Lo avevano apostrofato “sognatore”. E lui ha prontamente rilanciato: il “sogno”, inteso come capacità di oltrepassamento dei vincoli di una realtà data, costituirà la guida della sua azione di governo. Per la prima volta, dopo decenni di censura dell’immaginario politico, Nichi Vendola ha rimesso il sogno ai vertici del linguaggio della sinistra. Questa scelta ha pagato, e in un certo senso costituisce una prova del fatto che le grandi attese popolari nei confronti della politica non sono per nulla scemate: basta infatti sollecitarle per vederle prepotentemente emergere. E’ questa, in fondo, la dimostrazione che in politica, a differenza di quanto accade in economia, impera la “legge” secondo cui è l’offerta che crea la sua propria domanda. Al “sognatore” Vendola va il merito di aver posto nuovamente in luce questa legge scomoda, che assegna al ceto politico enormi responsabilità e che per lungo tempo, a sinistra, si è cercato di far dimenticare.
Nella evocazione del “sogno quale atto politico” è tuttavia implicito un enorme rischio. Di fronte alla gestione concreta del governo regionale della Puglia, il sogno potrebbe infatti tramutarsi nel vecchio, funesto “incubo del contabile”. Va ricordato, a questo proposito, che la giunta di centrodestra uscente aveva fatto del “risanamento finanziario” un caposaldo della propria iniziativa politica. Questo obiettivo, come è noto, ha giustificato le peggiori nefandezze, soprattutto in campo sanitario. L’eredità lasciata dall’ex-presidente Raffaele Fitto è in tal senso bifronte: un bilancio regionale in sostanziale pareggio e un sistema ospedaliero al collasso. Parafrasando Keynes, potremmo dire che in Puglia, anziché costruire la città delle meraviglie, si è deciso di creare i bassifondi, e si è ritenuto fosse ragionevole farlo perché questi, secondo il criterio dell’impresa privata, “fruttavano”, mentre la città delle meraviglie avrebbe, nell’imbecille linguaggio finanziario, “ipotecato il futuro”.
Il recente passato della regione Puglia pone dunque Vendola di fronte a un bivio. La prima possibilità è che egli accetti di sottomettersi all’imperativo ideologico di preservare il pareggio di bilancio, e che si rassegni pertanto a costringere l’azione di governo negli spazi angusti del “gioco a somma zero”. La seconda possibilità, invece, è che egli ricordi a tutti – soprattutto agli alleati più riottosi – che il dogma del bilancio regionale in pareggio è solo un riflesso periferico dell’impianto macroeconomico di Maastricht, il cui unico scopo, si badi, è consistito nel porre un argine tra le decisioni monetarie dei tecnocrati della Banca centrale europea e le istanze di rivendicazione provenienti dagli organismi di rappresentanza democratica, a partire dai parlamenti nazionali e locali. Questa seconda opzione troverebbe, allo stato dei fatti, un terreno politico estremamente fertile. E’ ben nota, a questo proposito, la sostanziale perdita di efficacia sanzionatoria del Trattato di Maastricht. E dovrebbe essere altrettanto noto a livello locale che, dopo il ripudio del decreto legislativo 56/2000, il Patto di stabilità interno presenta numerose crepe, e il suo rispetto è ormai lasciato in balia delle annuali, caotiche ricontrattazioni con il governo centrale.
La destra ha fino ad oggi sfruttato l’allentamento dei vincoli di bilancio al solo scopo di agevolare l’opera di demolizione dello stato sociale. Il venir meno delle sanzioni europee ha infatti permesso, a livello nazionale, di fare della riduzione delle tasse un apripista per il successivo abbattimento delle spese. A sinistra, invece, in modo sempre più imbarazzato si continua a far girare il disco rotto della “finanza sana”, e ci si rifiuta di ammettere che il quadro della politica macroeconomica è in pieno movimento. Questa linea di condotta rappresenta l’inevitabile conseguenza di una disastrosa perdita di riferimenti teorici e di relative ambizioni politiche. La ragione per cui la sinistra, in tutta Europa, evita di aprire una vertenza sul controllo della leva monetaria e finanziaria, è che in molti suoi settori si ritiene dopotutto preferibile che i flussi di finanziamento siano indirizzati esclusivamente verso il settore privato e che la loro allocazione sia governata soltanto dalla logica del profitto.
E’ in fondo questo il motivo per cui il politico di sinistra appare da tempo, ai nostri occhi, un pavido contabile privo di immaginazione, capace soltanto di porsi al servizio del circuito monetario capitalistico. Ed è proprio a causa di questa sudditanza che, da oltre un ventennio, i mutamenti nella struttura della produzione si caratterizzano per una espansione senza freni dei consumi privati e di lusso, a scapito ovviamente della quota di beni pubblici e di consumi collettivi.
Da qualche tempo, nella sinistra europea, stanno finalmente levandosi alcune voci in merito alla opportunità che maggiori flussi monetari siano destinati alla espansione di nuovi spazi pubblici di produzione e di consumo. Prevale tuttavia la tendenza a ritenere che un simile cambio di rotta debba per forza scaturire dal “centro” del sistema, vale a dire dalle istituzioni europee o al limite dai governi nazionali. E’ possibile tuttavia che tale opinione si riveli errata, nel senso che le spinte per il cambiamento potrebbero molto facilmente scaturire dalle più remote e disagiate “periferie” dell’Unione, che più di tutte hanno patito le restrizioni finanziarie di questi anni.
E’ in quest’ottica che a mio avviso andrebbe interpretata l’avventura di Nichi Vendola in Puglia. L’evocazione del “sogno” ha infatti risvegliato le attese di un intero popolo, il quale farà pressione sul consiglio e sulla giunta per trovare finalmente una risposta alle istanze di trasformazione sociale che emergono insistenti dal territorio. L’idea che basti la partecipazione democratica per non deludere simili aspettative è del tutto inverosimile: il reddito sociale o il bilancio partecipato, senza un euro da socializzare o su cui partecipare, rappresentano una prospettiva in grado solo di alimentare sentimenti di rabbia e di delusione. Se vuole tener fede alle attese, insomma, Vendola dovrà agire senza indugio sulla leva monetaria e finanziaria, rivendicando il diritto allo sfondamento del vincolo di bilancio. Solo la moneta, dunque, plasma il futuro. Solo la moneta è in grado di trasformare il bel sogno, nostro e di Nichi, in una realtà concreta.