Prima riunione ieri della «cabina di regia» a palazzo Madama sulla manovra finanziaria ma già dalle prime battute si capisce che il compito che attende l’Unione in senato si annuncia titanico: molteplici infatti gli equilibri politici ed economici da salvaguardare al secondo giro di boa (è scontato infatti che la manovra tornerà alla camera attorno a Natale).
Sul tavolo dei «registi» (capigruppo, relatori e «sherpa» del governo come Chiti, Letta e Sartor) fascicoli già voluminosi ancora prima di partire: da un lato l’accordo raggiunto in senato sul decreto fiscale (approvato senza la fiducia) che prevedeva l’inserimento diretto degli emendamenti desiderati in quell’occasione nella manovra; dall’altro i 59 emendamenti concordati dal centrosinistra a Montecitorio che il governo si è «dimenticato» di presentare (per oltre 600 milioni di euro) e che ieri a scanso di equivoci sono stati recapitati «a mano» ai senatori da Dario Franceschini e Gennaro Migliore. Una mole di materiali e desideri contrapposti difficili da comporre. Senza contare che il governo non ha agevolato il compito eliminando sia come previsione di copertura sia come articolato la tassazione omogenea al 20% delle rendite finanziarie che costituiva da sola una buona parte dello sbandierato effetto redistributivo della manovra propagandato fino a ieri. La «dimenticanza», affidata a una futura legge delega, pesa non poco negli equilibri di maggioranza. E suona strana soprattutto se si pensa che era il cuore della «contromanovra» del centrosinistra già nel 2005, al crepuscolo dell’era Tremonti. Nel «suq» di Montecitorio però quella norma è sparita dall’agenda. Un caotico «mercato delle vacche» che almeno nelle intenzioni l’Unione ha tutta l’aria di voler evitare almeno a palazzo Madama.
La riunione di ieri è servita a mettere a punto un buon metodo di lavoro: la finanziaria sarà «gestita» dalla «cabina di regia» e i partiti dell’Unione si impegnano a presentare in commissione bilancio solo emendamenti condivisi dai gruppi, mirando a portare poi in aula quelli su cui si registra il consenso di tutta la maggioranza. Dando per scontato il voto di fiducia, la mossa serve a placare eventuali «dissidenti» e a garantire la tenuta in quello che si annuncia come un giro di boa quanto mai delicato. Il termine per gli emendamenti scade domani e quindi l’accordo va trovato in fretta sia all’interno di tutti i gruppi che con il governo. Finora l’esecutivo ha affidato a palazzo Madama circa 400 milioni. Cifra che potrebbe anche raddoppiare ma che non sana certo né le richieste arrivate dalla camera né quelle che arriveranno dai gruppi del senato.
Il primo giro di tavolo di ieri è stato piuttosto sereno: unanime l’intenzione di ragionare su capitoli come ricerca, precarietà, enti locali, trasporto pubblico, lavoro e sicurezza. Non mancano poi le richieste dei partiti. «Le priorità del Prc – spiega Giovanni Russo Spena – riguardano interventi a favore dei precari, l’eliminazione dei ticket sulla sanità, il mantenimento delle graduatorie sulla scuola oltre il 2010 e la diminuzione delle spese militari attraverso un dirottamento dei fondi per l’industria bellica alla sicurezza». Più coperto l’Ulivo, che dovrà risolvere al più presto la «grana» sul taglio ai costi della politica reclamato da Salvi e Villone e mal digerito dall’Anci e da molti esponenti ulivisti.
La manovra dunque cammina sul filo di equilibri politici importanti e divergenti, sia dentro la maggioranza che tra le due camere. Il capogruppo in commissione bilancio Enrico Morando sarebbe già orientato a sforbiciare le richieste avanzate dalla camera. Ma il problema è che la manovra a Montecitorio dovrà tornarvi: per accontentare tutti, quindi, bisognerà trovare altri fondi per le relative coperture. Il sottosegretario all’Economia, Nicola Sartor, mette le mani avanti: «Non ci saranno cose eclatanti ma solo piccole poste fatte sia da nuove entrate che da tagli».