Il sindacato non metta al centro l’impresa

La globalizzazione genera una concentrazione inaudita della ricchezza e del potere nelle mani dell’impresa transnazionale, totalmente affrancata da vincoli o remore morali, «socialmente irresponsabile». Sono le convenienze di mercato – e soltanto quelle – che orientano le scelte di allocazione del capitale: lavoro umano e natura entrano solo come combustibili nel processo di accumulazione. Va da sé che le idee di pubblico, di bene comune, di proprietà sociale siano state sradicate e messe al bando come retaggi frusti di un ideologismo retrò, tanto nell’economia quanto nella cultura politica dominante.
La competizione si trasferisce ai lavoratori nella forma più brutale: sopravvive chi è disposto a cedere di più. Nella competizione globale i lavoratori diventano soldati in guerra, coscritti che devono far vincere la loro azienda, contro altre aziende, contro altri lavoratori di altre regioni o paesi. Per questo il conflitto sociale, il conflitto capitale-lavoro è rigettato come pura patologia da estirpare: il solo sindacato tollerabile è quello «di mercato».
Serve un rovesciamento di paradigma. In Italia (e nell’insieme del continente europeo) ciò significa quattro cose: interrompere la corsa alle privatizzazioni, a partire dai servizi pubblici sociali e riaffermare un’idea sopita e persino dileggiata di bene pubblico; ridare fiato a una vera politica di giustizia fiscale (uscita scolorita e tramortita dalla recente campagna elettorale); promuovere una grande campagna per i diritti di cittadinanza, a partire dalla piena legittimità del progetto migratorio; impedire il saccheggio, lo spreco, l’inquinamento dell’acqua, dell’aria, del suolo che non possono essere autorizzati da nessun presunto «superiore interesse».
E’ indispensabile poi dare forma e contenuto meno evanescenti all’idea di centralità del lavoro. E’ indispensabile venire a capo della contraddizione fra una linea ufficiale che chiede la cancellazione della della legge 30, una complessiva riformulazione della legislazione in materia di mercato del lavoro ed una concreta prassi sindacale che invece legittima ogni sorta di regime flessibile, sino a prevedere ipotesi derogatorie del contratto nazionale che incrinano un caposaldo della strategia contrattuale formalmente approvata dal congresso di Rimini, fornendo alibi a chi è già al lavoro per edulcorare o contrastare lo stesso programma del governo di centrosinistra in materia di lavoro.
Occorre riscoprire quella connessione, oggi assente o intermittente, fra contrattazione nei luoghi di lavoro e contrattazione sociale territoriale, capace di saldare diritti del lavoro e diritti di cittadinanza, superando una separatezza che genera deriva corporativa nei luoghi di lavoro e anomia sociale in un tessuto comunitario sempre più disgregato. Solo così il territorio può diventare il luogo fisico di una possibile progettualità alternativa e della riorganizzazione della democrazia come partecipazione consapevole in un riscoperto nesso fra locale e globale, particolare e universale.
6. Non è dato processo di democratizzazione della società, né affermazione in essa di una soggettività politica del lavoro se i lavoratori sono espropriati -nelle loro organizzazioni di rappresentanza- di una vera sovranità. Questo nodo cruciale è ancora lungi dall’essere sciolto, non soltanto nel difficile rapporto con Cisl e Uil, bensì all’interno della stessa Cgil e delle sue federazioni di categoria dove spesso prevale un’impostazione autoritativa dei gruppi dirigenti ed un atteggiamento paternalistico nei confronti dei lavoratori.
La partecipazione attiva dei lavoratori, l’assunzione del vincolo del voto referendario sugli accordi per legittimarne la validità continuano ad essere una pratica largamente disattesa, un impaccio piuttosto che una risorsa strategica. Ne sono una spia inequivocabile la paura del pluralismo, la messa al bando del dissenso, la preferenza per un’omogeneità mediocre, ma ossequiente.

Il documento è firmato dai segretari: Mirto Bassoli (Reggio Emilia); Renata Bortolotti (Bologna); Vasco Caiarelli (Perugia); Andrea Caselli (Bologna); Andrea Castagna (Veneto); Paolo Castellucci (Pescara); Massimo Covello (Cosenza); Cipriano Crescioni (Terni); Franco Chiodi (Verbania); Domenico Ghirardi (Valle Camonica); Dino Greco (Brescia); Luigi Lottardi (Mantova) Gianfranco Marchesotti (Alessandria); Sergio Mirimao (region. Umbria); Simonetta Ponzi (region. Emilia Romagna); Claudio Porchia (Imperia); Claudio Stacchini (Torino); Flavio Vallan (Pordenone).