Nel nostro paese tutti invocano la stabilità, chi economica, chi finanziaria, chi lavorativa, ma gli unici a rimanere stabili sono i poveri; sempre gli stessi, per lo più disoccupati o con famiglie numerose, ma inevitabilmente residenti a sud dello stivale. In Italia nel 2005 oltre 2,5 milioni di famiglie si sono fermate al di sotto della cosiddetta «linea di povertà». Si tratta dell’11,1% dei nuclei familiari, percentuale sostanzialmente invariata rispetto allo scorso anno. In altre parole la povertà non avanza, ma nemmeno la ricchezza. E questa dovrebbe essere una buona notizia? Probabilmente no.
Dai dati diffusi ieri dall’Istat su «la povertà relativa in Italia del 2005» emerge infatti un fortissimo squilibrio territoriale che rappresenta la vera criticità del sistema: se al nord del paese le famiglie che possono considerarsi povere sono «solo» il 4,5%, nel mezzogiorno la percentuale schizza al 25%. La stabilità dei dati sulla povertà rispetto al 2004 va quindi inteso come un consolidamento dello stato di estrema difficoltà del mezzogiorno che nel 2005 non ha saputo offrire nessun segnale di miglioramento.
Ma come si calcola questa famigerata soglia che divide qui può, da qui non può?
L’Istituto nazionale di statistica calcola la linea di povertà sulla base di una soglia convenzionale che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. Quest’anno la cifra è pari a 936, 58 euro al mese. Questo significa che una famiglia composta da due persone è classificata statisticamente povera se la sua spesa per consumi è inferiore alla spesa media per persona (cioè: 900 e rotti euro). Per le famiglie più ampie il valore della linea, viene opportunamente corretto e calcolato attraverso una «opportuna scala di equivalenza».
Scorrendo i valori da regione a regione si scopre che l’Emilia-Romagna continua ad essere un modello per il sistema sociale Italiano, infatti con il 2,5% ha il minor tasso di povertà. La Lombardia, il Veneto e Bolzano hanno un tasso che si aggira sotto il 4%. Nelle regioni del Centro-nord, il tasso maggiore tocca all’Umbria, con un livello del 7,3%. Nel complesso tutte le regioni del centro-nord hanno una soglia inferiore alla media nazionale. L asituazione nel centro sud è decisamente pesante, la Campania e la Sicilia, con percentiuali di povertà relativa pari rispettivamete al 27 e al 33%, si confermano come le zone del paese in cui c’è ancora molto da fare.
Va un po’ meglio solo l’Abruzzo, che con l’11,8%, è l’unica regione del sud che si avvicina al tasso nazionale. Nel rapporto, l’Istituto identifica anche le caratteristiche delle famiglie povere: un elevato numero di componenti, la presenza di figli – sopratutti se minori – basso livello di istruzione e una ridotta partecipazione al mercato del lavoro. In linea di massima i nuclei con cinque o più componenti presentano livelli di povertà più elevati: oltre una su quattro famiglie numerose vive in povertà, e – ancora una volta – oltre il 39% si concentra al di sotto del Lazio. Le difficoltà economiche sono invece più contenute tra i single e tra le coppie senza figli con un tasso di incidenza rispettivamente del 3,5% e del 4,8%.
Nonostante nel biennio 2004-2005 la diffusione della povertà a livello nazionale e territoriale non abbia fatto segnare importanti variazioni dal punto di vista statistico, confermando semmai le tendenze già in corso negli ultimi anni, si possono comunque evidenziare trend statisticamente rilevanti per alcuni segmenti di famiglie. Segnali di miglioramento si osservano nella fascia più anziana della popolazione: che ha sperimentato una diminuzione dell’incidenza di povertà passata dal 15% al 13,6% tra le famiglie con almeno un componente anziano. La situazione è anche più favorevole fra quelle con due o più anziani (dal 17,3% al 15,2%), e soprattutto fra le coppie con una persona di riferimento ultra sessantacinquenne (dal 15,1% al 12,9%).
Segnali opposti arrivano dalle famiglie con disoccupati in cui la persona di riferimento è un lavoratore dipendente: in questo caso la percentuale di nuclei poveri è passata dal 18,8% al 22,3%. Nella maggioranza dei casi siamo in presenza di famiglie con un numero di componenti in cui convivono più generazioni («altra tipologia») o residenti nel mezzogiorno. In quest’ultima area del paese la condizione delle famiglie di «altra tipologia» sembra aver subito il più deciso peggioramento con un incremento dell’incidenza di povertà dal 36,4% al 42,9%.
Nelle regioni meridionali migliora solo la condizione delle famiglie di un solo componente (da 21% a 17,7%); in particolare l’incidenza di povertà si riduce di quasi cinque punti percentuali (dal 28,2% al 23,5%) per gli anziani soli, attestandosi sul valore medio ripartizione.
L’Istat informa poi che per il 6% delle famiglie il superamento della «soglia» subordinato a piccoli miglioramenti della loro condizione economica: si tratta delle famigli «appena povera» che si attestano appena sotto la linea di povertà. Discorso inverso va fatto invece per un 7,9% delle famiglie che corre un forte rischio di cadere al di sotto del livello di povertà, giacché presentano un livello di spesa per consumi appena superiore alla fatidica «soglia».