«Il Viminale dica che fine ha fatto Daki»

«Ora il ministro Pisanu si assuma le sue responsabilità. Non facciamo l’errore di spostare l’attenzione sul governo marocchino, è il Viminale a dover garantire per l’incolumità di Daki. Prima di rimpatriare una persona è necessario assicurarsi che i suoi diritti saranno tutelati. Dica il ministro dov’è Daki e come sta». A parlare è Vanier Burani, l’avvocato di Reggio Emilia che ha difeso sin dal primo momento Mohammed Daki, quarantenne marocchino indicato dal ministro degli interni italiano come un soggetto «pericoloso per l’incolumità degli italiani» e per questo espulso sabato mattina. Da quando Daki – accusato di fiancheggiare il movimento islamista Ansar Al Islam – è stato caricato sull’aereo di linea Alitalia delle 11,28 all’aeroporto di Malpensa, Burani non ha più saputo niente del suo assistito. «Sono in contatto continuo con la famiglia di Daki, lo hanno aspettato fuori dall’aeroporto e non lo hanno visto arrivare, hanno chiesto a tutti e nessuno sa dirgli che fine abbia fatto». La preoccupazione dell’avvocato non è soltanto che Daki sia finito in un carcere marocchino, magari in quello di Kinitra – a 200 chilometri da Casablanca – ben noto per il trattamento duro nei confronti dei detenuti. Una voce di questo tipo si era diffusa nel pomeriggio di ieri, ma poi è stato accertato che si trattava di una «deduzione» dei parenti vista l’assenza di notizie ufficiali. E d’altronde Daki non ha pendenze penali in Maorcco. La preoccupazione di Burani è un’altra: «Temo che possa essere consegnato agli americani». Cia, Guantanamo, Iraq. In questa storia che ha preso il via dalla piccola città emiliana si intrecciano elementi esplosivi di politica internazionale. Daki, una volta prosciolto dalla III sezione della Corte d’assise d’appello di Milano anche dalle accuse più lievi (come la falsificazione di documenti) aveva dichiarato di aver subìto interrogatori illegali il 6 e 7 ottobre in assenza del suo avvocato, ma alla presenza del pubblico ministero Stefano D’Ambruoso. Interrogatori condotti da «sei uomini e due donne americane» che ne volevano sapere di più sulla sua presunta amicizia con uno dei pianificatori dell’attentato alle Torri Gemelle. «Proprio sabato alle 13 avevo un appuntamento con Daki, mi doveva consegnare una lettera in cui spiegava nei particolari cosa era accaduto durante quegli interrogatori. Siccome l’aveva scritta in arabo se l’era fatta tradurre da qualcuno, e me la voleva consegnare. Ma all’alba di sabato l’hanno prelevato dal dormitorio della Caritas», racconta ancora Burani. Della lettera non c’è traccia, l’avvocato spera che almeno si faccia vivo il traduttore.

Il Viminale per ora tace, ma si capisce che non ritiene di avere alcuna responsabilità sulla sorte di un cittadino marocchino riconsegnato al suo paese. Tanto più che i rapporti con il Marocco sono ottimi. Il paese nordafricano ha già dimostrato in occasione degli attentati a Madrid la sua fedeltà all’Europa collaborando alacremente con l’intelligence spagnola e in ogni caso non può in alcun modo essere considerato un paese in cui vengono violati apertamente i diritti umani. Fonti investigative sostengono che nessun tipo di restrizione risultava a carico nè di Daki nè dell’altro straniero espulso lo stesso giorno, il tunisino Mohamed Akremi Gharsellaoui. Rassicurazioni che lasciano il tempo che trovano, visto che il destino di Gharsellaoui – tenuto da mesi sott’occhio dalla Procura di Varese per ipotesi di reato «collaterali» al terrorismo, come favoreggiamento dell’ immigrazione clandestina e falsificazione di documenti – è noto: dovrà scontare vent’anni di carcere, una pena inflittagli da una corte militare. Diversa la situazione di Daki, ma proprio per questo più preoccupante. Quando a settembre è stato espulso il macellaio marocchino Bouriqui Bouchta, imam di Torino, fu accolto con una pacca sulle spalle dalle autorità del suo paese. Non è affatto detto, insomma, che la sparizione di Mohammed Daki faccia parte della consueta procedura adottata da alcuni paesi arabi (come la Tunisia) nei confronti dei sospettati di terrorismo: prima qualche giorno di interrogatorio, poi la decisione di rimettere in libertà o incarcerare l’espulso. Le accuse che pesano su Daki, inoltre, ricoprono un certo interesse per gli americani, che vorrebbero dimostrare l’attivismo di Ansar al Islam, il movimento del fiancheggiatore di Al Qaeda in Ira al-Zarqaui, nei circuiti del terrorismo internazionale.