Il venerdì di protesta dei trasporti. Fermi bus, metro, Alitalia e Tirrenia

Il bis, nemmeno 15 giorni dopo. I trasporti pubblici locali (bus, metropolitane, pullman) si fermano venerdì per 24 ore. Lo stop doveva verificarsi oggi, ma la trattativa in corso a palazzo Chigi – lunedì sera – ha partorito aperture sufficienti a posporre di 48 ore lo sciopero.
Il governo si è presentato al tavolo aumentando la dotazione necessaria a rinnovare il secondo biennio economico del contratto di lavoro: 160 milioni di euro (erano 100 il giorno prima e 60 quelli iscritti nell’apposito comma della finanziaria). Un piccolo passo avanti, che secondo i primi calcoli copre appena la metà della cifra media mensile chiesta dai sindacati confederali (111 euro). Per arrivare a soddisfare le richieste bisognerebbe arrivare a oltre 200. Il governo ha perciò pensato di coinvolgere i governatori delle Regioni per verificare la loro disponibilità a finanziare la differenza. Giovedì i governatori si riuniranno a loro volta, e alle 16 è atteso il «conclave» con i rappresentanti delle associazioni delle aziende di trasporto locale (Asstra e Anav), i governatori stessi e i sindacati confederali.
Da quella riunione dipende se le città italiane verranno totalmente bloccate il giorno dopo oppure no. L’esperienza, e lo slittamento irrituale della scadenza (fatto «in deroga» alle regole stabilite dalla cosiddetta Commissione di garanzia), portano a credere che qualche accordo verrà in quella sede sottoscritto. Bisognerà però vedere se sarà adeguato alle attese della categoria.
Lo sciopero era stato indetto per il 15 dai sindacati di base (Cub, Cobas, Sincobas, ecc), che chiedono non solo qualche euro in più, ma anche di essere ammessi al tavolo della trattativa in considerazione del loro dimostrato radicamento nella categoria (molti scioperi da loro indetti hanno pesantemente inciso sulla mobilità delle principali città). Può dunque accadere – e non sarebbe la prima volta – che Cgil, Cisl e Uil firmino un accordo ritenuto «buono», ma che la protesta poi parta lo stesso. Del resto lo «spirito di Mirafiori» aleggia da tempo in ogni mobilitazione dei lavoratori dipendenti, operai o impiegati che siano.
Discorso diverso per Alitalia. Anche qui 24 ore di sciopero venerdì, ma schieramento unitario di confederali «basisti». Comune è la rottura con il presidente, Giancarlo Cimoli, e la richiesta non solo di rinnovare – anche qui – il contratto ormai fermo da cinque anni (una strana riprova del loro status di «privilegiati», secondo la grande stampa italiana?), ma soprattutto di «far chiarezza» sulla strategia e il «piano industriale» pensato a sostegno della annunciata «privatizzazione». Il bersaglio della protesta comprende in buona misura, dunque, anche il governo. «Il presidente del consiglio ci aveva promesso un confronto serrato sulle prospettive del gruppo e invece le uniche informazioni che abbiamo sono quelle che leggiamo sui giornali». Parole di Mauro Rossi, segretario nazionale della Cgil, spesso accusata di soffrire della «sindrome del governo amico».
Infine, sempre venerdì, si fermano – anche in questo caso per 24 ore – tutti i dipendenti della compagnia di navigazione Tirrenia. Sotto accusa è il rinnovo della convenzione con lo stato fino al 2012, prevista da un emendamento alla finanziaria ma con contenuti ancora tutti da definire. L’ipotesi da cui si era partiti era quella del mancato rinnovo, cosa che avrebbe tolto di mezzo il principale operatore di trasporto marittimo sul mercato nazionale (di proprietà pubblica), avviando nel contempo privatizzazione e liberalizzazione. Non a caso al rinnovo della convenzione si erano duramente opposti gli armatori privati, riuniti in Confitarma, che minacciavano un ricorso alla Commissione europea. Prima di essere messi nel conto dei «vuoti a rendere», i lavoratori della Tirrenia hanno deciso di far sentire, per tempo, la propria voce.