Il trionfo dell’illegalità

E’ successo un po’ di tutto all’assemblea Telecom. C’è stato perfino l’intervento dei pompieri per «alleggerire» la sala stracolma di persone in attesa dell’intervento di Beppe Grillo, divertente e pungente come sempre. Ma l’assemblea non è stata divertente, piuttosto è stata la migliore dimostrazione delle anomalie del capitalismo italiano. Con un colpo di scena, ad assemblea in corso: il ritiro dell’offerta da parte dall’At&t. Ma partiamo dalla anomalia minore: l’assenza di Marco Tronchetti Provera. «Un gesto di disprezzo e di vigliaccheria verso i piccoli azionisti», ha commentato il Movimento difesa del cittadino. Per tutti è il «padrone» di Telecom, ma lui in sala non c’era. Eppure è lui a decidere chi candidare e chi cacciare dai vertici della società. E soprattutto è lui con gli altri soci del patto di sindacato che governa Telecom (la famiglia Benetton) a decidere la politica dei dividendi. E da anni i dividendi, il pay out, secondo la terminologia oggi in voga, sono molto generosi: fino al 90% dell’utile netto. Per molti anni Microsoft non ha distribuito dividendi: tutte le risorse venivano reinvestite per lo sviluppo della società, ma i soci erano contenti: il valore delle azioni cresceva sistematicamente e chi voleva vendere lucrava sostanziosi capital gains.
Ma questa politica in Telecom non è stata mai seguita: i dividendi sono necessari per ripagare almeno gli interessi degli enormi debiti contratti da Tronchetti Provera per rilevare la società. Ma quello che va bene per il «padrone» di Pirelli non va bene per gli altri soci e soprattutto la società che investe molto (rispetto ai canoni dell’asfittico capitalismo italiano) avrebbe bisogno di investimenti ancora più massicci per cercare di non perdere la leadership tecnologica. Il risultato è che chi rileverà la Telecom – a meno di non voler seguitare a sfruttare la posizione di monopoli – sarà costretto a ingenti investimenti. E questo lo sanno bene anche gli attuali gestori pronti a uscire di scena, che hanno proposto all’assemblea di ridurre il pay-out per poter disporre di un po’ di miliardi per accrescere gli investimenti.
Insomma, la politica societaria di Telecom negli ultimi anni è stata fatta esclusivamente da Olimpia, la società controllata da Tronchetti Provera e dai Benetton che detiene il 18% del capitale del gruppo telefonico. Con meno del 20% del capitale in Italia è possibile controllare un società che a Piazzaffari capitalizza oltre 30 miliardi che salgono a poco meno di 50 sommando le azioni di risparmio che non interessano ai padroni di Olimpia, visto che le azioni di risparmio (altra anomalia italiana) non contano quasi nulla.
Quando Tronchetti Provera e i soci trevigiani rilevarono da Gnutti e Colaninno le azioni Telecom con una trattativa privata, il manifesto chiese – inascoltato – che gli acquirenti fossero obbligati a lanciare un’Opa per non penalizzare i piccoli azionisti. Ma la Consob sentenziò che le azioni rilevate erano meno del 30% del capitale di Telecom e quindi non veniva superata la soglia che rende – secondo legge – obbligatoria l’Opa. Oggi è sotto gli occhi di tutti che la Consob commise un grave errore applicando la legge alla lettera, che quella legge è sbagliata o va interpretata in modo diverso. Perché a rimetterci non possono essere i piccoli azionisti o i fondi pensione.