riescono a veicolare gli aiuti necessari perché nessun corridoio umanitario è aperto in modo stabile. L’azione dell’esercito israeliano ha trasformato il rapimento di due soldati nel massacro di un popolo inerme. In questa situazione è però normale che il portavoce del governo israeliano dichiari che i corridoi umanitari verso il Libano sono aperti, mentre l’Onu e le organizzazioni umanitarie denuncino il contrario.
Chi ha ragione? Ovviamente dipende dai punti di partenza, e questo delinea già di per se l’indebolimento del diritto internazionale umanitario, evenienza che si era configurata all’indomani della «guerra umanitaria» del Kosovo e dell’invasione afgana. Forse vale la pena ricordare, a quanti oggi si accontentano di parole come appunto aiuto umanitario e relativi corridoi, che oramai queste definizioni sono state totalmente stravolte dalla logica della guerra permanente al terrorismo, della quale la «guerra umanitaria» è appunto solo una delle funzioni portanti. A maggior ragione, se si parla di aiuti umanitari senza definirne accuratamente la fonte di legittimità, in questo caso le convenzioni di Ginevra, si corre il rischio di fare degli aiuti stessi una funzione della guerra. Se infatti sia i corridoi umanitari sia gli aiuti che dovrebbero transitarci, vengono decisi da una o più fazioni in lotta, in questo caso dall’esercito di occupazione isreaeliano, questi non risponderanno ai criteri di neutralità, imparzialità e indipendenza previsti dalle convenzioni, ma saranno «diretti» o strumentalizzati verso chi pare più opportuno o per giustificare il proseguimento delle attività militari «sotto copertura» umanitaria. Questo caso si è verificato in Afghanistan, dove all’inizio dell’invasione gli Usa e la Gran Bretagna «aiutavano umanitariamente» solo le popolazioni collegate all’Alleanza del nord.
E’ dunque chiaro che esiste un nesso stretto tra cessate il fuoco ed efficienza degli aiuti umanitari e che senza di questo anche la fornitura degli aiuti non solo si rivela difficilissima ma altamente inefficace. Ma è altrettanto chiaro che le convenzioni di Ginevra non sono più la fonte giuridica alla quale gli stati e i governi che aderiscono allo logica della guerra permanente si rifanno. Essi hanno da tempo creato un «nuovo diritto umanitario-militare», legato appunto alla guerra e conseguente a questa logica. Questo è dunque anche il caso del Libano, nel quale Israele può, coerentemente con questa nuova impostazione, dire che i corridoi sono aperti, quando e dove pare a lei, che le Nazioni unite saranno o meno autorizzate a passare a seconda le logiche della loro strategia militare, e che di conseguenza si negheranno all’Onu o alle ong umanitarie indipendenti, i passaggi o gli accessi necessari secondo la vecchia logica di Ginevra.
E allora, oltre ai proclami preoccupati che il ministro D’Alema ha giustamente portato in parlamento, si troverà la forza per chiedere il rispetto incondizionato delle convenzioni di Ginevra che impongono alle parti belligeranti l’obbligo di veri corridoi umanitari? Si sospenderà l’accordo militare tra Italia ed Israele sino ad un completo cessate il fuoco? Questa sono le condizioni che chiediamo come Ong indipendenti impegnate sul terreno, non solo per non diventare conniventi con il «diritto umanitario-militare» ma perchè siamo convinti che si possano attivare sin da ora altri strumenti di persuasione per spingere le parti ad una pace giusta e subito.

* Presidente Terre des Hommes