In Cina e Messico Lula lancia la sfida

Lula, prima in Cina e poi in Messico, lancia la sua sfida globale alla globalizzazione. Non alla globalizzazione in quanto tale, a cui un paese grande ed economicamente poderoso (anche se squilibratissimo dal punto di vista sociale) non può pensare di sottrarsi, ma alla globalizzazione asimmetrica che finora ha caratterizzato il mercato unico mondiale. Il presidente brasiliano, che nella politica estera ha avuto il punto forte dei suoi primi e difficili 15 mesi al palazzo di Planalto, va avanti con grande determinazione sulla strada che aveva già aperto nei vertici dell’anno scorso a Cancun (Wto, Organizzazione mondiale del commercio) e a Miami (Alca, Accordo di libero commercio delle Americhe), decretandone in pratica il (momentaneo?) fallimento.

La patnership fra il grande Brasile e la grandissima Cina è strategica. Una partnership sancita quasi simbolicamente, oltre che da sostanziosi accordi economici, dall’annuncio, dato ieri dal ministero degli esteri cinese alla partenza di Lula da Pechino, dopo sei giorni di visita: Cina e Brasile lanceranno «in un non distante futuro» un terzo satellite metereologico.

Un gesto simbolico di potenza così come l’annuncio dato dal ministro brasiliano di scienza e tecnologia, Eduardo Campos, della possibile vendita alla Cina di uranio non processato e di tecnologia per arricchirlo, è stato un gesto simbolico di indipendenza dagli Stati uniti in materia nucleare. La Cina è una potenza nucleare, il Brasile ha rinunciato ad esserlo anche se potrebbe e se utilizza impianti nucleari per la produzione di energia. Entrambi i paesi sono firmatari del Trattato di non proliferazione nucleare. L’interscambio Brasile-Cina è «per fini pacifici». E gli Usa fingono di non dare troppa importanza all’annuncio.

Prima di imbarcarsi per il messico, Lula ha fatto tappa a Shangai per partecipare alla conferenza sulla miseria organizzata dalla Banca mondiale. Sono le occasioni in cui Lula dà il meglio di sé. Il presidente della Banca, James Wolfensohn, aveva già scoperto l’acqua calda affermando che «senza alleviare la povertà in cui si trovano 2.8 miliardi di persone non c’è stabilità che tenga». Lula ha rincarato, strappando applausi, dicendo che «la fame è la vera arma di distruzione di massa» e che «non è possibile che le vacche in certi paesi ricevano più di due dollari al giorno in sussidi, mentre la metà della popolazione del globo deve sopravvivere con meno».

Questo è uno dei temi che riproporrà nella due giorni di Gadalajara dove oggi e domani si terrà il terzo vertice Unione europea-America latina in vista del sospirato accordo di libero scambio. A Guadalajara si sitroveranno presidenti e premier europei – è la prima uscita a 25 – e di 33 paesi latino-americani. Fra gli altri ci saranno Chirac, Shroeder e Zapatero da un lato, Lula, Kirchner e Lagos dall’altro. Non ci sarà Fidel Castro che è alle strette con il Messico e molto altri paesi dell’America latina e con l’Unione europea. In una lettera aperta al «popolo messicano», Fidel ha definito il vertice «una inutile parata priva di significato» e ha accusato alcuni latino-americani e gli europei di essere «succubi e complici» degli Usa. Ci sarà il venezuelano Hugo Chavez, che senza Castro si presenta come la quasi unica anomalia fra i 58 leader. Minacciato dagli Usa di essere sospeso dall’Organizzazione degli Stati americani se non va al referendum revocatorio chiesto dall’opposizione, ha tuonato contro «l’orribile, orrenda faccia dell’imperialismo».

Nonostante i temi sul tappeto siano economico-commerciali, i punti politici non potranno essere elusi. La corsa fra Usa e Ue per arrivare primi in America latina è aperta. E l’America latina dovrà cercare di non farsi schiacciare.