Il telefono americano

Luca Cordero di M., presidente della Fiat, della Ferrari, della Confindustria e chissà di quanto altro, è scontento di noi. Tutti, al governo, nel sindacato, nelle maggiori istituzioni, noi gente comune, abbiamo, in modi diversi, con diverse forze, criticato o comunque non osannato l’acquisto del controllo su Telecom Italia da parte di At&t, il colosso nordamericano di telecomunicazioni. Quando poi At&t ha lasciato, Cordero ha considerato l’accaduto una iattura e spiegato a tutti cosa avrebbero dovuto fare. Sarà per un’altra volta.
Prima di mettere una pietra sopra al ritiro della famosa multinazionale dalla scena italiana, può essere utile ricordare che At&t non si presentava sola, ma insieme ad America Movil, braccio finanziario dell’uomo più ricco del Sudamerica, Carlos Slim, libanese-messicano, che attraverso una serie di affari spericolati arrivava, nel 1990, alla conquista dei telefoni messicani e poi agli attuali fastigi.
Quello di At&t era un assalto non privo di contraddizioni. Negli Usa è proibito – dalla legge e dalla prassi – la conquista di un’impresa di telecomunicazioni nazionale da parte di stranieri. E’ inoltre fuori dalla legge una società che ne controlla un’altra, a capo di altre ancora. Negli Usa le scatole cinesi o le matrioske russe – il nostro pane quotidiano – si fanno di nascosto; per esempio l’indimenticabile Enron ne faceva.
Il controllo di Telecom, è in mano della società Pirelli che ha posto il 18% delle azioni in suo possesso in un’altra società, Olimpia, di cui ha ceduto i due terzi al gruppo Benetton. Il prezzo pattuito per venderla a nordamericani e messicani era di 4,5 miliardi di euro. A conti fatti, ogni azione Telecom era venduta da Pirelli e Benetton, attraverso Olimpia, a 50 centesimi di euro in più di quanto valesse per tutti gli altri soci: 2,80 euro per loro, 2,30 per tutti. E anche questo in America non si può fare. La condizione paritaria dei soci deve essere garantita. Non si capisce come l’ambasciatore Usa Ronald Spogli se la prenda con l’intera Italia.
Rimane in campo il ricchissimo signor Slim. Sembra che Telecom gli interessi per la compagnia telefonica brasiliana che la «nostra» Telecom possiede. Il controllo dei telefoni brasiliani da parte di un gruppo italiano non fa sensazione; o almeno fa molto meno effetto del passaggio della società italiana in mani estere. E anche questa è una contraddizione su cui riflettere, avendo tempo.
Quella di Telecom è stata una vicenda piena di insegnamenti, ma non quelli che Cordero vorrebbe. In una decina d’anni c’è stata una privatizzazione a favore delle banche; il controllo da parte di finanza «Fiat» ma senza investimenti; la prima scalata di Olivetti-Colaninno, Hopa e furbetti vari bresciani; la seconda scalata, di Pirelli-Tronchetti; e ora un nuovo passaggio di mano. Nel frattempo, nel contesto, spioni, malfattori, errori industriali di ogni genere. Sempre la finanza al comando, sempre la ricerca di valore in testa a tutto. Come se i telefoni non dovessero servire a parlare, ma ad arricchire, ad ascoltare di nascosto; a spiare.

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