Sulle prime pagine dei quotidiani palestinesi ieri c’erano in evidenza le assicurazioni di Saeb Erekat. «Il presidente Abu Mazen ha promesso a George Bush che le elezioni si svolgeranno regolarmente e alla data prevista del 25 gennaio», ha dichiarato il ministro palestinese per i negoziati. Poche ore dopo, al contrario, si è fatta più concreta la possibilità di un nuovo slittamento delle legislative, già rinviate lo scorso luglio. A volere la sospensione della preparazione del voto sono settori influenti di Al-Fatah, che sentono sul collo il fiato del movimento islamico Hamas cresciuto ulteriormente negli ultimi mesi anche se non ancora tanto da poter aspirare alla conquista del potere. Ma anche Israele vuole il rinvio, ufficialmente per non consentire la legittimazione degli islamisti. In realtà perché dalla nuova affermazione a livello internazionale della democrazia palestinese deriverebbe un ulteriore riconoscimento del diritto alla libertà e alla piena indipendenza del popolo palestinese. Di un rinvio delle elezioni legislative Abu Mazen ieri ha discusso con il mediatore egiziano (e capo dell’intelligence) Omar Suleiman. «E’ necessario uno studio del problema da parte della leadership palestinese», ha detto il presidente dell’Anp dopo l’incontro, «è una grande responsabilità che deve essere valutata molto attentamente». Gli egiziani invece vorrebbero il rispetto della data del 25 gennaio. A sostegno dell’ipotesi del rinvio sono giunte ieri anche le dichiarazioni rilasciate da un anonimo funzionario israeliano il quale ha affermato che il governo Sharon non consentirà la partecipazione al voto dei palestinesi residenti a Gerusalemme Est (il settore arabo della città occupato da Israele nel 1967).
Dieci anni fa i palestinesi di Gerusalemme votarono negli uffici postali o recandosi ai seggi elettorali nei vicini sobborghi arabi in Cisgiordania. Questa volta «non ci sarà alcuna elezione in città, neanche per posta. Israele non aiuterà a portare Hamas al potere», ha detto il funzionario. In serata uno stretto collaboratore di Sharon, citato dal sito internet di Haaretz, ha precisato che Sharon non ha ancora preso una decisione definitiva. «Se gli israeliani non ci permetteranno di svolgere le elezioni a Gerusalemme, allora non ci sarà nessuna elezione», ha subito replicato il vice premier palestinese Nabil Shaath.
I leader di Hamas da parte loro hanno ripetuto di essere contrari ad un nuovo rinvio del voto che sarebbe anche una violazione dell’accordo di cessate il fuoco (con Israele) raggiunto dalle fazioni palestinesi lo scorso marzo al Cairo. Mentre a Ramallah si discuteva di elezioni, a Gaza è avvenuto l’ennesimo sequestro-lampo di cittadini stranieri. I due ostaggi, un olandese e un australiano che insegnano in una scuola americana, sono stati rapiti da militanti del Fronte popolare. Dopo trattative durate alcune ore i due, Hendrik Taatgen e Brian Ambrosio, sono stati rilasciati. Nuove incursioni israeliane sono avvenute in Cisgiordania, in particolare a Nablus e Jenin. Una unità speciale israeliana ha ucciso a Jenin Ziad Jalbush, il leader locale del braccio armato di Hamas. A Gerusalemme, nelle stesse ore, il Patriarca Michel Sabah ha chiarito, nel tradizionale messaggio di Natale, la posizione della Chiesa cattolica locale sugli ultimi sviluppi in Israele e nei Territori occupati. «Sicurezza per gli israeliani vuol dire libertà e sovranità per i palestinesi. Due realtà interdipendenti e ineluttabili. Le mezze misure, le semilibertà o la semisovranità non ci porteranno da nessuna parte ma solo a ricadere in un interminabile ciclo di violenze e di insicurezza». La massima autorità cattolica in Terra Santa ha nuovamente condannato la costruzione da parte di Israele del «muro» in Cisgiordania che, ha detto, ha trasformato Betlemme «in una grande prigione».