In cosa posso esserle utile?

I precari, e in particolare i molti impiegati con le formule più balzane e tremende nei call center, costituiscono la tipologia lavorativa oggi più scabrosa, come si sa. Il rapporto tra quel lavoro alienante e sottopagato e la vita stessa di quei lavoratori, solo a cercare di indagarlo, nelle nostre periferie e senza bisogno di andare a Bangalore dove i call center rispondono dall’India alle domande dagli Stati uniti e dalla Gran Bretagna, offre già da solo un cospicuo patrimonio per stendere i primi Appunti per un film sulla lotta di classe contemporanea.
Ascanio Celestini ha già dimostrato come i suoi racconti abbiano una dilatazione «naturale» verso il cinema. Non predeterminata, ma proprio per la struttura delle sue ultime narrazioni, che pure egli compie come sempre in assoluta semplicità e solitudine. È stato chiaro questo già in Scemo di guerra appena andato in onda su Raitre, e la stessa sensazione si ha leggendo sulla pagina le Storie di uno scemo di guerra (pubblicate da Einaudi assieme al dvd dello spettacolo). Quella drammatica giornata del 4 giugno in cui avvenne la liberazione di Roma con la fuga dei nazisti e l’arrivo degli americani, tiene inchiodati al racconto proprio grazie al suo sviluppo narrativo che passa continuamente dal totale al primo piano.
È quasi naturale quindi che cominciando a mostrare il lavoro preparatorio per il nuovo spettacolo, coprodotto col teatro stabile dell’Umbria e con la collaborazione di Fandango e della Cgil che festeggia il proprio centenario, Celestini lo faccia con un titolo che va proprio in quella direzione, Appunti per un film sulla lotta di classe, appunto. Dopo una settimana al Piccolo di Milano, ha riempito l’enorme teatro Donizetti di Bergamo, in una serata molto emozionante promossa dalla onlus Nord Sud. La «solitudine» del narratore in realtà gioca questa volta con la sponda corposa della musica, una vera partitura che nasce dal fedele Matteo D’Agostino, che partendo dalla propria chitarra costruisce un tessuto musicale forte assieme ad altri due musicisti eccellenti, Gianluca Casadei alla fisarmonica e Roberto Boarini al violoncello. Catturando lo stesso Ascanio che con assoluta naturalezza passa dal racconto parlato a quello cantato. E anche il fatto che Celestini canti, con garbo e sicurezza, è una novità non da poco.
Con lo stesso gusto antropologico, e la stessa avvertita tenerezza, con cui in questi anni ha ricostruito attraverso i racconti familiari e centinaia di altre fonti, il nostro passato prossimo, la memoria e la storia, questa volta l’obbiettivo è puntato sulla generazione del «pronto, buongiorno, in cosa posso esserle utile?». Dalle loro testimonianze, crude e insieme commoventi, il narratore Ascanio affabula, fa scattare lampi di collegamento, scopre interrogativi, lancia sonde in un magma di contraddizioni e apparenze fasulle che coinvolgono la vita quotidiana di ognuno. Il racconto si scopre come una sequenza di racconti, che passano direttamente senza soluzione uno nell’altro, salvo poi riapparire nel loro stretto rapporto.
Per quanto il pubblico fosse «dedicato» anche a Bergamo, si sente quasi un respiro collettivo trattenuto davanti all’attacco «Io sono comunista» detto con aria grave da un narratore con la sua barbetta caprina sempre più ispirata, che dopo una breve pausa aggiunge «e quindi sono un marziano». Tutto l’universo mondo si piega alle forme del racconto di Celestini: l’esasperata fisiologia gastrointestinale e i sabati neghittosi del grande quartiere popolare, i centri commerciali e i rapporti anch’essi «commercializzati» tra le persone.
Un altro momento di panico si diffonde in platea quando Ascanio inizia una invettiva sui froci, e non risulta subito chiaro quanto l’ironia su quella discriminazione sia a fin di riso. Perché attraverso quei racconti, ambientati nelle toilette del centro commerciale attiguo al mega call center, escono fuori contraddizioni e pregiudizi che solo frettolosamente vengono in genere schermati dal politically correct. Il narratore invece riesce a stanarli, e la risata dello spettatore, anche il più disponibile a farsi catturare, resta piuttosto amara. Come davanti al dio, efficiente e caratteriale, che domina il finale del racconto. Nel setaccio narrativo di Celestini passano le barzellette più feroci sul papa come i luoghi comuni che pure fondano tanti comportamenti collettivi. Con la sua grazia sempre più decisa, l’attore ce li fa trangugiare, e parlando di tutto, riesce a scoprire davvero territori nuovi e locazioni insospettabili per la lotta di classe. Un film? Non solo: intanto scava e costruisce gli scenari all’interno di ogni spettatore.