Dalla lunga intervista de ‘Il Sole 24 Ore’ al ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa ricaviamo tra l’altro quanto segue: 1) si ribadisce quel che praticamente tutti i commentatori economici segnalano da tempo: “negli ultimi dieci anni la produttività nel nostro Paese è cresciuta assai meno che nei decenni precedenti” e ciò perché gran parte del mondo imprenditoriale non ha investito in ricerca e innovazione tecnologica. 2) Questo dato non viene tuttavia affiancato da un altro rilievo essenziale, evidenziato per esempio da Marcello De Cecco sull’ultimo inserto economico de ‘La Repubblica’ del 5 giugno scorso: nel medesimo arco di tempo, i profitti sono cresciuti considerevolmente. Come dire: anche dal lato degli agenti sociali, c’è una chiara e dominante responsabilità che va evidenziata quando si analizza lo stato disastrato della nostra economia. 3) Viceversa, sono richiesti sacrifici a tutti e – per parte loro – i sindacati devono “mantenere la moderazione salariale in atto da molti anni”. Altresì viene precisato che “l’esigenza della solidarietà riguarda soprattutto i casi di più forte bisogno”. Traduzione: non dunque redistribuzione generalizzata a favore dei redditi da lavoro (salari e pensioni), ma provvidenze da “stato minimo”, con interventi per alleviare la condizione dei più poveri. 4) Torna l’ossessione dei parametri di Maastricht e, con essa, la ‘politica dei due tempi’: per riportare l’avanzo primario al 3%, “bisogna distinguere tra la fatica della cura e i benefici di una buona salute recuperata”, ancorché “la distanza temporale tra i due momenti” non debba essere troppo lunga. 5) Per riportare il deficit pubblico sotto il 3% ci sarà una manovra bis (la cui entità non viene specificata). Nel suo contestuale commento, il direttore Ferruccio De Bortoli sottolinea: “Qualsiasi sostegno alla crescita non sarà credibile e accettabile agli occhi di Bruxelles e delle agenzie di rating senza una decisa azione di rientro progressivo del debito pubblico” 6) Da ultimo – sottolinea De Bortoli – “sì a liberalizzazioni e ulteriori privatizzazioni, specie nei servizi locali”.
Non serve aggiungere altro. La domanda è ovvia: dove sono finiti gli impegni assunti davanti agli elettori? Dov’è la svolta in direzione degli interessi popolari?
E poiché i ragionamenti possono esser corroborati tramite confronti, ci piace aggiungere qui di seguito all’intervista di cui sopra un resoconto comparso il 7 giugno sul medesimo quotidiano padronale concernente la “svolta a sinistra” del Partito socialista francese. Nel programma transalpino, peraltro frutto di una faticosa mediazione tra le diverse anime del suddetto partito, compaiono: l’abrogazione della ‘riforma’ delle pensioni varata dal centro-destra con il ritorno a 60 anni dell’età pensionabile, l’abolizione del ticket sanitario sulle visite ambulatoriali, il ritorno ai principi fondanti della legge sulle 35 ore, un adeguamento del potere d’acquisto dei salari e un aumento del salario minimo mensile, un piano per la costruzione di alloggi popolari (120 mila all’anno), la rinazionalizzazione di EdF, l’aumento del 10% nel budget della ricerca.
Come si vede, niente di rivoluzionario: in ogni caso (nonostante gli sbilanciamenti in senso opposto della blairiana Ségolène Royal), un programma socialdemocratico degno di tal nome.