Si scaldano i motori per la manifestazione nazionale dei metalmeccanici. Domani, giorno dello sciopero generale di otto ore della categoria, arriveranno a Roma da ogni parte d’Italia, a bordo di 15 treni speciali e di almeno 1.000 pullman. Ma molti altri – specie dalle zone meno lontane dalla capitale – si muoveranno con mezzi propri, a gruppi. Certamente più di 100.000 persone; basta fare due conti. Tre i punti di concentramento per i cortei che muoveranno poi in direzione di piazza San Giovanni, dove parleranno i tre segretari di categoria di Cgil, Cisl e Uil, per dare infine la parola al segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. L’importanza della scadenza è confermata dagli incontri che i tre segretari di Fiom, Fim e Uilm – Rinaldini, Caprioli e Regazzi – hanno cominciato ad avere con i partiti politici. Il primo, ieri mattina, è stato con i Ds e ha visto la presenza dello stesso segretario, Piero Fassino, insieme al responsabile del lavoro, Cesare Damiano. Di rilievo anche il fatto che i Ds abbiano voluto esprimere la «piena convergenza di idee» con i sindacati a proposito della vertenza che li oppone a Federmeccanica, al punto da promettere una «presenza in piazza» domani mattina.
Vertenza ferma, con il contratto scaduto ormai da un anno, e che ripartirà davvero soltanto il 6 dicembre – dopo la formale riapertura del 21 novembre – anche se il momento decisivo è atteso dal 12 in poi (la prossima settimana sarà decurtata dal lungo ponte per l’Immacolata). Ed è sul merito che le posizioni, ultimamente, sembrano alquanto bloccate.
Questa tornata, infatti, è dedicata al rinnovo del solo biennio economico. Si dovrebbe discutere perciò soltanto di salari e problemi collegati. Federmeccanica, su questo terreno, non si è mossa dall’offerta di appena 70 euro mensili lordi, mentre la piattaforma sindacale approvata con un referendum parla di 105 euro medi lordi (per il 5° livello) più 25 euro uguali per tutti. Ma non è questo l’ostacolo principale: le imprese hanno posto come «discriminante» uno scambio vero e proprio tra aumenti salariali (non sopra la soglia degli 80 euro, comunque) e «flessibilità sull’orario di lavoro». In pratica vorrebbero la piena discrezionalità per decidere se in certe settimane si debba lavorare 48 ore, o magari 32, senza più dover contrattare di volta in volta con le rappresentanze sindacali in azienda (le Rsu).
Su questo punto, finora, la risposta sindacale è stata piuttosto ferma. Ma con accenti come sempre un po’ diversi. Gianni Rinaldini, segretario della Fiom, definisce «non accettabile che per andare sopra gli 80 euro si voglia provare a cancellare le Rsu», tanto più quando «il tema del confronto è il solo biennio economico». E tanto più, aggiunge, quando proprio la flessibilità di orario era stata «punto decisivo di una mediazione già in occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale», con una clausola secondo cui «l’orario va concordato con le Rsu». Una posizione che prende sul serio il «mandato a trattare» conferito dalla base, e che vincola in modo certo le segreterie in sede di trattativa.
Meno drastico il segretario della Fim-Cisl, Giorgio Caprioli, che difende naturalmente il ruolo delle Rsu, ma ritiene la contrapposizione «troppo ideologizzata». Il fondo, dice, «su 100 richieste di flessibilità di orario, solo 3 o 4 volte le Rsu si oppongono davvero». La spiegazione sarebbe semplice: «solo i delegati in loco sanno se l’esigenza dell’azienda è reale o no». Federmeccanica, da questo punto di vista, avrebbe esagerato nel «pretendere una procedura stabilita a livello nazionale». La soluzione, però, resta tutta da trovare. Massima apertura, invece, da parte Fim, sull’introduzione dell’apprendistato, che «consentirebbe di limitare il ricorso ai contratti della legge 30»; perché «le aziende all’inizio risparmiano sul salario, ma sono costrette ad investire in formazione e alla fin fine quei lavoratori preferiscono tenerseli», evitando il ricorso al precariato. Un problema è però l’intenzione di Federmeccanica di far durare l’apprendistato il massimo consentito per legge (72 mesi), a prescindere dalle qualifiche per cui ci si forma e dal titolo di studio di partenza. Per Caprioli, invece, la durata dovrebbe essere in relazione a questi due fattori (meno lunga per i livelli bassi e per i diplomati o laureati).
La diversità di accenti, però non lascia spazio a eventuali illusioni degli imprenditori su una ripetizione dell’«accordo separato». La piattaforma attuale, infatti, è stata approvata da quasi il 93% dei metalmeccanici. Discostarsene equivarrebbe a suicidarsi come sindacato.