Il tramonto del modello anglosassone

Secondo quanto affermato da alcuni studiosi, al culmine dei disordini scoppiati nelle banlieue francesi, sarebbe arrivato il momento di riconoscere che il modello anglosassone basato sul multiculturalismo ha portato più pace e stabilità del modello francese basato sull’integrazione laica. Ormai simili affermazioni sono state superate dal corso degli eventi. Se qualcuno nutre ancora dei dubbi, la violenza razziale verificatasi questo mese a Sydney nella zona di Cronulla Beach deve distruggere l’illusione che i modelli comunitari basati sulla tolleranza razziale siano stati più efficaci della logica integrazionista nel conciliare le complessità della vita con le domande identitarie dello stato-nazione moderno in società culturalmente eterogenee. In realtà, le situazioni determinatesi sia a Parigi che a Sidney riguardano un più ampio conflitto globale che ha cancellato la distinzione tra guerra civile e guerra esterna insinuandosi nei rituali quotidiani della vita metropolitana.Simbolo delle affinità tra gli scontri verificatisi in queste città è lo scenario che entrambi i conflitti si sono lasciati dietro: strade suburbane costeggiate da file di auto sfondate con le mazze da baseball. Per chi non ha seguito gli eventi accaduti in Australia, si è trattato di atti derivanti dalla frustrazione di giovani mediorientali a seguito della violenza da pogrom scatenata contro di loro da cinquemila dimostranti bianchi. La folla arrabbiata dei dimostranti si era radunata a Cronulla Beach, una popolare località di mare a sud-est della città. A differenza di altri litorali di Sydney, Cronulla – che fa parte del Sutherland Shire, una delle zone della città più bianche ed omogenee dal punto di vista razziale – è servita dalla ferrovia. Questo ne ha fatto negli anni una popolare meta di picnic per le famiglie libanesi, o di altri paesi mediterranei, che vivono soprattutto nella zona ovest della città. Recentemente, con l’apertura di ponti che rendono più agevole il viaggio in macchina dai sobborghi occidentali, Cronulla Beach è diventata anche un punto d’incontro per i giovani libanesi. Questi ultimi scorrazzano per la città a bordo di automobili dal motore truccato, ascoltano il gangsta rap statunitense, e di tanto in tanto si scontrano con i surfer bianchi che considerano la spiaggia di loro proprietà.

Questa violenza ha acquistato una dinamica esplicitamente sessuale, anche a seguito di uno stupro di gruppo che è diventato una cause célèbre di razzismo sui tabloid.

Perciò non stupisce che la manifestazione con cui i bianchi hanno reagito l’11 dicembre, organizzata per mezzo di sms successivamente letti in programmi radiofonici e pubblicati su giornali a larga diffusione, sia stata presentata come una difesa delle donne bianche, sebbene la causa immediata fosse una rissa tra alcuni ragazzi libanesi e due bagnini di salvataggio fuori servizio.Quanto è accaduto quella domenica pomeriggio sarà ricordato come un capitolo pesante della storia razziale australiana: giovani bianchi ammantati di bandiere australiane hanno strappato il velo alle donne musulmane, picchiando ferocemente i maschi «libanesi» o «stranieri» che gli capitavano a tiro.Mentre le immagini di questo episodio hanno subito fatto il giro del mondo, le autorità locali hanno reagito tentando di nascondere gli aspetti razziali dello scontro e l’adozione di leggi speciali che concedono alla polizia il potere di «chiudere» i sobborghi e perquisire automobili a campione. Lo scorso weekend, le spiagge di Sidney erano pattugliate da squadre antisommossa ed erano accessibili solo agli abitanti dei sobborghi vicini alla spiaggia, una situazione lungamente desiderata dagli elementi razzisti che hanno orchestrato la violenza prendendovi parte.

È certamente pericoloso assumere una posizione che denunci il razzismo dei dimostranti di Cronulla come volgare e non confacente a una nazione orgogliosa del suo multiculturalismo. Una simile posizione servirebbe solo ad assolvere le élite nazionali dalla loro responsabilità in questa situazione, giustificando indirettamente la tesi populista secondo cui non sarebbe loro compito interferire con le espressioni della popolazione.

Essa inoltre impedirebbe di soppesare le complessità della tolleranza multiculturale, non ultimo il modo in cui sarebbe lasciata priva di verifica la capacità di agire in modo intollerante di chi detiene il potere sociale. Dato il disconoscimento pubblico degli aspetti razziali dell’episodio, sarebbe pericoloso anche eludere o complicare troppo la questione della razza. Certamente, è necessario sottolineare la dinamica sessuale che alimenta tutto questo e, come sappiamo da Fanon, altri casi di violenza razziale. Altrettanto cruciale è comprendere gli elementi relativi alla classe sociale, la storia delle sottoculture della spiaggia, il mateship (codice di condotta australiano basato sull’egualitarismo), o le complicazioni relative alla partecipazione delle donne bianche a questa aggressione anti-musulmana.

Ma discostare troppo il dibattito dalla razza significherebbe rischiare di precludersi una analisi su come il modello australiano di multiculturalismo, particolarmente nel contesti della guerra globale, non riesca ad evitare il confluire di sentimenti razziali e nazionalisti, culminante poi in episodi come quello di Cronulla.È un paradosso ben noto del multiculturalismo australiano, che sia lo stesso ministero ad organizzare eventi come il Giorno dell’Armonia nelle scuole e ad essere responsabile del mantenimento dei famigerati campi di detenzione per immigrati del paese. Nelle attuali condizioni di guerra (l’Australia ha partecipato sia alla guerra in Afghanistan che alla guerra in Iraq), la presenza di comunità musulmane interne – in particolare di quelle che rifiutano, spesso con connotazioni dure e machiste, di accettare la loro proletarizzazione o criminalizzazione attraverso una legislazione razzista e politiche di ordine – è un grosso problema politico.

Dopo il pogrom di Cronulla, il parlamentare conservatore eletto in quel collegio ha definito la violenza come una vendetta per gli attacchi dell’11 settembre e le bombe a Bali. Morris Iemma, nominato di recente premier del New South Wales, non ha perso tempo a definire una guerra le successive misure restrittive.Più impressionante è la rapidità con cui le condizioni di emergenza sono state normalizzate, allontanando subito i musulmani e i vari gruppi etnici dalle spiagge e costringendo allo stesso tempo gli abitanti di Sydney a tornare ai loro consueti modelli di consumo estivo per il bene dell’economia locale. Come sappiamo da città come Sarajevo, è spesso in contesti dove l’intimità tra gruppi culturali è più forte, che la violenza razziale assume le forme più scioccanti e terribili. E’ quindi prudente non dare per scontato che il denso e spesso affascinante mix culturale riscontrabile in certe zone di Sydney sia una garanzia contro l’escalation della situazione attuale.

Ciò che oggi la città si trova ad affrontare non è nulla di meno di una guerra civile. Una guerra che, come le guerre contro lo straniero che vediamo sui nostri schermi televisivi, diventa fin troppo rapidamente una parte della normale vita urbana. Nelle attuali condizioni globali, è probabile che queste conflagrazioni metropolitane non si limitino a città tanto eterogenee come Parigi e Sidney, ma scoppino con frequenza sempre maggiore qui e là in tutto il pianeta. Chissà, Roma o Milano potrebbero essere le prossime.

* professore alla Western University, Sydney

(traduzione Marina Impallomeni)