Immigrati: la Carta non canta

Doveva essere l’ancòra di salvezza per gli immigrati “regolari”, il fiore all’occhiello della legge 40 sull’immigrazione. Invece la “carta di soggiorno” non ha funzionato neanche un po’. Si calcola che su 300 mila aventi diritto soltanto il 5% ne sia entrato in possesso in questi tre anni di sperimentazione della legge Turco-Napolitano. Probabilmente la stima degli aventi diritti è addirittura al ribasso, perché se alla fine del ’98 le persone regolarmente presenti in Italia da almeno 5 anni erano 295 mila, ormai saremo sicuramente sopra la soglia dei 300 mila. E le carte di soggiorno erogate, alla fine del 2000, erano soltanto 16 mila.
La domanda è: come mai? “Sicuramente questi dati ci interrogano – sostiene Angelo Achille, funzionario del ministero della Solidarietà sociale – occorre pensare a qualche cambiamento, c’è qualcosa che non funziona. Secondo me bisogna ridurre i certificati richiesti per ottenere la carta di soggiorno. Attualmente bisogna presentarne troppi: dove hai soggiornato negli ultimi cinque anni, il luogo di residenza, le forme di reddito, e molti altri. Magari l’immigrato si scoraggia e non la richiede”.
Ma che cos’è la carta di soggiorno? Se da un lato, con l’avvio della legge 40, lo stato italiano iniziava a stabilire i flussi di ingresso per gli stranieri (a proposito: si aspetta con ansia che la Corte dei conti firmi il decreto per il 2001), dall’altro, con la carta di soggiorno, assicurava che la “regolarità” prima o poi sarebbe stata premiata. Dopo un tot di anni lo straniero in Italia non sarebbe più stato considerato un “lavoratore”, impegnato anno per anno a presentare in questura un contratto di lavoro o un reddito sufficiente per mantenersi (a proposito: le questure continuano a chiedere un contratto di lavoro attuale per il rinnovo), ma sarebbe stato considerato una persona normale, libera di perdere il lavoro, passare periodi di disoccupazione, e via dicendo. Sarebbe stato “regolare” a tempo indeterminato: la sua vita in Italia, cioé, non sarebbe più dipesa da un foglio di carta (il permesso di soggiorno) da rinnovare a scadenze regolari.
Il periodo di “prova” perché uno straniero fosse giudicato dallo stato italiano in grado di mantenersi economicamente per sempre fu stabilito in cinque anni. Troppi? Troppo pochi? A tre anni dal varo della legge, e visti i pessimi risultati, è possibile capirne di più. La lettera della legge, infatti, nella sua stesura finale, stabilisce che la carta di soggiorno venga destinata non agli immigrati regolari da almeno 5 anni, ma a quelli con un permesso di soggiorno che presuppone “un numero illimitato di rinnovi”. Che cosa significa?
La stessa domanda se la devono essere fatta parecchi funzionari delle questure che, come è noto, ci pensano bene prima di elargire un beneficio simile (la carta equipara quasi in tutto lo straniero all’italiano). Ha risposto il ministero degli interni con due circolari: una nell’ottobre del 2000 e un’altra nell’aprile di quest’anno. Le due circolari stabiliscono chi non può richiedere la carta di soggiorno: chi lavora nello spettacolo; chi ha un permesso per attesa occupazione (quelli che durano un anno); chi è in Italia per motivi di studio; e persino chi ha contratti a tempo determinato perché, riflette il Viminale, “le offerte d lavoro, strettamente connesse alle esigenze del mercato del lavoro, appaiono imprevedibili a priori”. Insomma, non basta dimostrare alla questura di essere inserito nel mercato del lavoro perché per cinque anni si è riusciti a campare. E non basta, presentando la dichiarazione dei redditi, dimostrare che almeno per l’anno seguente si saprà di che campare. No, lo straniero deve assicurare che – tranne cataclismi – riuscirà a campare per sempre regolarmente, autosostentandosi, e senza un attimo di precarietà. A questo punto il fatto che esistono ben 16 mila “fortunati” è quasi esaltante.
Anche perché l’ultima circolare del ministero degli interni derime una questione che pare abbia a lungo ostacolato l’accesso alla carta di soggiorno persino per questi “regolarissimi”. Le questure, infatti, finora hanno dato la carta soltanto allo scadere del permesso di soggiorno, ora il Viminale chiarisce che non è necessario. Ma onde evitare eccessive facilitazioni, stabilisce anche che il computo dei cinque anni non inizi dalla data di ingresso dello straniero, ma dal momento in cui lo straniero è entrato in possesso del benedetto permesso di soggiorno rinnovabile per un numero illimitato di volte.