«Il visto da stagionale c’è già ed è una forma di semi schiavitù»

Paghe da fame, debiti, furto dei documenti, niente copertura sanitaria (pur avendone diritto), condizione di semi cattività. E’ questo il quadro disegnato da Close to slavery (“Semi schiavitù, il programma dei lavoratori-ospiti negli Stati Uniti”), un rapporto del South law poverty center , think tank/studio legale che tutela i diritti civili, osserva le pratiche di discriminazione e gli atti di razzismo nel profondo sud degli States. Il rapporto prende spunto da un’affermazione del presidente Bush, che durante le manifestazioni dei latinos dello scorso anno aveva sostenuto la necessità di riformare le leggi sull’immigrazione introducendo la figura del guestworker , il lavoratore ospite (i nostri “temporanei”). Il South law poverty center spiega che il programma esiste già e che a fine 2005 121mila persone lavoravano negli Usa con quel visto d’ingresso in agricoltura, edilizia, lavorazione del pesce. Il programma prevede che siano i datori di lavoro ad importare la manodopera per poi mantenerla in condizioni di lavoro terribili. Mary Bauer, curatrice del rapporto ci spiega questo meccanismo a partire dalle migliaia di interviste fatte per raccogliere i dati. «Il nostro ufficio rappresenta gli immigrati e i guestworkers nelle corti di diversi stati del Sud. Abbiamo raccolto i dati proprio a cominciare dalle storie di quelli che si sono rivolti a noi come clienti ed abbiamo poi intervistato migliaia di altre persone nelle comunità e nelle sedi delle associazioni che fanno tutela dei diritti. Il lavoro è soprattutto sugli stati del Sud, ma abbiamo sottoposto il frutto della nostra ricerca a diversi centri studi, associazioni di advocacy e studi legali che si occupano di questi temi anche altrove e abbiamo constatato che il problema è nel meccanismo della legge, il sistema di semi schiavitù vale ovunque».

Come fate ad entrare in contatto con le persone che rappresentate e come con gli intervistati?
Andiamo nei quartieri dove sappiamo che la presenza dei lavoratori temporanei è particolarmente forte, distribuiamo materiale sui loro diritti e sulle possibilità legali che ci sono e, col tempo, la gente si ricorda e si rivolge a noi. Poi c’è il passaparola, le chiese o i centri dove le persone si incontrano e raccolgono.

Come vengono reclutati i lavoratori nei loro Paesi e qual’è il meccanismo che li lega?
Ci sono molte possibilità, innanzitutto ci sono padroni che partono per il Messico o il Guatemala e reclutano direttamente il personale di cui hanno bisogno. Poi ci sono agenzie locali o singolo reclutatori che lavorano per gruppi di imprese. Fanno grandi promesse, un lavoro buono e sicuro, pagato normalmente. Ogni persona a cui riescono a vendere il sogno un futuro normale negli Stati Uniti li paga. Più lavoratori reclutati è quindi uguale a più guadagno. Gli emigranti pagano fino a 15mila dollari, cifre che io troverei alte e che per loro sono pazzesche. Naturalmente quei soldi non li hanno e devono farseli prestare dagli strozzini. Il problema è che con il visto da guestworker non si può cambiare lavoro, cercare qualcosa di meglio e dunque, una volta nel nostro Paese con un visto di qul tipo e messo al lavoro per pochi soldi, il messicano o il guatemalteco è costretto a rimanere dov’è – o tornare a casa con il debito da pagare – e, fondamentalmente, lavora per pagare la quota versata al reclutatore e gli interessi dello strozzino. L’idea che uno non possa passare da un lavoro ad un altro è poi in grande contraddizione con la retorica statunitense sull’importanza di avere un mercato del lavoro competitivo: i lavoratori ospiti non possono competere sul mercato del lavoro, anche se avessero una specializzazione non potrebbero metterla a frutto.

Quali sono le pratiche peggiori che avete individuato?
Ci sono casi specifici che descriviamo nel rapporto, ad esempio quello di New Orleans, grave perché il datore di lavoro è una grande compagnia alberghiera, la Decatur , che paga i lavoratori a seconda della provenienza e, dopo aver fatto loro credere di avere nove mesi di lavoro, ne concede solo tre part-time. Frequente è anche il sequestro dei documenti, la minaccia di denuncia e deportazione (falsa), la costrizione ad abitare nelle baracche di un cantiere o di una grande tenuta agricola, magari pagando l’affitto. La cosa importante da sottolineare è che la frequenza con cui si ripetono certe modalità segnalano che è proprio il programma di guestworking a non funzionare. Non sono mele marce, cattivi datori di lavoro, episodi singoli, ne abbiamo trovati troppi. Le agenzie governative che dovrebbero vigilare ed effettuare controlli, poi, tendono a chiudere entrambi gli occhi.

Il presidente Bush parla spesso dell’introduzione di un programma per lavoratori temporanei, a cosa fa riferimento?
Non credo che ci siano idee concrete che circolano a Washington, se ne parla per rendere politicamente più facile la riforma del sistema di immigrazione negli Usa. E’ sicuro che le modalità attuali non funzionano ed hanno bisogno di essere ripensate. Ma è altrettanto certo che allargare a dismisura il programma per i guestworkers sarebbe un errore. Osserviamo come funziona il sistema che abbiamo e riformiamolo nel senso della garanzia dei diritti. L’idea di replicare il programma su larga scala, con tutte le storture che produce, sarebbe una cosa di cui nessun eletto al Congresso potrebbe andare fiero.