«Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare. La vita umana è importante, ma siamo in guerra e la guerra costa vite umane. Ora non conteremo i morti, lo faremo solo alla fine. Piangeremo i caduti e incoraggeremo i combattenti. Ci sono altri posti come Meron A-Ras, e sfortunatamente dovremo entrarvi». Assieme alla notizia della mobilitazione dei riservisti, le parole pronunciate ieri da Udi Adam, il generale che guida il Comando settentrionale dell’esercito israeliano danno l’idea dell’imminenza di ciò che ormai in molti considerano inevitabile: una massiccia offensiva di terra israeliana nel Libano del sud. Il sito internet del quotidiano Yediot Ahronot ha rivelato che tra oggi e domani altre due divisioni delle tsahal andranno ad aggiungersi alla Divisione Galilea, già posizionata al confine con il Paese dei cedri. La radio militare ha annunciato che nelle prossime ore i riservisti richiamati in servizio raggiungeranno quota seimila, per un totale di sei battaglioni. Molti di loro saranno spediti a Gaza e in Cisgiordania a fronteggiare la resistenza palestinese. I più freschi soldati di leva e le truppe speciali verranno quasi tutti dirottati verso il fronte in questo momento più caldo, quello settentrionale.
Oltre a tonnellate di bombe, ieri gli aeroplani con la stella di David hanno fatto piovere sul sud del Libano migliaia di volantini in cui s’invita la popolazione civile ad abbandonare l’area, rifugiandosi oltre il fiume Litani, circa 20 chilometri a nord della frontiera. In quella zona dove vivono oltre 300.000 persone – quasi tutti sciiti – l’esercito vorrebbe prima fare piazza pulita di Hezbollah e poi creare un’area cuscinetto che ponga lo Stato ebraico al riparo dal lancio di missili e dalle incursioni dei guerriglieri.
Considerando i soldati già presenti sul posto e quelli in arrivo entro domenica potrebbero esserci 20.000 uomini e donne in uniforme e 400 carrarmati pronti a invadere il Libano, 24 anni dopo l’operazione «Pace in Galilea» guidata dall’allora ministro della difesa Ariel Sharon. Il 6 giugno 1982 le tsahal attaccarono lungo due direttrici: contro i palestinesi a ovest e contro i siriani al centro. Oggi sperano, dopo dieci giorni di bombardamenti che non hanno indebolito gli hezbollah, di potere respingere lontano la minaccia del Partito di Dio grazie a un’offensiva di terra che – non si stancano di avvisare fonti militari – potrebbe durare settimane. Dan Halutz, il capo di stato maggiore, ieri ha annunciato che oltre cento hezbollah sono stati uccisi negli ultimi giorni. Ma gli analisti militari israeliani sono molto preoccupati per come si stanno mettendo le cose. Ieri il ministero della difesa di Tel Aviv ha confermato che giovedì, durante le incursioni nel sud del Libano, sono stati uccisi quattro soldati. Altri due erano stati ammazzati il giorno precedente, sempre nel villaggio di Meron A-Ras. Gli esperti hanno sottolineato che si trattava di uomini tra i migliori a disposizione delle tsahal, ragazzi appartenenti alle unità Egoz e Maglen, commandos di forze speciali.
Da quando nel 2000 le truppe con la stella di David si sono ritirate dal Libano del sud, Hezbollah avrebbe costruito un’infrastruttura formidabile, a prova di bombardamenti. «Stiamo parlando di centinaia di guerriglieri, tutti ben addestrati, molto motivati, e capaci di combattere in maniera autonoma dal Comando supremo del partito» ha spiegato alla Reuters Alon Ben-David, analista israeliano del settimanale di difesa Janes. «Hanno organizzato una rete di trincee e tunnel in stile Viet Cong – continua Ben-David – che permette loro di emergere e lanciare rapidamente razzi Katyusha o attaccare con l’artiglieria e subito dopo tornare a nascondersi». Alla determinazione dei combattenti sciiti, va ad aggiungersi l’incognita dell’esercito regolare libanese. Il ministro della Difesa di Beirut, Elias Murr, ieri ha dichiarato alla tv satellitare Al-Arabiya che i suoi soldati combatteranno contro ogni tentativo di invasione da terra del Libano. «Il nostro dovere costituzionale è difendere il Libano come esercito libanese. Questo è il nostro ruolo. Ogni cittadino libanese, cristiano o musulmano, che vuole difendere la sua terra è il benvenuto», ha avvertito. «Si può difendere la propria terra in diversi modi, sia aiutando l’esercito con cibo e acqua, sia dando sostegno politico e psicologico. Ma che la resistenza (Hezbollah, ndr)- ha proseguito Murr – entri nell’esercito e combatta al suo fianco questa non è una opzione sul campo, perché l’esercito non può combattere come la resistenza né la resistenza può combattere come l’esercito».