In Afghanistan senza se

«Una tempesta in un bicchier d’acqua. Parisi è perfettamente coerente con il programma dell’Unione». Dal ministero della Difesa minimizzano così le polemiche e le forti tensioni nella maggioranza innescate dall’ultimo intervento di Arturo Parisi sull’Afghanistan. Per il quale l’Italia non si ritira dall’Afghanistan ma non manderà nessun caccia Amx, nessun contingente di truppe speciali né si sposterà dalla provincia occidentale di Herat, dove guida il «Prt» di ricostruzione, e da Kabul, dove opera «per mantenere la sicurezza». In parole povere, il decreto rimarrà quasi lo stesso del governo Berlusconi, inclusi i 5 milioni di euro previsti per le opere di cooperazione. Con la differenza però che con ogni probabilità sarà contenuto in un unico dispositivo che comprenda tutte le missioni militari italiane all’estero.
Il governo è orientato a licenziare il discusso decreto legge nell’ultimo consiglio dei ministri disponibile, quello del 30 giugno, a urne referendarie ben chiuse. Sembra in ribasso inoltre l’ipotesi di ricorrere al voto di fiducia: «Il governo propone, il parlamento decide», dicono nello staff di Parisi. Il ministro ha annunciato la questione ieri mattina in termini piuttosto chiari: «Dall’Afghanistan o si rientra o si rimane. Non ci si può stare a metà. Proporremo quindi al parlamento di continuare il nostro impegno assicurando una presenza di forza analoga per entità a quella dispiegata in passato, ridefinita nella sua composizione e nella sua qualità in modo da corrispondere agli impegni assunti dall’Italia nell’Isaf». L’Afghanistan, com’è noto, è stato un argomento su cui nel centrosinistra il disaccordo è tale da non aver nemmeno permesso di inserire il punto nel programma dell’Unione. Gioco forza, dunque, la discussione riprende dai banchi della maggioranza.
Sul numero delle truppe in Afghanistan il ministero ricorda che in passato si è oscillato tra 1.400 a 2.200 uomini a seconda delle effettive necessità (oggi sono 1.475). Ma durante la recente visita di Parisi nella regione i militari hanno chiesto più mezzi, come elicotteri da trasporto, e più uomini a protezione della «ricostruzione». «Il nostro impegno rimarrà finalizzato alla ricostruzione e alla protezione della provincia di Herat, solo a questo saranno dedicati eventuali aumenti di truppe», dicono nello staff del ministro. Nel decreto allo studio del governo inoltre è previsto anche il ritiro completo da Nassiriya entro l’autunno, mentre a Baghdad rimarranno poche decine di persone nel quadro del programma Nato dedicato all’addestramento delle truppe irachene.
Le sinistre che da giorni chiedevano come mimino un chiarimento preventivo mal digeriscono la posizione del governo. «Abbiamo deciso tutto nel vertice di lunedì sera», dice Romano Prodi da Mosca, declinando altre domande di politica interna. Ma da Roma Massimo D’Alema ricorda che per quanto riguarda la Farnesina tutto è pronto, «se chiedere la fiducia o meno però spetta solo a Prodi». «Le dichiarazioni di Parisi non ci piacciono e non aiutano», commenta preoccupato il capogruppo alla camera del Prc Gennaro Migliore. Verdi, Pdci e Prc sono quasi una polveriera. E soprattutto al senato i margini non ammettono posizioni pilatesche. Paolo Cento, sottosegretario all’economia (Verdi), attacca: «Le parole di Parisi non rappresentano tutto il centrosinistra. Speriamo che si possa arrivare a un punto di sintesi perché i ‘moderati’ della coalizione non ci possono chiedere un ampliamento di quella missione quando per tre anni abbiamo votato contro». Anche Luigi Malabarba, senatore trotzkista che il 20 luglio «cederà» il suo posto ad Heidi Giuliani promette: «Se resta uguale al passato non solo voto contro la missione ma voto anche contro l’eventuale fiducia: non ci prendano in giro». Mentre Claudio Grassi, senatore dell’Ernesto (Prc), liquida come «irricevibili» le parole di Parisi e ricorda a Prodi che «la coalizione che ha vinto le elezioni è l’Unione e non l’Ulivo». E’ inevitabile che nelle varie anime che attraversano i gruppi (che in molti hanno firmato l’appello di Ciotti e Strada per il rispetto dell’articolo 11) sarà necessario un confronto interno.
Le sinistre, all’unisono, chiedono un confronto a tutto campo e sbarrano la strada ad un aumento delle truppe. Mentre la decisione di varare un decreto unico subito si accompagna a quella di prevedere un disegno di legge più complessivo nel quale si giocherà la vera partita politica. Senza contare che la scelta di non porre la fiducia da un lato non mette direttamente a rischio la tenuta del governo ma dall’altro non esclude il coinvolgimento del centrodestra sul franoso terreno della politica estera.