Il vizietto del governo

La Bce parla ai governi ignorando le persone; sostiene la di necessità di «rispettare gli impegni presi», ma apparentemente non specifica dove tagliare. Però «suggerisce» riforme: la liberalizzazione del mercato del lavoro, i tagli alla previdenza, il contenimento dei salari che non danno assolutamente garanzia che, se realizzate, i conti pubblici tornerebbero su un sentiero virtuoso e che l’economia, intesa come pil, riprenderebbe a correre. I problemi dell’Italia sono parecchi: quello pensionistico è, forse, uno di questi, anche se le riforme degli ultimi anni (determinante il contributo del centro sinistra) ci dicono che la spesa è sotto controllo. Semmai, il problema è reperire risorse per integrare le magre rendite di chi sopravvive con poche centinaia di euro al mese o di chi (grazie alle riforme degli anni passati) in un futuro sempre più vicino riceverà, anche dopo una vita di lavoro, una pensione pari al 50%-55% dell’ultimo salario. O anche meno vista la diffusione del lavoro precario.
Ieri l’Istat ha diffuso i dati del commercio estero in luglio: il rosso diventa sempre più profondo, le esportazioni crescono a fatica, mentre esplodono a livello globale. L’Italia non è più in grado di soddisfare una domanda di prodotti ad alta tecnologia per i quali il costo del lavoro non conta, ma è prioritaria la ricerca e l’innovazione. Certo, la bolletta energetica pesa, ma lo sviluppo delle energie alternative, solo che Enel e Eni fossero coinvolti e lo stato mettesse sul piatto un po’ di capitali, potrebbe offrire occasioni straordinarie di sviluppo tecnologico a costi decrescenti e possibilità di lavoro infinite. Invece la finanziaria si appresta a onorare il debito contratto con la Confindustria con una effimera riduzione del costo del lavoro di 5 punti.
Da giorni sulla finanziaria si gioca una partita (al contrario) di mercante in fiera: si è partiti da una manovra di 35 miliardi, poi ci hanno detto che di miliardi ne bastavano solo 30. Ora c’è chi a sinistra si vuole salvare la coscienza proponendo una manovra che sia al massimo di 25-27 miliardi. Il tutto solo per rispettare quelli impegni con la Ue (i parametri contano più dello sviluppo e delle persone) che per cinque anni sono stati carta straccia nonostante le una-tantum e i condoni a raffica, sui quali la Bce non apriva bocca, nonostante gli allarmi di molti economisti sul loro effetto eversivo.
Di contenuti si parla poco. Il programma dell’Ulivo sembra passato nel dimenticatoio: è sparita la reintroduzione dell’imposta sulle successioni e le donazioni; è sparita l’imposta sui grandi patrimoni che aveva infiammato, grazie anche alle dichiarazioni affrettate di Bertinotti, la campagna elettorale. Non si parla più di lotta al lavoro nero e di emersione del sommerso, strada maestra per riequilibrare la spesa previdenziale. Che, forse, richiede una riforma, concordata con i produttori di ricchezza. Ma proprio perché è una riforma, non può essere inserita in una legge finanziaria che per sua natura è uno strumento congiunturale.
L’attivismo in politica estera è encomiabile e la voglia di pace è tanta. Però a molti viene il dubbio che i giri planetari del nostro ministro degli esteri (e non solo lui) servano a far passare in secondo piano i problemi concreti di casa nostra. Quelli veri. E non l’ennesimo taglio alle pensioni sulle quali, Prodi dovrebbe ricordarlo bene, cadde il primo governo Berlusconi travolto da milioni di persone, anche di chi l’aveva votato, che dissero no alla sua controriforma.