Si stenta ancora a credere all’ampiezza devastante della vittoria elettorale di Hamas ma si fa ancora più fatica a riconoscere il crollo verticale di Al-Fatah. Ieri, quando lo scrutinio ha clamorosamente smentito gli exit poll che avevano assegnato mercoledì sera la vittoria di stretta misura ad Al-Fatah, nella Muqata di Ramallah si viveva nella stessa cupa atmosfera dei giorni di novembre del 2004, quando Yasser Arafat si stava lentamente spegnendo in ospedale per una malattia misteriosa. Il portavoce dell’Anp, Nabil Abu Rudeina, ha annunciato la sconfitta subita con lo stesso tono con cui comunicò la morte di Arafat. «E’ stato come se il rais fosse morto una seconda volta. Che faremo adesso? Non lo so, attendiamo le istruzioni del presidente Abu Mazen», ha commentato Mahmud Abu Issa, un sergente della guardia presidenziale, entrato in Al-Fatah quando era ragazzino nei campi profughi palestinesi in Iraq. Un suo compagno invece aveva voglia di scherzare e indicava le finestre degli uffici della Muqata che accoglieranno ora i funzionari di Hamas. D’altronde sono i risultati delle elezioni che parlano di svolta epocale. Hamas ha schiacciato Al Fatah sia per il numero dei seggi nel Consiglio legislativo, ottenuti nelle votazioni per le liste nazionali, sia in quelle per le circoscrizioni. In quelle nazionali Hamas ha ottenuto 30 seggi e Al Fatah 27; in quelle per circoscrizioni le dimensioni del successo di Hamas sono state ancora più schiaccianti: 46 seggi rispetto a 16 di Al Fatah. Hamas ha ottenuto un voto pressoché plebiscitario nella striscia di Gaza e ha vinto anche a Gerusalemme. Ha ottenuto la totalità dei seggi nella circoscrizione di Hebron e anche a Betlemme, con la sola eccezione di due seggi riservati per legge alla minoranza cristiana. La supremazia di Hamas nelle circoscrizioni conferma che nella scelta degli elettori ha avuto un peso dominante la reputazione di candidati non sospettati di corruzione o malgoverno.
Mercoledì tuttavia con Al-Fatah sono crollate tutte le formazioni laiche palestinesi. La più forte tra queste, ma con appena tre seggi in tutto, è stata la lista Abu Ali Mustafa del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Badil, una coalizione di centrosinistra, ha vinto due seggi. Altri due sono andati a Palestina Indipendente, guidata da Mustafa Barghuti. Alla «Terza Via», partito fondato dall’ex ministro delle finanze Salam Fayad, sono andati pure due seggi. Anche quattro candidati indipendenti, tre dei quali appoggiati da Hamas, sono riusciti a entrare nel Clp.
I dirigenti del movimento islamico non hanno voluto umiliare gli sconfitti e si sono affrettati a proporre la formazione di un governo di coalizione, in particolare con Al-Fatah. Hamas sa di essere isolato internazionalmente e ha bisogno di Abu Mazen e Al-Fatah per costituire un esecutivo gradito non solo ai palestinesi ma anche all’estero. In gioco ci sono gli aiuti economici internazionali all’Anp che Usa e Ue minacciano di sospendere. Ma la prima risposta di Al Fatah è stata un secco no, pronunciato dal capo negoziatore Saeb Erekat. «Il popolo ci ha detto fuori, e ad Hamas dentro: spetta a loro governare» ha detto, precisando che Fatah farà una «opposizione leale» in parlamento. Il vice premier Nabil Shaath invece è stato molto più vago e sarà importante il parere che esprimerà Marwan Barguti, leader dei giovani di Fatah, che prima del voto si era pronunciato per una coalizione con Hamas.
Chi sarà a capo del nuovo esecutivo post terremoto politico è uno degli interrogativi del dopo-voto. I nomi che si fanno sono quelli di Mahmud Zahar e Ismail Haniyeh, gli architetti della svolta politica di Hamas. Sono però entrambi ricercati da Israele, con scarsa libertà di movimento e avrebbero grosse difficoltà a guidare il governo. Perciò il Consiglio della Shura, l’organo direttivo di Hamas, potrebbe proporre a capo del governo un indipendente legato al movimento islamico ma con buoni rapporti con altre forze politiche e le parti internazionali. Intanto si cerca di far presto, per evitare tensione nelle strade. Ieri a Ramallah, militanti di Hamas e di Al-Fatah si sono scontrati fuori la sede del Consiglio legislativo.
Israele ha subito escluso un dialogo con il governo palestinese formato dal movimento islamico. Il ministro degli esteri Tzipi Livni ha parlato di un futuro «governo terrorista». Il premier a interim Ehud Olmert ha convocato una riunione di crisi del governo e dei servizi di sicurezza. Gli analisti ieri parlavano di posizione difficile di Olmert. In realtà per Israele, che dal 2001 tiene congelato il negoziato coi palestinesi, molte cose si semplificano. Ora potrà completare la costruzione del muro in Cisgiordania e avviare nuovi piani unilaterali in piena tranquillità. Con un governo di Hamas, nessuno al mondo aprirà bocca.