Il vento è cambiato, è il leit motiv che giustamente e finalmente garrisce come una bandiera nelle piazze e nel cuore del popolo democratico e di sinistra dopo la grande vittoria a Milano, a Napoli, a Cagliari, Trieste e in tante altre città e province d’Italia. Il responso delle elezioni amministrative per la destra italiana è impietoso; il Moloch reazionario è in ginocchio e il messaggio forte – che viene dal basso, dai lavoratori, dai cittadini, dai giovani, dalle donne – è che cambiare si può davvero, che il cambiamento ha, potenzialmente, basi materiali, di massa e di popolo. Noi non conosciamo ancora i motivi strutturali, le cause, i profondi e positivi moti carsici che hanno portato l’elettorato ad alzare così nettamente la testa, indicando alle stesse forze politiche del centro sinistra la strada, cancellando l’assunto moderato, alla D’Alema, secondo il quale alla vittoria si arriva solo “sterzando al centro”, essendo più papisti del papa, sposando il liberismo, cercando consenso sul terreno stesso della destra. Milano, Napoli, hanno cancellato innanzitutto questo aberrante equivoco. E il fatto che un successo di così grandi dimensioni – evocante persino la vittoria politica nazionale – fosse totalmente inaspettato, è il segno della consapevolezza che le forze del centro sinistra avevano della debolezza della loro linea politica, dell’insufficienza della loro lotta sociale, del loro ruolo d’opposizione.
Dobbiamo capire e indagare di più, comprendere i motivi di fondo di questo terremoto elettorale e sociale. Analizzare specificatamente il terreno, il contesto nazionale. Diciamo questo poiché nell’Europa di Maastricht e della Banca europea – profondamente segnata da durissime politiche antioperaie e antisociali – vi sono risposte, anche di carattere popolare, diverse: grandi lotte in Grecia e in Portogallo – guidate dai partiti comunisti e dai sindacati di classe; gli “indignati” in Spagna, le lotte in Francia. Ma anche la sconfitta sonora dei socialisti di Zapatero, gli avanzamenti inquietanti e di massa delle forze e dei partiti fascisti e reazionari in Francia, in Austria, nel nord d’Europa e nell’est europeo. Come dire: non è la crisi sociale in sé, (così profonda anche in Italia) la garanzia dello spostamento a sinistra.
Per ciò che riguarda il nostro Paese dobbiamo ricordare – come retroterra della vittoria – le grandi lotte della Fiom, la resistenza operaia ( anch’essa inaspettata) ai vari tentativi di Marchionne di schiavizzare i lavoratori, lo sciopero generale indetto dalla Cgil, la lunga onda del movimento studentesco che ha riempito le piazze contro la controriforma Gelmini, le lotte delle donne, il movimento in difesa dell’acqua pubblica che, assieme alla difesa dell’acqua, ha posto di nuovo la questione, sul piano di massa, del ruolo pubblico, dello Stato, nella gestione delle aziende dal carattere strategico e cruciale. Un movimento complessivo di lotta – dunque – al quale non si è purtroppo aggiunto un movimento di massa contro la guerra, contraddizione drammatica in questa fase alta dell’aggressione imperialista.
Sempre sul piano dei motivi di fondo che hanno portato alla sconfitta dai caratteri strategici della destra possiamo aggiungere, seppur ancora con non totale cognizione di causa, la crisi economica profonda della piccola e media imprenditoria del nord est d’Italia come causa strutturale della sconfitta della Lega; il sempre più vasto disagio sociale delle popolazioni meridionali come causa – assolutamente non scontata e che poteva prendere altre strade – della vittoria napoletana; la spaccatura all’interno del fronte borghese come elemento non secondario della sconfitta di Berlusconi e come segno – per motivi che dobbiamo mettere a fuoco – della consunzione profonda del rapporto, sinora fiduciario, tra la destra politica berlusconiana e parte importante dell’imprenditoria e della borghesia italiana.
Ma la lezione centrale è chiara: Pisapia, De Magistris, Zedda, non hanno vinto – e stravinto – in quanto continuatori grigi della linea ultramoderata del centro sinistra. Essi hanno vinto, hanno ricucito il legame popolare in quanto eversori dell’ordine dalemiano ultracentrista. Hanno vinto perché hanno incarnato il desiderio popolare di cambiamento. E un ritorno involutivo – già per le prossime elezioni nazionali – ad eventuali linee politiche subordinate e totalmente compatibiliste ( sia sul versante della politica internazionale e della genuflessione alle politiche di guerra che sul versante sociale) sarebbe l’ennesimo cavallo di Troia per la sconfitta. O per una vittoria risicata e tentennante come base per la ricaduta.
Un popolo, quello democratico, di sinistra, si è mosso e guai a non seguirlo, a non dargli sponda politica. Il fallimento dell’ultimo governo Prodi incombe ancora su tutti noi e guai a non trarne le dovute conclusioni.
E’ del tutto evidente che l’elettorato insorto vuole l’unità, l’unità del centro sinistra e delle forze progressiste, di sinistra, comuniste. E’del tutto evidente che questo popolo ha dimostrato piena consapevolezza della degenerazione – anche morale – del berlusconismo e che vuole finalmente disfarsi di questa destra antisociale, bellica, razzista e reazionaria sia attraverso politiche sociali nuove e solidali che attraverso l’unità delle forze democratiche e di sinistra, dal PD sino ai comunisti, passando per Vendola e Di Pietro. Si è sentito chiaramente nelle piazze che hanno inneggiato e cantato alla vittoria: chi attenta a questa unità è – giustamente – considerato un nemico. Dovrebbero capirla, questa lezione, quegli esponenti “ultrarivoluzionari”, “ultracomunisti” che hanno rotto il fronte unitario per avventurarsi in strade ed esperienze elettorali così “autonome”, così lontane dal sentire popolare da portarli a rovinosi e persino ridicoli esiti elettorali, politici e sociali.
Per il PD, in virtù della propria forza politica, la lezione è certo ancor più grande: essersi schierato, in prima battuta, contro De Magistris a Napoli ( stessa cosa, peraltro, fatta dai vendoliani napoletani) è stato un atto sbagliato, segno di un continuismo moderato e lontano dal sentire popolare, che la dice lunga sull’essenza di questo partito. E, al contrario, l’appoggio immediato dei comunisti, della Federazione della Sinistra al sindaco del 65% è stato il segno di quanto peso – anche egemonico – possano e debbono esercitare , per un progetto di cambiamento all’interno di un quadro unitario, la sinistra d’alternativa e le forze comuniste.
La vittoria ci racconta anche di un vasto popolo di sinistra che abita in partiti ed organizzazioni che gli stanno stretti, nei quali è prigioniero ma dai quali sa anche prescindere. E’ il caso tipico del PD, all’interno del quale questo popolo si muove e dal quale, nella misura del possibile, va liberato. E’ tra i compiti primari dei comunisti, della sinistra di classe: non avere un rapporto aristocratico ed escludente con questo popolo, sviluppando al contrario un rapporto egemonico, di guida, di liberazione, indicando, dentro un quadro unitario, le strade politiche del cambiamento. Questo popolo – in virtù di un proprio sentire di sinistra non ancora spento dalla pratica moderata dei gruppi dirigenti – se trova sponde avanzate e unitarie può rispondere, può offrire un contributo decisivo sia per la vittoria elettorale che per il cambiamento del quadro politico complessivo.
Il vento è cambiato. E’ vero. Ma non è scontato che esso, spontaneamente, possa soffiare a lungo. La stesse cause – ancora per tanta parte non decodificate – di questo suo sollevarsi potrebbero non avere la forza di tenerlo alto e vivo per il tempo necessario.
Il punto centrale, dunque, ciò che dobbiamo imparare da questi straordinari esiti elettorali, è che le forze politiche e sociali che l’hanno incontrato e dal quale sono state premiate lavorino immediatamente per tenerlo alto e forte. Occorre, oggi più che mai dopo questo successo e a partire da una battaglia strenua per la vittoria nei prossimi referendum, rispondere positivamente al chiaro desiderio di cambiamento che viene dal basso; occorre costruire con molta più determinazione di prima l’opposizione sociale e politica al governo Berlusconi; occorrono parole più chiare e nette volte alla ricostruzione dello stato sociale; occorre più di prima collocare al centro le ragioni dei lavoratori, la difesa dei beni comuni e dell’ambiente, le ragioni del disarmo, della pace contro le pulsioni di guerra. Occorre che il cambiamento si radichi tra le masse e che questo radicamento sia il presupposto della vittoria.
Mentre la sinistra cantava il suo successo nelle piazze d’Italia, in Afghanistan, nelle stesse ore, i soldati italiani erano attaccati dai taleban e gli aerei di guerra si alzavano – ormai non più notati, per disgraziata abitudine e indifferenza – dalle basi italiane contro la Libia. Una politica di cambiamento non può prescindere dalla fine delle politiche di guerra.
La Federazione della Sinistra – composta essenzialmente dai due partiti comunisti italiani ancora
irragionevolmente divisi – esce da questa tornata elettorale con più fiducia: il 4,1% ottenuto alle provinciali ( unica cifra elettorale e politica seriamente rilevabile) è – data l’ assoluta censura dei media e i grandi limiti di iniziativa di massa traditi dalla stessa FDS – un dato incoraggiante da cui ripartire, un responso quasi uguale a quello di SEL, ben altrimenti premiata, sul piano mediatico, dai giornali di grande tiratura , dalle televisioni e da una parte della borghesia italiana.
Ma è la stessa volontà di cambiamento – scaturita per molti versi autonomamente – espressa dal popolo di sinistra; è lo stesso moto di questo popolo volto a liberarsi da involucri partitici e organizzativi moderati a dirci quale importante e decisivo ruolo possono e debbono giocare – qui ed ora – la sinistra di classe e i comunisti nel nostro Paese: un ruolo d’avanguardia, un ruolo volto a spingere in avanti il conflitto ed il progetto; un ruolo volto alla costruzione unitaria del fronte democratico del cambiamento entro il quale far sviluppare con più forza la lotta antimperialista e contraria alle guerre e la difesa del lavoro.
Ci sono fasi in cui il tempo è raggelato ed altre in cui un giorno vale un anno. La crisi dei comunisti, in Italia, non è un destino ineluttabile e irreversibile. I guasti, i colpi che sono stati inferti al movimento comunista italiano prima e durante l’asse temporale Occhetto – Bertinotti sono stati micidiali, ferali; ma il loro peso specifico rimane di gran lunga inferiore a quello dell’attuale peso del movimento comunista mondiale e di gran lunga inferiore al prestigio e alla grande storia dei comunisti in Italia, una storia che ancora partecipa alla costituzione delle coscienze più avanzate e che sicuramente ha svolto un ruolo carsico anche in questo risveglio, in quest’ultima primavera politica ed elettorale.
Forse una fase nuova si apre, una fase di lotta e transizione che può chiedere al partito comunista di svolgere un ruolo importante, un’azione capace di riportarlo al centro della scena sociale e politica. E ciò a prescindere dalla dimensione “quantitativa” del partito, ma a condizione – soprattutto – che esso ci sia, sia strutturato, organizzato, guidato da quadri capaci di suscitare le lotte nei punti critici più alti, che abbia un profilo politico e teorico all’altezza dei tempi e una linea di massa.
E le elezioni ci dicono: il centro sinistra può tornare a vincere se abbandona il suo ultramoderatismo; la sinistra d’alternativa può crescere significativamente se assieme all’unità si batte per il cambiamento in un rapporto di indipendenza dal PD; il partito comunista può ricostruirsi e puntare ad un’azione di massa se esercita il proprio ruolo unitario e se immette nel fronte democratico e di sinistra le sue spinte antimperialiste, anticapitaliste più avanzate.
E’ proprio l’ora – è ciò che emerge dal voto – che la sinistra anticapitalista e d’alternativa e i comunisti trovino la strada, ognuno nella sua necessaria e imprescindibile autonomia, per esercitare assieme la più forte ed unitaria pressione sulle forze del centro sinistra per battere davvero – in breccia- il berlusconismo e avviare quella stagione nuova che il vento di Milano e Napoli ha sollevato.