“Il sindacato che vogliamo”

Le firmatarie e i firmatari di questa mozione vengono da storie sindacali e politiche molto differenti tra loro e considerano questa eterogeneità non solo una grande ricchezza ma soprattutto il segnale che è davvero possibile quando si individua un problema superare steccati e appartenenze, mettere a frutto esperienze e conoscenze,anteporre la passione per la CGIL a vissuti e destini personali, per cercare e trovare insieme la strada per affrontarlo e risolverlo.
La CGIL che vogliamo è uno spazio libero nel quale lavoratrici e lavoratori, disoccupati, giovani ed anziani, uomini e donne, meridionali e settentrionali, nativi e migranti possono incontrarsi, riconoscersi ed organizzarsi. Per questo deve essere luogo vero di confronto, proposta e partecipazione.
La CGIL che vogliamo fa di questo incontro la propria grande ricchezza. E’ così che si esercita la vera democrazia, quella nella quale i rappresentati sono più importanti dei rappresentanti.
La CGIL che vogliamo rinnova ogni giorno il suo impegno per la difesa e l’estensione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, degli e delle aspiranti ad un lavoro, dei pensionati e delle pensionate.
La CGIL che vogliamo si batte per la democrazia e per la pace, nel pieno rispetto dell’art. 11 della Costituzione.

E’ così che la storia, il presente, la realtà economica, sociale e produttiva non impongono le sue regole ma vengono attraversate dalle nostre priorità, vengono lette dalla nostra ottica, vengono conosciute e modificate dalle nostre battaglie.
La CGIL che affronta oggi il congresso si è molto allontanata da questo obiettivo: ad una società disgregata dal pensiero dominante della destra, ad un mondo produttivo incapace di fare cultura d’impresa, ad un mercato del lavoro impoverito e precarizzato, diviso nei diritti e nelle tutele, non ha saputo proporre e imporre la propria coerenza, il proprio impianto culturale e strategico fatto di solidarietà, contrattazione, partecipazione, uguaglianza, democrazia, diritti, tutte grandi condizioni che hanno segnato la nostra storia di emancipazione e libertà del lavoro.
Gli anni che ci separano dal Congresso precedente ci hanno visto pericolosamente oscillanti lungo un asse segnato da continui aggiustamenti tattici che progressivamente hanno oscurato la coerenza e la linearità dei comportamenti, mettendo in forse l’esistenza di una linea strategica a guida delle azioni quotidiane.
Il rischio più forte dell’assenza di una strategia, rischio puntualmente verificatosi, è il non riuscire mai a provare a dettare l’agenda delle priorità al governo, alle controparti, agli altri interlocutori sindacali,con l’esito di non contrastare il disegno che governo, controparti, interlocutori sindacali hanno ritagliato per noi, disegno di progressivo isolamento, disegno reso possibile dalla pericolosa intercettazione di quelle scelte con la nostra fragilità.
Quale affidabilità diamo ai lavoratori e alle lavoratrici non avendo contrastato in tutti i modi un accordo confederale sulle regole della contrattazione che palesemente li danneggia?
Quale fiducia comunichiamo ai lavoratori e alle lavoratrici non riuscendo a definire una strategia confederale di gestione di un accordo separato?
Quale sicurezza diamo ai nostri rappresentati e alle nostre rappresentate che con generosità e passione hanno partecipato alla manifestazione nazionale del 4 aprile, indetta su una piattaforma troppo generica e chiusa con la richiesta di un tavolo di confronto col Governo, richiesta non solo inevasa ma perfino sbeffeggiata?
Nonostante queste gravi lacune nella nostra azione e dunque nel rapporto con le persone che intendiamo rappresentare, esse guardano comunque a noi come un punto di riferimento forte, a maggior ragione in un contesto politico, economico e sociale così difficile.
Siamo loro debitori di una riflessione profonda sui nostri limiti, della trasformazione di questa analisi in un rinnovato progetto strategico segnato da radicale discontinuità, da forte cambiamento nei processi di formazione delle decisioni, da ampia e aperta innovazione nell’individuazione di proposte e obiettivi.
Per questo il Congresso deve essere un momento di confronto democratico sul futuro della nostra Organizzazione,e non la riproposizione, come è avvenuto nel passato, di una impostazione autoassolutoria, a sommatoria, confusa, indistinta, priva di scelte e di priorità forti e chiare, dalla quale risulta per giunta completamente assente il tema vero di questa fase: l’esigenza di una forte discontinuità.
Discontinuità nella consapevolezza, non sufficientemente acquisita, della necessità di ridefinire il ruolo del sindacato confederale alla luce dei profondi cambiamenti intervenuti sul piano politico, economico e sociale a livello nazionale e globale.
Discontinuità nella gestione stessa dell’organizzazione per evitare di incorrere nei limiti già registrati.
La realtà ci presenta oggi quattro priorità decisive per il nostro futuro:
una lotta decisa alla crescente disuguaglianza delle condizioni e delle opportunità , attraverso nuove politiche pubbliche, la redistribuzione della ricchezza in termini di politiche fiscali, accesso al Welfare, difesa dei beni comuni, contrattazione.
una lotta alla precarizzazione e alla riduzione dei diritti del lavoro, attraverso l’unificazione del mercato del lavoro nel segno della qualità e della stabilità, condizione prima perché le nuove generazioni possano concepire e realizzare il proprio progetto di vita.
una lotta per sconfiggere il modello contrattuale nato dall’accordo del 22 gennaio 2009 e per conquistare un nuovo sistema contrattuale. Lotta che affermi nella pratica rivendicativa un’autonomia negoziale della contrattazione confederale e categoriale a tutti i livelli, nel privato e nel pubblico,fondata sulle nostre scelte strategiche.
una lotta per conquistare una compiuta democrazia sindacale dove sia possibile misurare la reale rappresentanza e consentire la libera espressione di voto dei lavoratori e delle lavoratrici sulle scelte che li/le riguardano. Tale conquista è precondizione per la ricostruzione dell’unità sindacale, strumento indispensabile per rafforzare la lotta dei lavoratori e delle lavoratrici, che è stato messo in crisi dai comportamenti e dalle scelte di CISL e UIL.
Discontinuità, cambiamento e innovazione sono indispensabili anche nella vita interna della organizzazione. Troppo spesso alla percezione di fragilità esterna si è risposto con tentazioni autocelebrative, conformismo e asfissia della discussione tra noi, contribuendo così a consolidare un’immagine e un vissuto di organizzazione chiusa e burocratizzata, governata da una sorta di patto di non belligeranza tra leaderships in carica e aspiranti alle medesime.
Non c’è futuro per un’organizzazione di massa che non viva la democrazia come una risorsa positiva e non come un ostacolo.
Abbiamo bisogno di tutt’altro.
Alla CGIL serve oggi libertà di discussione, confronto, una continua circolazione di idee, serve un massiccio ricambio di genere e di generazioni che sconvolga gli incrostati assetti di potere, servono porte e finestre aperte grazie alle quali la domanda delle persone che vogliamo rappresentare si trasformi in proposte e battaglie per nuovi e vecchi diritti.
La crisi finanziaria, economica e produttiva, la progressiva svalorizzazione del lavoro, la continua messa in discussione dei diritti di cittadinanza, la netta riduzione dei gradi di democrazia e libertà mostrano l’urgenza della ridefinizione di un sindacato confederale forte, autorevole, rappresentativo.
Occorre dunque invertire la percezione collettiva: il mondo del lavoro, la società, le nuove generazioni devono poter guardare a noi non come a un problema, ma come alla più efficace delle soluzioni.

PIU’ UGUAGLIANZA PER USCIRE DALLA CRISI

La natura della crisi
Questo congresso della CGIL assume un carattere di straordinarietà per le scelte che siamo chiamati a compiere a fronte della devastante crisi globale.
Non si tratta di un passaggio congiunturale negativo e quindi non ci si può cullare nell’illusione che con qualche accorgimento sul piano finanziario possa riprendere lo sviluppo negli USA, in Europa e nel mondo.
La crisi globale è l’epilogo di un lungo periodo,dominato dal pensiero unico neoliberista,di sviluppo fondato sulla crescita delle disuguaglianze sociali, sulla compressione dei diritti individuali e collettivi e su un modello di consumi affidato all’incremento dell’indebitamento delle famiglie piuttosto che alla crescita delle retribuzioni.
Lo scoppio della bolla finanziaria ha rappresentato l’elemento scatenante della crisi di un modello di sviluppo in una dimensione che non ha precedenti.
Un’intera fase storica rischia di essere segnata da un’instabilità generale con cicli sempre più brevi di crescita e crisi,poiché ad essere violentemente investiti sono il campo economico e sociale, quello energetico , ambientale e alimentare, in un contesto mondiale in cui gli equilibri economici politici e militari sono così profondamente cambiati.
Occorre più che mai ribadire la scelta della CGIL di contrastare l’utilizzo della forza militare per la risoluzione dei conflitti e nei rapporti internazionali.La CGIL è schierata in difesa della pace,contro la guerra “senza se e senza ma”.
E’ giunto il momento di una riflessione approfondita sulla situazione in Afghanistan.La CGIL , nel confermare la contrarietà all’intervento espressa al Congresso del 2002, ritiene necessario definire una strategia di uscita del contingente italiano da quella che non si configura più certamente come una missione di pace.

L’egemonia del mondo finanziario e delle multinazionali su base globale ha messo a nudo la subalternità e la debolezza della Politica,l’insufficienza del potere degli Stati Nazione, la crisi dei soggetti incapaci di agire su scala globale.Si può uscire da questa situazione con il “multilateralismo”,con rinnovati organismi di governo e controllo sovranazionale, con forti strumenti di regolazione dei mercati e con nuove politiche pubbliche.Va riaffermato con nettezza,in sintesi, il primato dell’interesse generale sui fallimentari miti del mercato che si autoregola, generando così ricchezza e democrazia.
Questa situazione interroga anche il Sindacato,il nostro futuro, la stessa esistenza di una rappresentanza sindacale autonoma e democratica che sia portatrice di un “altro” punto di vista, quello del lavoro subordinato e dei pensionati. L’accordo separato di Governo e Confindustria con CISL e UIL non è leggibile al di fuori di questo scenario perché a ben vedere delinea un profilo e un ruolo del sindacato fondato sulla negazione dell’autonomia e
della funzione contrattuale.
Ciò che sta avvenendo è il tentativo di far ripartire la macchina economica mondiale con le stesse misure e le stesse politiche che sono la causa del suo incepparsi:un sistema fondato sulla competitività al ribasso e sulla guerra delle esportazioni precipita nuovamente, come sta avvenendo negli USA , in Europa e nel nostro paese, in ulteriore riduzione dei diritti del e sul lavoro e compressione delle retribuzioni.
Tutto ciò non solo non è accettabile, ma crea le condizioni per crisi ancora più catastrofiche, come appare dal pericolo di una nuova bolla speculativa, pericolo reiterato,come se niente fosse successo, dal riproporsi della divaricazione tra un’economia finanziaria in forte ripresa e un’ economia reale ancora in affanno.

Un’Europa politica e sociale
L’Europa ha evidenziato tutte le proprie debolezze e incapacità di definire una risposta comune al dissesto sociale determinatosi.
Si paga in questo modo la costruzione della dimensione europea su base monetaria senza un’identità politica, economica e sociale , alla quale richiamarsi per la definizione di strategie ambientali, energetiche,infrastrutturali, fiscali, in grado di qualificare il posizionamento europeo su fattori qualitativi di sviluppo e su differenti modelli di crescita dei consumi interni.
Si accentua in questo modo l’ inesistenza di un’ Europa sociale, che è la ragione prima della crescita di sentimenti antieuropei e di chiusure localistiche in tutto il vecchio continente,a maggior ragione dopo l’allargamento a 27, sentimenti indotti dalla paura di perdere le residue sicurezze sociali all’interno di ogni singolo paese.
Le difficoltà e i ritardi della CES –speculari alle resistenze dei sindacati nazionali a cedere parti della loro sovranità – sono evidenti e le iniziative sindacali europee sono importanti se segnate da reali percorsi di avanzamento nella costruzione di una unità sindacale europea.
Per il sindacato, costruire l’Europa sociale vuol dire individuare obiettivi condivisi che governino un processo di costruzione comune sul terreno dei diritti, della contrattazione , della fiscalità, delle retribuzioni, determinando così nuove dinamiche sociali ed economiche.L’obiettivo è la costruzione del sindacato confederale e di categoria europeo,come scelta ineludibile a fronte dei processi sociali in atto.

Un nuovo modello di sviluppo

L’ obiettivo del cambiamento degli equilibri sociali a favore del mondo del lavoro è oggi invece uno strumento fondamentale per uscire dalla crisi con un nuovo modello sociale fondato sulla coesione, la solidarietà e l’uguaglianza data dall’universalità dei diritti.
Occorre fare della redistribuzione della ricchezza, dei diritti e dei poteri la leva su cui agire per costruire uno sviluppo diverso e più giusto.
Occorre ripensare e riformare l’intero modello economico:ambiente, innovazione, ricerca,qualità della vita e del lavoro,istruzione, formazione,servizi sociali devono diventare nuovi obiettivi prioritari per uno sviluppo sostenibile.
Occorre assumere in questo quadro la salvaguardia e la qualificazione del sistema di Welfare come fattore di sviluppo e indicatore di qualità dello stesso:istruzione, formazione,sanità, servizi sociali dinamizzano l’economia, favoriscono la redistribuzione,creano le condizioni per l’espansione dei diritti e l’uguaglianza delle opportunità, insomma ridisegnano un ruolo attivo del pubblico nell’economia.
Occorre invertire il rapporto tra pubblico e privato.Massicci pacchetti fiscali,salvataggi di banche e imprese, consistenti interventi della finanza pubblica hanno di fatto rimesso in discussione il rapporto tra pubblico e privato e sancito l’incapacità di autoregolamentazione del mercato.
Occorre investire su un’economia di pace spostando risorse dall’apparato militare alla difesa e alla messa in sicurezza del territorio e all’aumento della spesa destinata alla sicurezza sociale.In questo quadro,importanti presidi sociali come vigili del fuoco e polizia municipale devono essere ricondotti alla loro mission originaria di prevenzione e tutela del territorio,al servizio della cittadinanza.
Occorre attribuire centralità alla crisi climatica, alle tematiche ambientali, sempre più connesse al complesso delle questioni sociali.Crisi ambientale e crisi economico-sociale sono dunque fenomeni strettamente intrecciati:sconfiggere le ricette della destra e del padronato sulla crisi, ricette che rischiano di portare il mondo alla catastrofe sociale e ambientale,comporta per il sindacato introdurre profonde innovazioni e molte discontinuità nella propria cultura politica ed economica.Serve dunque un progetto capace di intrecciare obiettivi squisitamente ambientali – riduzione dell’inquinamento, limitazione del consumo di risorse energetiche e naturali- con obiettivi sociali –qualità e valorizzazione del lavoro, piena occupazione, Welfare e giustizia sociale.Investire nel risanamento ambientale e in una più generale riconversione dell’economia non è un costo, ma una grande opportunità di sviluppo economico e di creazione di lavoro stabile e di qualità,ridando un senso,in una fase di crisi e di indispensabili trasformazioni tecnologiche,all’obiettivo della piena occupazione.
Per questo esprimiamo la nostra netta contrarietà alle proposte del governo di rilancio del nucleare e di inutili e faraoniche opere pubbliche come il Ponte sullo stretto di Messina, nonché di progetti sui trasporti che si rivelano non ecocompatibili e lesivi di territori e popolazioni. Gli 8 miliardi previsti per il Ponte, ad esempio,potrebbero essere più utilmente essere investiti in progetti di mobilità sostenibile e in una una rete diffusa di Telecomunicazioni di nuova generazione.Costruire una rete a banda larga accessibile a tutti è fondamentale per il rilancio della produttività complessiva del sistema,per stare al passo con gli altri paesi europei,per garantire nuovi e più avanzati diritti di cittadinanza (formazione, informazione),servizi e trasporti pubblici di qualità.
Le risorse dunque devono essere prioritariamente finalizzate alla ricerca tecnologica,allo sviluppo delle fonti rinnovabili, all’efficienza energetica,al risanamento di un territorio devastato come dimostrano le ultime tragiche vicende.
In buona sostanza, per rispondere all’esigenza di una nuova funzione di regolamentazione e indirizzo ma anche per restituire forza e potere a istituzioni democratiche,svilite e compresse dalla globalizzazione e dal mercato selvaggio, occorre una nuova politica economica, un rilancio del pubblico e nuovi strumenti di intervento.La conoscenza, la ricerca, l’innovazione, la ridefinizione in tal senso di un nuovo modello di riconversione e specializzazione produttiva devono costituire l’asse centrale di uno sviluppo sostenibile.
Ai ritardi accumulati sul terreno dell’innovazione, dell’ infrastrutturazione materiale e immateriale, si aggiungono ritardi sul piano sociale e culturale.
Sul piano sociale, la crisi mostra la crescita drammatica delle disuguaglianze e la distruzione della ricchezza economica , industriale e soprattutto professionale e lavorativa.
Si amplifica un diffuso sentimento di paura e di incertezza nel futuro,che finisce per essere usato come alibi per un arretramento delle conquiste civili.Questo determina una cultura di diffidenza e discriminazione verso ogni diversità, infarcita di un riproposto e strumentale collateralismo confessionale,che penalizza in primo luogo le donne.
La battaglia oggi per la laicità dello Stato non è solo battaglia di civiltà e progresso: è battaglia per il cambiamento, per la costruzione di equilibri sociali più avanzati,per la valorizzazione della soggettività e del protagonismo delle tante diversità che abitano una società globale.

Il mondo del lavoro

Il mondo del lavoro subordinato è scomposto e disgregato dalla frantumazione dei cicli produttivi, tanto nei settori privati che in quelli pubblici, attraverso la delocalizzazione e l’esternalizzazione delle produzioni di beni materiali e di servizi con la generalizzazione della catena dei fornitori e degli appalti, la terziarizzazione delle funzioni nella stessa realtà produttiva, l’utilizzo di presunte cooperative in mera chiave di dumping sociale.
In questo quadro, particolare importanza assumono ,nell’attuale sistema economico, i settori riconducibili al Terziario e ai Servizi.Mentre cresce il loro peso economico, sempre più divengono la frontiera della disgregazione della filiera produttiva e del mercato del lavoro,dove si tenta di cancellare qualsiasi ruolo della contrattazione e della rappresentanza collettiva.
Man mano che esplode la competizione tra soggetti deboli, resi meno liberi da un sistema legislativo che assume come asse centrale la competitività al ribasso , col duplice effetto devastante di ridurre diritti e tutele e allentare i vincoli di solidarietà tra lavoratori.
Basti pensare alla molteplicità dei rapporti di lavoro esistenti, in virtù dei quali , con la copertura ideologica della flessibilità, la condizione di precarietà è diventata la condizione normale per entrare e restare nel mondo del lavoro:si forma così un nuovo esercito di riserva per tenere basse le retribuzioni e ridurre i diritti di tutti.
Precarietà non è solo un contratto a termine ma è la condizione di subalternità e sudditanza del lavoratore all’organizzazione del lavoro e alla supremazia dell’impresa.
Per gli immigrati , infine, non si può parlare di mera riduzione dei diritti ma di assoluta precarietà degli stessi.Questo avviene anche in presenza di lavoro regolare, l’esistenza del quale è peraltro condizione vincolante per il mantenimento del permesso di soggiorno,assoggettando così il lavoratore migrante ad una situazione di ricatto permanente e ad una “insicurezza costituzionale”.
Si colloca in questa logica l’intervento legislativo del Governo da ultimo attraverso il “Pacchetto Sicurezza”:con l’introduzione del reato di clandestinità si vuole colpire la persona dello straniero non per ciò che fa ma per ciò che è,trasformando il migrante stesso in reato.E’ solo attraverso la richiesta e l’affermazione di una universalità dei diritti, politici e sociali,che si può ricostruire una situazione di superamento delle disuguaglianze in cui oggi vivono le donne e gli uomini migranti

Lavoro pubblico

La crisi che attraversa il mondo e l’Italia ha evidenziato come le politiche economiche che hanno impoverito e marginalizzato i sistemi di welfare universale garantiti dal lavoro pubblico, offrendo in cambio forme settoriali di welfare finanziario, o di carattere risarcitorio, sono state politiche inefficaci a sostenere le persone in difficoltà. Queste politiche sono state inoltre miopi anche dal punto di vista meramente economico perché non in grado di sostenere adeguatamente lo sviluppo del Paese.
Un welfare dei diritti sostenuto dal lavoro pubblico rappresenta infatti di per sé stesso una occasione ed un modello di sviluppo economico e sociale che non può più essere sottovalutata. Il solo settore della sanità vale da solo 6 punti del PIL nazionale ed è considerato uno dei settori nei quali il ritorno degli investimenti è più rapido.
Occorre quindi dire basta alle politiche che si sono susseguite negli ultimi quindici anni di tagli indiscriminati alla spesa pubblica che va invece riqualificata e considerata un investimento per l’economia del Paese.
Il lavoro pubblico va finalizzato al benessere delle persone. Salute, conoscenza, formazione, saperi, accesso ai beni primari naturali sono solo alcuni dei diritti fondamentali delle persone che solo il lavoro pubblico può garantire.
L’accesso universale a questi diritti sostiene inoltre il reddito delle persone quanto un fisco più equo sulle retribuzioni e sulle pensioni, o l’indispensabile crescita dei salari.
Le principali attività economiche incrociano nel loro svolgersi il lavoro pubblico. Per questo il lavoro pubblico deve offrire sostegno al sistema delle imprese, ma deve essere contemporaneamente presidio di legalità.
La CGIL si impegna in tal senso a costruire presso ogni posto di lavoro pubblico, anche in collaborazione con le associazioni che da tempo lavorano in questo campo, un osservatorio sulla legalità.
Il lavoro pubblico deve essere la fabbrica dei diritti delle persone. Ecco perché la demolizione della controriforma Brunetta deve essere considerato un obiettivo primario di tutta la CGIL che oltre alle azioni di lotta necessarie deve promuovere anche un ricorso contro gli evidenti profili di incostituzionalità che essa contiene.
La scelta di considerare l’acqua, la salute, la conoscenza, la qualità dell’ambiente, l’assistenza agli anziani ed ai cittadini non autosufficienti, i servizi all’infanzia, la protezione civile, la prevenzione dal rischio, la tutela e la fruizione di un bene culturale altrettanti beni comuni deve essere assunta dalla CGIL.
Questa scelta deve informare con coerenza le scelte e le pratiche della CGIL sia confederali che di categoria. Si deve iniziare dallo scegliere come vincolo che per poter assumere o conservare la caratteristica di bene comune deve esserne garantito l’accesso ad ogni cittadino indipendentemente dal reddito e dal territorio di nascita o residenza. Tutto questo può a sua volta essere garantito esclusivamente dalla loro natura pubblica.
A tal fine è necessario tornare indietro o contrastare pratiche affrettate di esternalizzazione e privatizzazione. Per questi motivi il D. L.135/2009 che di fatto privatizza servizi dal cui funzionamento e fruizione dipende l’accesso ad altrettanti beni comuni va contrastata con iniziative nazionali e locali in maniera forte e decisa che vada bene oltre la “sostanziale contrarietà” fin qui espressa dalla CGIL.
Un ampio movimento di lotta che sostenga insieme a soggetti plurali questo punto di vista deve supportare le iniziative anche legislative che al livello regionale si contrappongono con le scelte del governo nazionale.Sui servizi pubblici locali è necessario che le autonomie locali riprendano pienamente compiti di indirizzo, programmazione, gestione e controllo atti a garantire il ciclo integrato dei servizi stessi,standards di qualità ambientale,occupazionale,tariffaria e legalità.Per questo va riconquistata la precedente normativa che prevedeva diverse forme di gestione, fra cui quella pubblica, che la CGIL privilegia.
L’acqua,bene comune, deve avere gestione pubblica.
Il lavoro pubblico è parte fondamentale delle politiche generali del Paese e la mutazione negativa a cui è sottoposto prelude e sostiene un idea di società alternativa a quella da noi propugnata ed i cui lineamenti fondamentali sono tracciati nella Costituzione.
Sconfiggere il disegno politico di controriforma del lavoro pubblico è perciò un obbiettivo prioritario per tutta la CGIL.
La CGIL si deve inoltre impegnare a definire una nuova frontiera per una riforma generale del rapporto di lavoro dei lavoratori pubblici che abbia al centro la volontà di riconquistare un sistema contrattuale che riunifichi il lavoro pubblico con quello privato e che riconnetta chi lavora per produrre diritti con i soggetti portatori di questi diritti.
A questo scopo la CGIL insieme ad altri soggetti e movimenti promuoverà una legge di iniziativa popolare che rappresenti concretamente le linee fondamentali di questo progetto e l’interesse collettivo per una vera riforma del lavoro pubblico

Formazione e conoscenza

I drastici tagli al sistema formativo , che vanno contrastati con nettezza e vigore, non servono solo a recuperare risorse da utilizzare soprattutto per il finanziamento delle scuole private, ma sono funzionali al disegno ideologico e strategico del governo:il consolidarsi del carattere selettivo della scuola.
Viene così cambiata la natura costituzionale del sistema formativo italiano fondato sull’inclusione e sulle pari opportunità. Inevitabilmente, l’esclusione dai percorsi formativi colpirà quasi esclusivamente le classi sociali basse e medie,ricacciate in percorsi lavorativi dequalificati e marginali.
La scuola non deve selezionare.Deve fornire strumenti, articolati e differenziati secondo le vocazioni di ciascuno, di conoscenza e competenza.Deve favorire,sostenere promuovere saperi, condizione prima per la crescita individuale e lo sviluppo collettivo.
L’attuale politica della destra è quindi dannosa per la riduzione di diritti e dunque di democrazia e libertà, prefigura per giunta un ulteriore tassello al blocco della mobilità sociale, compromette contemporaneamente il futuro delle nuove generazioni e un’ipotesi di sviluppo socialmente sostenibile.
Questo lucido disegno della destra va contrastato sul piano politico, sociale e culturale, con una mobilitazione forte che parli all’intera società, realizzando il massimo del coinvolgimento di studenti, insegnanti,società civile, movimenti che condivano questi obiettivi:difesa della scuola pubblica, dei contenuti della scuola dell’obbligo anche estendendo l’obbligo stesso a 18 anni, del tempo pieno, degli istituti professionali e tecnici che permettano l’accesso all’Universita’,salvaguardia della liberta’ di insegnamento, dell’autonomia professionale e dell’autonomia scolastica.
Strategica per lo sviluppo una ricerca pubblica che sia utile alle popolazioni più che alle multinazionali, dedicando ad esse una parte consistente del PIL, favorendo percorsi di integrazione del lavoro precario, rendendolo organico ,e quindi libero da condizionamenti, agli Enti di Ricerca e all’Università.

La disgregazione dei sistemi di sicurezza

Nello stesso tempo la costante riduzione dei redditi e dei sistemi di sicurezza sociale, previdenziale,sanitario, scolastico e formativo viene accompagnata dalla nascita, anche per via contrattuale, aziendale e nazionale, di soluzioni privatistiche e corporative.Si inserisce in questo contesto lo snaturamento della funzione degli Enti Bilaterali,in un rapporto di complicità tra imprese e sindacato, delineato dall’accordo separato e dal Libro Bianco del Governo.
I processi che oggi investono il sistema previdenziale, sanitario, scolastico vanno profondamente modificati, pena un aumento esponenziale di tutte le disuguaglianze sociali. E le disuguaglianze sociali,nel disegno politico e culturale in atto, non sono un effetto collaterale, ma il presupposto di un nuovo assetto di potere.Si delinea,per la prima volta nella storia repubblicana, un futuro per le nuove generazioni peggiore di quello dei loro padri.

Giovani

La società italiana è chiusa e bloccata perché la sua classe dirigente, politica, imprenditoriale e sindacale è vecchia. L’Italia è un paese che non investe nel proprio futuro, perché non investe nel futuro dei propri giovani, nella loro formazione, nella loro cultura, nel qualità del loro lavoro. I giovani lavoratori, i precari, stanno pagando già oggi, e continueranno a farlo in misura sempre maggiore, le contraddizioni di un modello sociale e produttivo che svilisce il lavoro, le intelligenze, le creatività.
I nostri giovani studiano in scuole ed università impoverite e poco competitive sul piano internazionale.
L’attuale sistema previdenziale e di welfare, basato sul presupposto della crescita costante e della continuità del percorso occupazionale di tutti, sta facendo saltare il patto tra le generazioni. È necessario costruire un nuovo sistema universale che coinvolga tutti i soggetti interessati (lo Stato, i lavoratori e le imprese).
Non crediamo che sia sufficiente scrivere la parola giovani sui nostri manifesti e nei nostri documenti, firmando poi accordi che di loro si occupano poco e male, relegarli in “riserve indiane” o in organizzazioni di precari. Troppo poco si fa per allargare un sistema di tutele volto all’inclusione dei soggetti più deboli e all’estensione dei diritti di cittadinanza, come il diritto all’abitare, alla mobilità, al sostegno per le giovani coppie.
La “generazione 1000 euro”, come è stata ribattezzata, non incontra il sindacato o lo percepisce come un corpo estraneo, non ne riconosce il ruolo, molto spesso perché non lo conosce, altre volte perché il sindacato è lontano, fisicamente e idealmente, dalla sua dimensione lavorativa ed esistenziale.
Dobbiamo aprire porte e finestre e rimetterci in discussione. La linea uscita dalla nostra ultima Conferenza d’Organizzazione rappresentava un primo passo di questa apertura. quella linea appare oggi come un buon proposito disatteso, a cui non è seguita un’attuazione coerente e generalizzata perché è venuta a mancare un’iniziativa politica che influisse sulle condizioni materiali dei giovani.Abbattere cioè i paradigmi che ci possono limitare alla difesa dell’esistente, e quindi intestarci una sfida sul campo dei diritti, della loro estensione in forme nuove, che ponga un limite al dilagare del precariato, alla decontrattualizzazione di fatto di intere generazioni.
Valorizzare i giovani lavoratori impegnati a vario titolo nella CGIL significa innanzitutto valorizzare ciò di cui sono portatori: quindi intraprendere iniziative e campagne su temi che caratterizzano il loro quotidiano e farlo con modalità anche inedite, sfruttando soprattutto strumenti di comunicazione nuovi. Servono risorse per la formazione, per i permessi sindacali, per i distacchi, previsti dalle normative nazionali.
Dobbiamo investire nella sburocratizzazione. Prevedere nei regolamenti la scelta di destinare, in termini straordinari per i prossimi 3 anni, le risorse del fondo di reinsediamento esclusivamente a progetti in capo a giovani quadri e dirigenti.
Queste scelte sostanziano un’applicazione non burocratica di quanto deciso alla Conferenza d’Organizzazione e danno un nuovo impulso al processo di ricambio generazionale,conferendogli valenza costitutiva, istituendo cioè il vincolo statutario delle cosiddetta quote “verdi”, prevedendo che nella composizione dei comitati direttivi di ogni ordine e grado sia presente una quota non inferiore al 20% di under 35.E’ questa la strada per dare valore vincolante, inserendolo nel nostro statuto, alla presenza di almeno un under 35 nelle segreterie di ogni struttura.
Allo stesso modo è necessario destinare, in termini strutturali a tutti i livelli confederali e di categorie, almeno il 5% delle risorse alla promozione di quadri under 35: ore di permesso, distacchi, rimborsi, formazione mirata.

6.Donne

Il progressivo decadimento sociale e culturale del Paese si abbatte in particolare sulle donne, cronicizzando ritardi e disuguaglianze, marginalizzandone e ghettizzandone presenza, ruolo e funzione.
In molte aree del Paese, la disoccupazione delle lavoratrici si somma alla pervasiva percezione di inutilità della ricerca del lavoro, in molti settori si bruciano competenze e professionalità escludendo dai processi produttivi lavoratrici di elevata formazione:in sintesi, continua ad essere prioritario l’obiettivo di una reale parità negli accessi al lavoro e nell’esercizio stesso del lavoro,stante la palese discriminazione delle donne sul piano sia dello sviluppo delle carriere sia della remunerazione.
Al complesso di queste questioni si risponde con il riconoscimento economico e sociale del lavoro produttivo e riproduttivo:la centralità di questa scelta costituisce un vantaggio generale per il sistema e la base per rinnovare un principio di uguaglianza nella valorizzazione delle differenze.
Infatti,l’arretratezza della nostra società, sul piano della parità dei generi, si manifesta diffusamente in campo economico, sociale, politico e istituzionale.
Gli appelli e le prese di posizione sono ormai del tutto inefficaci, così come la pletora di Comitati per le Pari Opportunità .
Crediamo utile sperimentare strumenti più efficaci per far rispettare le norme antidiscriminatorie.

Il valore della legalità

Un capitolo a parte merita il tema della legalità: la questione morale aperta nel paese impone al sindacato di assumere il principio della legalità come valore fondativo.
Le mafie agiscono oggi su scala universale e sfruttando le opportunità di riciclaggio della globalizzazione e della finanziarizzazione, rappresentano un pericolo crescente per l’intera economia, la società, la democrazia.La valenza del fenomeno necessita quindi di politiche globali in grado di coinvolgere tutti i paesi del mondo.
Nel nostro paese,le regioni del Sud sono i luoghi di sfruttamento da cui attingere risorse essenziali,zone franche nelle quali le disuguaglianze, le povertà, l’assenza di risposte istituzionali determinano una forma di passività sistemica da parte di grandi fette della popolazione.La scuola, le Università, l’associazionismo, le Camere del Lavoro devono essere il contesto dove promuovere una cultura della legalità e un sapere di cittadinanza, dei presidi di democrazia che vanno sostenuti e potenziati sul territorio. L’impegno sociale contro le mafie è assieme battaglia culturale e politica per l’affermazione della legalità e della giustizia.E’ assolutamente necessario aggiornare la nostra analisi e individuare proposte,con particolare riferimento al ruolo esercitato dalla pubblica amministrazione nella gestione delle risorse e nei processi di decisione e controllo.
Mezzogiorno
Dentro una crisi economica così devastante, le ragioni del disequilibrio tra il Nord e il Sud del paese sono ancora un’emergenza. Si va approfondendo così il divario tra le regioni più ricche e quelle più povere:tale squilibrio rischia di ampliarsi a dismisura per l’impatto delle misure adottate da questo governo.Misure non insufficienti, ma radicalmente sbagliate.
Il Federalismo fiscale, così come è stato approvato, può aprire scenari disastrosi per le regioni più povere. E in gioco non c’è solo l’unitarietà dello Stato e la garanzia per tutti di uguali diritti universali, ma la stessa unitarietà delle condizioni di lavoro, di contrattazione collettiva, aziendale, salariale.
L’accordo separato tra governo, Cisl Uil e Confindustria per la riforma dei contratti, ha un impatto negativo in particolare sul Sud: una minore copertura economica del CCNL insieme ad una contrattazione aziendale più rarefatta comporterà di per sè un ulteriore divario salariale. Inoltre la possibilità di deroghe al CCNL, previste dall’accordo, ci portano a un passo da nuove gabbie salariali e da diritti differenti, pur a parità di lavoro, tra lavoratori del Nord e del Sud.
I Fondi Europei destinati al Mezzogiorno, sono stati utilizzati in modo distorto,dirottati finora per oltre il 60% a coprire la spesa pubblica ordinaria o a interventi non direttamente legati allo sviluppo del Meridione.La Banca del Mezzogiorno, un istituto privato, il cui comitato promotore è però designato dal Governo godrà di un beneficio fiscale a carico dello Stato nell’emissione delle previste obbligazioni. Gli sgravi fiscali (dal 12,5% al 5%) previsti sui bond, oltre a essere facilmente impugnabili dalla UE, sono uno schiaffo a lavoratori dipendenti e pensionati. Un’altra banca privata chiamata a investire istituzionalmente a medio e lungo termine nelle piccole imprese, cosa che già fanno tutte le altre banche, quando la necessità oggi è il credito a breve. Una banca che partirà tra due anni, autorizzazioni permettendo:una mera operazione di potere voluta dal ministro Tremonti dopo il flop dei Tremonti bond e dei prefetti in banca.
Serve un grande progetto che punti: a finanziare i progetti immediatamente cantierabili, a partire dalla messa in sicurezza e bonifica dell’ambiente, a valorizzare le risorse presenti sul territorio(turismo, agroalimentare,produzione energie alternative ecc.),a costruire una rete necessaria di infrastrutture, a difendere gli stabilimenti già presenti,a ri a indirizzare l’economia verso nuovi cicli produttivi e nuovi prodotti ad alto valore aggiunto, a incentivare la crescita dimensionale delle imprese, ad assegnare a soggetti affidabili e capaci (Vedi Banca d’Italia, Svimez) il compito di selezionare a sostenere i progetti economici,controllandone l’impatto occupazionale e ambientale.Tutto ciò si configura come un piano per il lavoro stabile e di qualità che dia una prospettiva ai giovani, combattendo la precarietà, la marginalizzazione del lavoro e soprattutto il lavoro nero.
Le risorse finanziarie per la copertura di tale progetto sono rintracciabili , mettendo in circolo i 90 miliardi dei Fondi FAS 2007-2013, allentando il vincolo di stabilità interna, rafforzando la lotta alle organizzazioni mafiose e rendendo veloci ed efficienti espropri e riutilizzo pubblico delle risorse sequestrate.

Per l’insieme di queste ragioni il Congresso deve segnare una discontinuità favorendo un confronto sul futuro del sindacato, perché questa è la domanda cui dobbiamo rispondere in un contesto profondamente modificato su base nazionale e globale.

LE PROPOSTE

RIUNIFICARE E VALORIZZARE IL LAVORO

Di fronte ai problemi di disgregazione e precarizzazione del lavoro, che la crisi tende a ingigantire, la CGIL deve porsi il problema del cambiamento degli attuali equilibri sociali a favore del lavoro dipendente, puntando con determinazione e nettezza alla riunificazione del lavoro quale obiettivo fondamentale per uscire in modo duraturo dalla crisi.
Tale riunificazione attraversa tutti gli aspetti dell’articolazione sociale. L’ esigenza della flessibilità,assurta a ideologia, è servita da copertura a un processo di precarizzazione di massa con 40 tipologie di rapporti di lavoro che ormai riguardano una fetta progressivamente crescente di lavoratori, privi delle tutele e dei diritti di cui godono i lavoratori a tempo indeterminato.
La riunificazione del mondo del lavoro oggi assume una valenza strategica, al cui interno risiede anche la sopravvivenza del sindacato come strumento di rappresentanza collettiva e del contratto nazionale come elemento unificante del mondo del lavoro.Per queste stesse ragioni va superata la legge 30. Altrimenti,l’accesso al lavoro sarà sempre più segnato dalla progressiva estensione della precarietà. Negli ultimi due anni oltre l’80% delle assunzione è avvenuta con contratti di lavoro precari.Anche per questo la condizione dei giovani rappresenta il sintomo più evidente e drammatico di una società bloccata, chiusa, in cui i processi selettivi si basano sul censo, sul familismo e sulla cooptazione.
La valorizzazione del merito, agitata dalla destra come una bandiera ideologica identitaria,non fa che cronicizzare tali discriminazioni e disuguaglianze. Occorre,al contrario, costruire le condizioni perché adeguate e rinnovate politiche pubbliche rendano possibile coltivare e valorizzare il merito di ciascuno, mettendo tutti in condizione di concepire e realizzare il proprio progetto di vita.
Più si accentuano le differenze ( per cui a parità di mansione non corrisponde parità salariale e di diritti), più esse appaiono giustificate alla luce dei sistemi di organizzazione delle aziende, delle amministrazioni, dei servizi pubblici, esclusivamente in termini di compressione dei costi e di accentuazione dello sfruttamento.
La riorganizzazione dei cicli lavorativi con la loro scomposizione in una catena infinita di imprese di diverse dimensioni, rende evidente l’intollerabilità di diritti diversi,a partire dall’art.18, nella condizione lavorativa.
Per questo è necessario:
– i canali di accesso al lavoro vanno semplificati e riunificati, ripristinando la centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza distinzione di tipologia o di dimensione aziendale nell’esercizio di tutti i diritti previsti dallo statuto dei lavoratori;
-i contratti a termine e quelli a causa mista vanno non solo resi maggiormente onerosi per il datore di lavoro ma soprattutto ricondotti a fattispecie circoscritte e ben definite, mentre vanno superate tutte le altre forme di accesso al lavoro,a partire dalle collaborazioni a monocommittenza e dai contratti a somministrazione;
-il lavoro part-time va regolamentato, affinché nei settori deboli del mercato del lavoro, non si trasformi in “lavoro a chiamata” attraverso il lavoro supplementare;
– in attesa di una modifica della legge Bossi Fini che preveda , tra l’altro, per gli immigrati un ingresso regolare per la ricerca di un’occupazione, deve essere consentita la possibilità di estendere la normativa prevista dall’art.18 del testo Unico sull’Immigrazione,cioè la concessione del permesso di soggiorno per motivi di giustizia, anche nei casi di sfruttamento sul lavoro;
– la legislazione relativa al socio lavoratore va cambiata,legislazione che oggi consente la deroga al contratto nazionale;
– sviluppare un’azione costante contro la pratica degli appalti al massimo ribasso;
-la formazione continua è parte essenziale di una strategia di politica attiva per una piena e buona occupazione. L’accesso alla formazione continua è anch’esso un diritto a valenza universale che va garantito attraverso leggi e contratti, i quali devono anche prevedere i percorsi di crescita e sviluppo di carriera correlati. Nel contempo, visti gli esempi di non corretta gestione dei fondi, sia pubblici che contrattuali,occorrerà rivederne le regole di funzionamento e attuarne un maggiore controllo;
– gli ammortizzatori sociali devono avere carattere universale e vanno pertanto estesi a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori senza distinzione.Va superato il massimale attualmente previsto per la CIG perché si arrivi all’80% della retribuzione e ne va raddoppiata la durata. Il loro finanziamento è affidato all’estensione del sistema contributivo. Essi devono essere sottratti alla discrezionalità e alla parzialità dello scorretto sviluppo della bilateralità.
– estensione e prolungamento dell’Indennità di Disoccupazione, con la modificazione degli attuali vincoli di accesso e l’introduzione della prova dei mezzi (reddito e patrimonio personale). Con lo stesso meccanismo va definito un Reddito Minimo di Inserimento o Salario sociale,sul modello di altri paesi europei, al quale alcune regioni si sono già ispirate. Questi interventi devono avere la copertura finanziaria attraverso la fiscalità generale;
– riconoscimento per via legislativa dell’ efficacia erga omnes dei Contratti Nazionali di Categoria, validati da criteri oggettivi di misurazione della rappresentanza delle OO.SS. firmatarie e dal referendum delle lavoratrici e dei lavoratori interessati.E’ questa la condizione per configurare un salario minimo garantito di categoria per via contrattuale.
-carattere integrativo e contrattuale degli Enti Bilaterali.Va contrastata e respinta l’idea, contenuta nel Libro Bianco del Governo, della diffusione e sviluppo degli Enti Bilaterali.Il carattere integrativo e contrattuale della bilateralità rimane tale solo se il sindacato, e in primo luogo la CGIL,rilancia l’iniziativa per qualificare ed estendere il Welfare pubblico e universale,altrimenti il carattere integrativo assume un significato opposto. Alla costante diminuzione della copertura pubblica su vecchi e nuovi bisogni corrisponde un aumento delle funzioni degli Enti Bilaterali e dei Fondi, configurandosi un assetto sociale corporativo:occorre arrestare e invertire questa tendenza.Per questo occorre modificare quelle forme di bilateralità che, pur finanziate dai contratti,non erogano alcuna prestazione.In nessun caso dagli Enti Bilaterali dovranno essere trasferite risorse al sindacato e alle sue emanazioni e remunerazioni ai dirigenti sindacali.

PER UNA GIUSTA REDISTRUBUZIONE DELLA RICCHEZZA

L’Italia è il sesto paese, secondo la classifica dell’OCSE, per disuguaglianza nella distribuzione del reddito.
Circa 13,6 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1300 euro netti al mese.
Circa 6,9 milioni ne guadagnano meno di mille.Di questi oltre il 60% sono donne.
Secondo l’ISTAT,vivono in Itali 2,9 milioni di individui in condizione di povertà assoluta e 8 milioni in condizioni di povertà relativa
Nel Sud, il rapporto è 5 volte superiore rispetto al resto del Paese..
Il 10% delle famiglie ricche possiede circa il 50% dell’intera ricchezza delle famiglie italiane.
Negli ultimi 20 anni c’è stata un ‘enorme redistribuzione della ricchezza:ben 10 punti di PIL sono transitati dalle retribuzioni da lavoro dipendente a profitti e rendite finanziarie.
L’azione della CGIL, del sindacato confederale, deve farsi,sulla necessità di invertire questa tendenza, più forte e radicale.Occorre onestamente prendere atto che un’epoca si è definitivamente chiusa e il limite di sopportabilità sociale di questa situazione è da tempo superato. E’ com’è ovvio un decisivo problema di giustizia ed equità ma anche l’approccio più corretto per affrontare la crisi, poiché è proprio nel cuore di questo problema che essa affonda le sue radici e le sue cause.
Serve una nuova strategia rivendicativa che, come si è detto in premessa, affronti contemporaneamente tre grandi temi:il fisco,l’accesso ai servizi essenziali e universali, la contrattazione.
Il sistema fiscale italiano è, per riconoscimento generale, quanto di più ingiusto, squilibrato, inefficiente si conosca,con pochi paragoni nel mondo avanzato e civile.Tutto ciò in presenza di una tassazione media tra le più alte dei paesi sviluppati.
Nei dati sulle dichiarazioni fiscali si conferma l’antico paradosso del nostro Paese:i lavoratori dipendenti guadagnano più di tutti.Sono largamente la maggioranza anche tra le poche decine di migliaia di super-ricchi sopra i 200000 euro. Per testare l’attendibilità di questo dato, sarebbe sufficiente incrociarlo con l’immatricolazione di barche e auto di lusso.
Non è possibile che circa l’80% del reddito complessivamente dichiarato provenga da lavoro dipendente e pensioni.Solo il 5% sono redditi di impresa e il 4,2% da lavoro autonomo.
La spiegazione di tutto ciò sta nel più alto tasso di evasione e elusione fiscale d’Europa, dato che presumibilmente supera i 100 miliardi di minori entrate.
La riforma fiscale è quindi è un’assoluta priorità dell’iniziativa sindacale, per ragioni di giustizia sociale e , nello stesso tempo,per garantire lo sviluppo economico e affermare e qualificare l’universalità dei diritti alla pensione, alla sanità, alla scuola, alla casa.
Non si tratta di un generico appello alla riduzione delle tasse.Si tratta di abbatterle significativamente per il lavoro dipendente e le pensioni, di aumentare il prelievo per gli strati sociali più ricchi e soprattutto di farle pagare a chi evade.
E’ necessario un consistente aumento delle detrazioni fiscali specifiche per il lavoro dipendente,il recupero del fiscal drag, un intervento straordinario per strumenti e risorse contro l’evasione fiscale,l’introduzione di una tassa sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie ,un aumento del prelievo sulla rendita finanziaria che si collochi nella media europea.
La CGIL si pone l’obiettivo di ripristinare il principio costituzionale della progressività,dove ciascuno paghi in proporzione al reddito e alla ricchezza che possiede.
Le politiche del Governo vanno scientemente nella direzione opposta:con condoni tombali periodici, con vere amnistie come di fatto si configura lo scudo fiscale per il rientro dei capitali, con azioni finalizzate a favorire la rendita finanziaria, il sistema assicurativo e tutte le sue variegate forme spesso sostitutive delle funzioni dello Stato Sociale.Non si riducono le tasse sulla produzione, sulle retribuzioni e sulle pensioni ma sugli straordinari, i premi di risultato variabili, gli Enti Bilaterali, i Fondi assicurativi privati.Gli effetti di queste scelte scardinano il patto fiscale a base del vivere collettivo e creano insopportabili disuguaglianze oltrechè ulteriori divisioni nel mondo del lavoro tra insiders e outsiders, lavoratori della grande impresa e della piccola, come di fatto finisce per fare il vantaggio fiscale per la contrattazione aziendale.
Anche sul versante contrattuale,una fase va considerata chiusa e occorre con decisione imboccare una diversa strada.
L’azione rivendicativa e contrattuale deve tornare ad essere ispirata da un’autonoma analisi della situazione economica, produttiva e sociale, da una visione sindacale delle compatibilità rispetto all’obiettivo prioritario della redistribuzione dei redditi:peraltro qualsiasi politica dei redditi che oggi si volesse praticare per aumentare la crescita, non potrebbe che partire dall’esigenza prioritaria di rafforzare la domanda attraverso la leva fiscale e contrattuale.
In definitiva, oggi, la contrattazione e i suoi obiettivi devono essere una leva di politica economica in mano alla libera determinazione e alla dialettica delle forze sociali.
La fase nella quale obiettivi di sviluppo,di risanamento economico e finanziario, di miglioramento della competitività del sistema possano esclusivamente basarsi sulla moderazione salariale è finita.
La stessa velocità dei cambiamenti economici,tecnologici e produttivi impongono capacità di adattamento e tempestività di intervento che vanno in questa direzione.E’ necessario affermare a tutti i livelli l’autonomia contrattuale e della pratica rivendicativa del sindacato confederale.
Il Contratto Nazionale deve rafforzarsi come elemento di unità e solidarietà per difendere e aumentare la retribuzione reale, innovare, qualificare gli aspetti normativi generali per l’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori.Nel porsi il problema della sua evoluzione,è alla dimensione europea che occorre guardare in una chiave realmente moderna e innovativa così come all’evoluzione della contrattazione nazionale verso una dimensione di più ampi aggregati (industria, servizi privati, servizi pubblici ecc.).
La contrattazione di secondo livello ,aziendale, territoriale,di settore, di sito o filiera produttiva e distretto è per la CGIL di altrettanta importanza e crucialità e va quindi estesa in qualità e quantità. Essa deve intervenire su tutti gli aspetti della condizione di lavoro,compreso l’incremento della retribuzione aziendale.
Dovrà essere impegno per tutta la CGIL l’avvio di una grande stagione di contrattazione di sito per ricomporre la frantumazione contrattuale oggi presente in tutti i luoghi di lavoro.Fondamentali saranno i temi della sicurezza, delle agibilità e della esigibilità dei diritti.
L’iniziativa contrattuale decentrata deve accompagnarsi al grande obiettivo di riunificazione del lavoro contro la sua frantumazione e precarizzazione.Va gradualmente ricostruita omogeneità di diritti e tutele attraverso la ricomposizione contrattuale della filiera produttiva, del ciclo lavorativo fino al prodotto finale.
Tutto ciò non significa affatto negare l’importanza di spostare in avanti la frontiera della democrazia economica, allargando e qualificando le sedi di informazione e confronto sui tanti e complessi aspetti della vita dell’impresa, temi oggetto oggi di semplice comunicazione.Tali avanzamenti sono la condizione per sperimentare forme più avanzate di assetti societari partecipativi,quale quello duale, valutando a tal fine esperienze di altri paesi.Tali esperienze devono essere oggetto di un’approfondita riflessione anche nei loro aspetti critici per la definizione di una nostra proposta.Una proposta che qualifichi e sviluppi il sistema delle relazioni industriali senza intaccare la distinzione dei ruoli e l’autonomia delle parti senza inseguire un approccio angustamente ideologico quale la partecipazione sindacale agli assetti azionari e alla distribuzione degli utili come parametro retributivo.
L’accordo separato definisce invece vincoli che, irrigidendo e burocratizzando il sistema, prefigurano l’irrilevanza nel tempo del ruolo del contratto nazionale ed una contrattazione aziendale basata, non sulla dialettica paritaria degli interessi, ma sulla subordinazione agli orientamenti dell’impresa.
Non è più rinviabile l’accorpamento e la riduzione degli oltre 400 contratti nazionali di lavoro esistenti, ormai privi di senso alla luce dei processi di trasformazione produttiva,tecnologica e professionale avvenuti.Questi accorpamenti dovranno definirsi attraverso una severa analisi dei cicli lavorativi e delle analogie per grandi comparti, come condizione per evitare accorpamenti di natura meramente burocratica o di convenienza politica e sindacale.
In conclusione, questa strategia e pratica contrattuale, anche al fine di non lasciare esposti i lavoratori dei settori più deboli privi di sufficiente forza rivendicativa, consentirà di riconquistare un nuovo sistema contrattuale condiviso,non centralistico e ingessato,capace di adattarsi alle diverse situazioni e di avere nel contempo regole comuni certe ed esigibili.

Sul piano previdenziale, la nostra iniziativa deve difendere il sistema pubblico a ripartizione ,fondato su un patto solidale tra le generazioni e garantire un più efficace adeguamento del valore delle pensioni in essere alla dinamica reale del costo della vita.
L’aumento della disoccupazione e della precarizzazione e discontinuità del lavoro segnatamente delle nuove generazioni, gli effetti della crisi globale sul PIL si riverseranno negativamente sul sistema di calcolo previdenziale contributivo che, a regime, potrà loro garantire, nel migliore dei casi,una copertura della pensione pubblica al 50% dell’ultima retribuzione e una ridotta efficacia della previdenza complementare.Occorre dunque porsi l’obiettivo di modificare il sistema di attualizzazione e di calcolo del montante contributivo,non escludendo il ricorso alla fiscalità generale,per assicurare un tasso di sostituzione oltre il 60% rispetto all’ultima retribuzione.
Vanno respinti con forza gli aumenti dell’età pensionabile, dei quali l’elevazione dell’età pensionabile delle donne del pubblico impiego è solo il primo passo, riaffermando il principio della flessibilità in uscita.
Gli effetti della crisi finanziaria globale sui fondi pensione implicano un’esigenza di riflessione sulle prospettive del sistema previdenziale, la cautele e i correttivi necessari.
Nello stesso tempo va aumentata la massa critica dei fondi pensionistici integrativi anche attraverso aggregazioni.Le risorse vanno finalizzate ad azioni di sostenibilità sociale, delimitando fortemente l’investimento nei comparti azionari a più alto rischio. Inoltre vanno individuate forme assicurative per garantire i lavoratori che andranno in pensione nel pieno di forti crisi finanziarie.
Per quanto riguarda infine le pensioni in essere,vanno incrementate quelle più basse, va rivendicato l’adeguamento reale al costo della vita, va sostenuto il reddito dei pensionati attraverso una forte rifinanziamento della legge per la non autosufficienza e una vertenzialità diffusa a livello territoriale per adeguate politiche sociali.
Per quanto riguarda la legge per la non autosufficienza, si può pensare alla costituzione di un fondo speciale presso l’INPS, finanziato dai contributi dei lavoratori, delle imprese e dei pensionati, che garantisca a coloro che hanno bisogni e requisiti il pagamento delle prestazioni, la cui offerta dovrà essere organizzata dagli Enti locali.

UN SINDACATO AUTONOMO DEMOCRATICO RAPPRESENTATIVO

I meccanismi di partecipazione e di vita democratica si sono progressivamente isteriliti e il recente accordo separato sul sistema contrattuale delinea un sistema rigidamente accentrato e riduce, nel concreto, gli spazi di rappresentanza contrattuale.
Quel che è ancora più grave, l’accordo separato sulle regole della contrattazione ha rotto una prassi pluridecennale, basata sulla rappresentatività delle tre grandi confederazioni italiane. In virtù di tale prassi si è prodotto, nel tempo, un sistema normativo cui è stata riconosciuta efficacia tendenzialmente generale, in analogia a quanto previsto dall’art.39 della Costituzione. Questa condizione oggi non esiste più, sostituita dal mutuo riconoscimento tra rappresentanze di interessi indebolite che esclude ogni forma di verifica democratica dell’effettiva rappresentatività dei soggetti rappresentanti e di validazione democratica da parte dei soggetti rappresentati.
La situazione è anomala e insostenibile. La rappresentanza sociale del lavoro diverrebbe l’unico caso in cui non è prevista alcuna forma di legittimazione esplicita se non quella che, reciprocamente, si riconoscono quelle parti contraenti che condividono un determinato risultato (ad esclusione di chi non lo ha condiviso), senza possibilità di sottoporlo a verifica e a validazione. Validazione ancor più necessaria a fronte di posizioni diverse fra le organizzazioni sindacali.
Si deve rispondere a questa involuzione con un progetto e una politica rivendicativa che parli a tutto il mondo del lavoro e ai pensionati e li renda di nuovo protagonisti e non solo destinatari delle scelte del sindacato. E’ questo un proposito impegnativo e una sfida difficile.
Bisogna in primo luogo sconfiggere la sfiducia e la rassegnazione.
Bisogna ridare valore alla partecipazione attiva.
Bisogna essere inclusivi, accoglienti, aprirsi ai giovani che faticano a riconoscere nel sindacato uno strumento in grado di aiutarli a realizzare i loro progetti di vita.
Bisogna ricostruire una vera democrazia sindacale, dal basso, basata su una assiduità di rapporto e dialogo, a partire dai problemi del vissuto quotidiano. A tale proposito, si impone un rinnovamento profondo della nostra rappresentanza sindacale di base: la generalizzazione delle RSU su base elettiva è un compito primario,che deve fare i conti anche con i profondi cambiamenti nell’organizzazione del lavoro.
Il no della CGIL alla controriforma del modello contrattuale è quindi una scelta costituente per una riforma democratica di tutto il sindacato, fondata sulla democrazia e sul rilancio della contrattazione a tutti i livelli.
Dopo le scelte compiute da CISL e UIL che hanno prodotto la grave rottura attuale, abbiamo di fronte una fase di esplicito pluralismo anche nella pratica rivendicativa. Oggi non è realistico ipotizzare di andare oltre l’ azione unitaria sulle singole questioni. Ma pluralismo sindacale, accordi che si applicano a tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti alle organizzazioni sindacali, labilità di regole democratiche sono tutti aspetti tra loro inconciliabili che portano alla deriva delle relazioni sindacali e rafforzano esclusivamente i datori di lavoro, assegnando loro, di fatto, ogni potere decisionale. Il sistema che ha funzionato, sia pure tra alterne vicende, dal dopoguerra ad oggi, non può reggere alla torsione cui è stato sottoposto. Ciò pone interrogativi esistenziali alle altre organizzazioni sindacali al pari della CGIL .
La natura confederale si sostanzia di valori e pratiche, senza le quali si cristallizza in burocrazia autoreferenziale, in un ferreo ordine gerarchico, chiuso e conservatore, basato su una rigida presunzione di rappresentatività che esclude ogni forma di verifica democratica .La natura confederale vive e si esplicita a partire dal territorio, dal rinnovamento e dal coinvolgimento dei delegati, dei lavoratori e dei pensionati su obiettivi sociali precisi, riferiti alla qualità delle condizioni di vita e di lavoro. Essa non è riconducibile esclusivamente al rapporto concertativo con le istituzioni locali e territoriali, ma si nutre dell’intreccio tra la contrattazione sociale territoriale e la contrattazione articolata nei luoghi di lavoro, si sviluppa in una vertenzialità diffusa di contrasto allo smantellamento dello stato sociale e alla privatizzazione dei servizi e dei beni comuni.
Per questo il modello contrattuale dell’accordo separato porta con sè una idea di confederalità che non è della Cgil perché fondata sulla centralizzazione e sulla riduzione della contrattazione di categoria in un ambito corporativo con vincoli e limiti precisi.
L’autonomia negoziale nella pratica rivendicativa è condizione perché la dimensione confederale e di categoria costruiscano un reale intreccio che dia un senso generale al rapporto tra contrattazione aziendale e contrattazione sociale nel territorio. In questo senso ci vuole maggiore confederalità, assumendone il carattere vertenziale e rivendicativo e non certo invocando una retorica della concertazione, oggi improponibile.
Non ci può essere rassegnazione nei confronti dell’inesorabile logoramento della forza e del ruolo del sindacato confederale. L’Unità rappresenta un valore fondante per la CGIL e un obiettivo da perseguire anche nei momenti difficili come l’attuale.
La legge sulla rappresentanza e la democrazia sindacale è dunque un passaggio ormai ineludibile. Essa costituisce l’asse dell’iniziativa politica della CGIL anche nei confronti delle altre due confederazioni e deve diventare oggetto di una forte campagna di mobilitazione delle coscienze, non meno importante di quella sulla libertà di informazione, cui la CGIL sta contribuendo in modo determinante.
Questa iniziativa si inscrive nello sforzo di rigenerazione del sindacato confederale e ne costituisce la fondamentale pre-condizione.Alla luce di quanto avvenuto, non sono possibili vertenze unitarie che non siano accompagnate da regole democratiche sulla validazione degli accordi, segnatamente a fronte di posizioni diverse.
La certificazione della rappresentatività effettiva da un lato, la validazione democratica delle piattaforme e dei risultati negoziali dall’altro, sono elementi fondativi di un sindacato a forte identità: democratico, pluralista, autonomo, unitario, pur nel riconoscimento delle diversità.
L’autonomia negoziale e la democrazia sindacale si accompagnano alla necessità di ridefinire il rapporto tra il sindacato, le istituzioni e gli schieramenti politici. In particolare, nel nostro paese, dove il bipolarismo affonda le sue radici in una crisi politica e di rappresentanza che persiste da molti anni, il rapporto tra sindacato e politica influisce profondamente sulla credibilità stessa delle scelte contrattuali.
Va riaffermato il valore dell’autonomia e/o dell’indipendenza e respinta ogni forma di collateralismo, anche se, per i valori e i progetti sociali di cui è portatore, per gli interessi che rappresenta, il sindacato confederale non può prescindere dal rapporto esistente tra i programmi elettorali e le politiche degli schieramenti politici e gli interessi della sua area di rappresentanza.
L’ autonomia e/o indipendenza non significa in alcun modo indifferenza. Ed infatti, la lotta contro la deriva autoritaria che il modello di potere berlusconiano sta imponendo al paese, la crescita delle disuguaglianze, l’abbattimento delle conquiste sociali affonda le sue radici nelle storia e nella cultura profonda della CGIL.
L’esercizio della rappresentanza sindacale anche nel suo confronto con la rappresentanza politica deve avvenire nella limpida affermazione delle ragioni del lavoro, nella consapevolezza del suo valore centrale in una società moderna ed equilibrata. Sono le ragioni dell’uguaglianza, delle pari opportunità, della solidarietà, dei diritti.
La CGIL deve essere portatrice di un proprio progetto autonomo come espressione degli interessi del lavoro subordinato e dei pensionati e di una pratica negoziale che, in quanto tale, si confronta con le forze politiche.
In questo quadro vanno rigorosamente rafforzati ed estesi i meccanismi di incompatibilità dei dirigenti rispetto ai partiti e le istituzioni, così come va verificata a tutti i livelli dell’organizzazione, l’applicazione delle norme di incompatibilità rispetto ad enti di gestione e società non di diretta emanazione sindacale, strumentali alla sua attività.

LA CGIL CHE VOGLIAMO

La discontinuità, il cambiamento e l’innovazione che vogliamo per la vita esterna dell’organizzazione a maggior ragione devono valere per la sua vita interna.
Occorre operare in direzione del superamento di un’eccessiva burocratizzazione e di un accentramento di poteri e decisioni che genera l’incrostazione di consolidati assetti di potere, una sostanziale autoreferenzialità spesso coperta da un pervasivo orgoglio autocelebrativo.
Lo stesso dibattito interno risulta dunque e inevitabilmente bloccato e ossificato in posizioni precostituite, secondo una rigida logica di schieramenti e di contrapposizione amico/nemico: è dunque assolutamente necessario invece liberare la ricerca di soluzioni comuni ,attraverso la libera circolazione delle idee.
Tale inversione di tendenza deve consentire anche la riapertura del confronto con la comunità culturale, scientifica e accademica che ha smesso da tempo di vedere nella CGIL un punto di riferimento, una palestra di idee, un laboratorio di formazione degli orientamenti.
La nostra idea di confederalità è fondata su un progetto di trasformazione della società che fa del principio di uguaglianza e solidarietà, della partecipazione e della democrazia, dei valori sociali e civili della nostra Costituzione, dell’obiettivo della costruzione di un vero spazio sociale europeo basato sull’affermazione dei diritti sociali e del lavoro, l’orizzonte di riferimento.
Sono queste le premesse per un rilancio della confederalità, non più come una sorta di istanza gerarchica superiore ma come una politica e una prassi democratica, che deve vivere concretamente a partire dal territorio,dal coinvolgimento dei delegati, su obiettivi sociali precisi, su una sintesi più compiuta degli interessi generali del mondo del lavoro,spostando a tal fine risorse e poteri verso i livelli decentrati di categoria e confederali.
Si rende indispensabile una forte innovazione nei processi di formazione delle decisioni che devono rispondere a due criteri fondamentali: una reale collegialità , come segno vero di democrazia e modernità, in assoluta controtendenza rispetto al plebiscitarismo e al leaderismo oggi imperanti e un rigoroso rispetto delle regole interne della vita democratica dell’organizzazione,sancito in maniera trasparente da una riforma della magistratura interna verso una terzietà della stessa.
Il gruppo dirigente attuale ,che appartiene mediamente alla stessa generazione, deve saper dunque costruire rapidamente le condizioni,per un deciso ricambio di genere e di generazione, di pluralismo etnico.
A tal fine, la CGIL deve lanciare una grande campagna di iscrizione di massa dei lavoratori precari e discontinui alle singole categorie di riferimento. L’esperienza di NIDIL ha fatto il suo tempo: perseverare in questa modalità organizzativa non fa che rafforzare la segregazione dei giovani coinvolti e assecondare la lontananza dalle categorie.
La CGIL deve inoltre dare l’opportunità alle lavoratrici e ai lavoratori migranti di essere protagonisti nella rappresentanza generale del lavoro, contribuendo così alla costruzione di un muticulturalismo dialogante, anche assumendo modalità organizzative differenti, all’interno delle categorie, che facilitino e incentivino l’assunzione di rappresentanza da parte dei lavoratori migranti.
L’esperienza del sindacato generale dei pensionati mantiene tutta la sua validità e va confermato. Tuttavia, i nuovi pensionati e pensionandi tendono a mantenere un rapporto diretto e identitario con le categorie di appartenenza,accentuato anche dal legame dato dalla previdenza integrativa. A tal fine è necessario costruire tra SPI e le categorie degli attivi, dei nuovi rapporti di integrazione e collaborazione anche sperimentando soluzioni, da definire ,che conservino l’identità di provenienza.

Per la CGIL che vogliamo occorre discontinuità, cambiamento e innovazione.
Non è tempo di teste sotto la sabbia.
Servono lucidità nell’analisi politica,coraggio e umiltà nella ricerca di soluzioni, generosità nella messa in gioco delle singole convenienze: tutte condizioni che alla CGIL non sono mai mancate nei momenti cruciali del cambiamento.

CONCLUSIONI

Dopo un anno di crisi economica,la speculazione finanziaria, i superprofitti, lo spreco delle risorse si riaffermano come prima e peggio di prima, mentre per il mondo del lavoro pubblico e privato,per i pensionati, per i giovani, per i migranti la crisi sociale si aggrava sempre di più. Le donne e i giovani sono i più colpiti ovunque. L’ottimismo ufficiale sulla ripresa delinea una politica economica e sociale che scarica tutti i costi della crisi sui salari, sulle pensioni e sulle condizioni di lavoro, sui diritti, sulla dignità, sulla libertà del mondo del lavoro, sullo stato sociale e sulla scuola.
La CGIL ha detto no alla politica economica del Governo e alla scelta del Governo e della Confindustria di imporre con l’accordo separato un sistema contrattuale che colpisce il salario, i diritti e la libertà di contrattazione. La CGIL ha detto no alla controriforma e alla privatizzazione della scuola. Questi NO sono giusti ma non bastano, se non supportati da decisioni strategiche, proposte innovative e pratiche conseguenti.
Non si tratta infatti di emendare le scelte e le priorità che altri hanno definito, ma bensì di affermare le nostre priorità, le nostre scelte, le nostre esplicite discontinuità per affermare non solo la nostra identità, ma per invertire il processo in atto.
Processo che non abbiamo adeguatamente contrastato nell’illusione che comportamenti tattici fossero sostitutivi di una chiarezza sulle scelte strategiche.
L’Italia è entrata nella crisi con una distribuzione del reddito, un livello di disoccupazione, soprattutto nel Mezzogiorno, un sistema di flessibilità e precarietà del lavoro, un sistema di servizi pubblici e di istruzione che sono tra i più ingiusti e diseguali del mondo industriale avanzato. Le politiche del Governo e del sistema delle imprese, stanno ancora peggiorando la situazione e così l’Italia attraversa la crisi con la più pesante regressione sociale della sua storia recente.
I NO della CGIL allora devono essere la premessa per un cambiamento profondo nella piattaforma e nella pratica del sindacato, che risponda ai bisogni e alle domande del mondo del lavoro.
Occorre una rinnovata autorevolezza della proposta complessiva e visibilità, estensione ed efficacia della mobilitazione.
Il mondo del lavoro ha bisogno che la CGIL cambi profondamente per affrontare la crisi
Questo documento propone in sette punti le scelte fondamentali da compiere. Quattro di esse riguardano la piattaforma e il programma, tre la vita stessa e il modo d’agire della CGIL.

I quattro punti programmatici fondamentali sono:

1 – Una politica economica e sociale che faccia della redistribuzione della ricchezza e della lotta alla disoccupazione le leve per uscire dalla crisi.
Bisogna conquistare nuove politiche pubbliche fondate sulla difesa dell’accesso libero ed eguale ai beni comuni fondamentali dall’acqua, all’energia, all’istruzione,alla sanità. Occorre una riforma fiscale a favore dei redditi da lavoro dipendente e da pensione, che combatta davvero l’evasione fiscale e contributiva e che tocchi la finanza, i patrimoni e le ricchezze reali. Occorre una politica di redistribuzione del lavoro fondata sulla riduzione generale degli orari a livello europeo. Va aumentata e garantita a tutti la Cassa Integrazione, così come va aumentato ed esteso il reddito in caso di disoccupazione.
Vanno difese e sviluppate le pensioni e la sanità pubblica, con la lotta agli sprechi, alle inefficienze e all’illegalità a partire dalla riduzione dei costi della politica e delle spese militari. Va rivendicata una politica economica che anziché sul taglio del costo del lavoro, punti a competere sull’innovazione, la ricerca e la tecnologia. Occorrono investimenti pubblici nelle nuove tecnologie,nella mobilità sostenibile e nel risanamento ambientale respingendo il ritorno al passato dell’energia nucleare. Bisogna dire no alla politica di nuove grandi opere inutili e faraoniche, a partire dal ponte sullo stretto di Messina, e invece rivendicare e riconquistare il lavoro diffuso, quello per strade scuole ospedali ferrovie, promosso dagli Enti Locali. Occorre un grande programma di investimenti a favore della scuola pubblica e per il diritto allo studio.
Chi pensa di salvare il Nord abbandonando il Mezzogiorno, in realtà distrugge il futuro di tutti. L’Italia non si salva a pezzi. Nel Mezzogiorno occorre accompagnare un programma di investimenti e di lotta alla disoccupazione con il contrasto alla corruzione ed alle mafie. Lo sviluppo economico sociale e civile del Mezzogiorno è condizione per la ripresa economica di tutta l’Italia.

2 – La lotta alla precarizzazione e alla riduzione dei diritti e delle libertà delle lavoratrici e dei lavoratori.
Vanno semplificati e riunificati i canali di accesso al lavoro, ripristinando la centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, senza distinzione di tipologia o dimensione aziendale nell’esercizio di tutti i diritti previsti dallo Statuto dei Lavoratori,a partire dall’art.18.
Vanno ricondotti a fattispecie circoscritte e definite i contratti a termine, mentre vanno superate tutte le altre forme di accesso quali le collaborazioni a monocommittenza e i contratti a somministrazione.
Vanno contrastate le pratiche di ricorso agli appalti al massimo ribasso.
Bisogna ridefinire un sistema di controllo ,trasparenza e legalità dell’incontro domanda offerta che è diventato in molti casi oggetto di clientelismo e discriminazione nel rapporto tra agenzie e imprese, da cui non sono sempre esenti le stesse organizzazioni sindacali.
La lotta al lavoro nero ed al supersfruttamento deve diventare impegno centrale del sindacato e di tutte le istituzioni superando la deregolazione e deresponsabilizzazione affermatesi in questi anni. La tutela della salute e della sicurezza del lavoro devono essere la priorità assoluta. Il diritto al lavoro non può essere messo in alternativa ai diritti nel lavoro.
Le lavoratrici ed i lavoratori migranti hanno diritto alla piena parità ed alla piena cittadinanza superando le vergognose discriminazioni ed i ricatti sul permesso di soggiorno che alimentano supersfruttamento e lavoro nero.
Nell’immediato bisogna bloccare i licenziamenti sia nel sistema privato che in quello pubblico.

3 – La fine delle compatibilità definite dal governo nelle rivendicazioni salariali.
Il modello contrattuale frutto dell’accordo separato del 22 gennaio 2009 non può essere soggetto a semplici aggiustamenti, ma va sconfitto. Bisogna respingere il ritorno alle gabbie salariali, al cottimo, al salario discriminatorio, riaffermando il principio per cui a pari lavoro pari salario.
Vanno ricostruite la piena autonomia e libertà di contrattazione sia nei contratti nazionali, che a livello d’impresa. Nel lavoro pubblico e in quello privato, oggi crescono l’autoritarismo e la spinta delle imprese alla pura individualizzazione del rapporto di lavoro e alla messa in competizione estrema delle lavoratrici e dei lavoratori gli uni contro gli altri. Per questo bisogna difendere ed estendere la contrattazione collettiva fondata sulla solidarietà.
Occorre un sistema contrattuale che non ponga vincoli alla possibilità dell’incremento delle retribuzioni reali nei contratti nazionali ed alla libertà di contrattare nell’impresa tutti gli aspetti della condizione di lavoro.
Questa strategia e pratica contrattuale,anche al fine di non lasciare esposti i lavoratori dei settori più deboli privi di sufficiente forza rivendicativa, consentirà di riconquistare un nuovo sistema contrattuale condiviso, per lavoratori pubblici e privati, non centralistico e ingessato,capace di adattarsi alle diverse situazioni e di avere nel contempo regole comuni certe ed esigibili.
Elemento centrale di questo nuovo sistema dovrà essere una decisa riduzione della durata del Contratto Nazionale nella parte salariale.La triennalizzazione prevista dall’accordo del 22 gennaio,in assenza di qualsiasi meccanismo di recupero dell’inflazione reale, soprattutto alla luce di così grandi incertezze del ciclo economico globale e dunque degli andamenti dell’inflazione programma una riduzione del potere d’acquisto delle retribuzioni.
4 – Tutta l’azione sindacale dev’essere fondata sulla democrazia, cioè sul diritto delle lavoratrici e dei lavoratori a scegliere chi li rappresenta e a decidere con il voto segreto sulle piattaforme e sugli accordi.
La conquista di una piena democrazia sindacale che sviluppi una reale partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, a tutte le scelte dell’organizzazione sindacale, è la condizione di premessa per l’unità. Che, così concepita, è strumento indispensabile per tutte le lotte del mondo del lavoro. La pratica degli accordi separati e la scelta di CISL e UIL di rifiutare il voto delle lavoratrici e dei lavoratori su piattaforme ed accordi hanno messo in crisi l’unità. La sua ricostruzione passa ora anche attraverso una legge che garantisca al mondo del lavoro il diritto alla democrazia sindacale.

Per realizzare questi obiettivi è necessario che la CGIL rinnovi profondamente il proprio modo d’agire facendo ricorso ai valori ed alle identità più forti della propria storia.
5 – La contrattazione a tutti i livelli, fondata sulla democrazia, dev’essere la pratica prioritaria dell’organizzazione.
La CGIL dev’essere lo strumento di organizzazione sociale, di rivendicazione e di lotta di tutto il mondo del lavoro, così come esso è diventato oggi. Per questo la CGIL dev’essere ancor più, ma in alcuni casi ridiventare, il sindacato che sta dentro il mondo del lavoro e contratta.
Il modello sindacale fondato sulla contrattazione è oggi alternativo a quello fondato sul servizio assistenziale governato dagli enti bilaterali. Contrattare significa abbandonare ogni forma di centralizzazione e controllo dall’alto dell’azione sindacale. Significa sviluppare una vertenzialità diffusa che si misuri con le diverse condizioni sociali e di libertà del mondo del lavoro.
Nella crisi dell’unità sindacale la CGIL deve essere in grado di costruire ovunque pratiche sociali e vertenze anche in assenza di piattaforme unitarie. Questo richiede una pratica della democrazia ed una verifica del consenso delle lavoratrici e dei lavoratori, che i dirigenti dell’organizzazione a tutti i livelli devono considerare un dovere assoluto nei propri comportamenti. Questo deve accompagnarsi al massimo della conoscenza reale del mondo del lavoro, alla capacità di organizzare i bisogni in rivendicazioni, vertenze, conflitto, accordi.
Su queste basi deve avvenire la formazione e la selezione dell’apparato e di tutte le rappresentanze della CGIL.

6 – E’ necessario riformare l’organizzazione per un grande processo di sindacalizzazione del lavoro frantumato e diffuso.
La confederalità si esercita con la diffusione della democrazia per realizzare uguaglianza e solidarietà nella contrattazione. Per questo essa non può essere patrimonio burocratico di una parte degli apparati, ma il modo concreto con cui si opera in tutta la CGIL.
E’ necessario rafforzare la funzione contrattuale e la capacità di iniziativa della CGIL, per sindacalizzare tutto il mondo del lavoro diffuso, frantumato, precarizzato.
La CGIL deve quindi scegliere di riformare la propria struttura organizzativa e conseguentemente di distribuire diversamente le proprie risorse al fine di:
– ridurre gli apparati centrali e regionali a favore della presenza nel territorio e nei luoghi di lavoro;
– accorpare le categorie in funzione dell’unificazione contrattuale dei lavoratori, partendo dalle federazioni che hanno come controparte immediata i settori industriali della Confindustria;
sperimentare strumenti di partecipazione dei lavoratori alle scelte sindacali, in aggiunta alle RSU, quali delegati di reparto e di ufficio, comitati territoriali.

7 – Autonomia e indipendenza nella formazione delle decisioni e dei gruppi dirigenti.
La CGIL è sempre stata un sindacato che costruisce le proprie scelte sulla base di valori di fondo e giudizi politici. Questo è giusto perché l’ideologia del sindacato apolitico spesso occulta ipocritamente connivenze e complicità con i governi e con le imprese. La CGIL si batte per la pace contro la guerra per la Costituzione contro gli attacchi alla democrazia, per le libertà.
Va riaffermato il valore dell’autonomia e/o dell’indipendenza e respinta ogni forma di collateralismo, anche se, per i valori e i progetti sociali di cui è portatore, per gli interessi che rappresenta, il sindacato confederale non può prescindere dal rapporto esistente tra i programmi elettorali e le politiche degli schieramenti politici e gli interessi della sua area di rappresentanza. L’autonomia e/o indipendenza non significa in alcun modo indifferenza.
Significa invece stare in campo con l’autonomia della nostra proposta strategica di cambiamento e trasformazione della società.
Questi elementi fondanti dell’autonomia e della indipendenza della CGIL devono vivere anche nella vita democratica dell’organizzazione. Ciò significa rafforzare le regole dell’incompatibilità e costruire pratiche di selezione democratica dei dirigenti che escludano la cooptazione dall’alto e favoriscano il rinnovamento e l’accesso diffuso ai ruoli di direzione.
Scardinare cooptazioni e conformismi è davvero una priorità per una differente qualità della democrazia interna alla nostra Organizzazione e nella democrazia che vogliamo i rappresentati devono essere più importanti dei rappresentanti.
Occorre aprire una grande e libera discussione sulle forme i modi di coinvolgimento dei nostri iscritti nei processi di formazione delle decisioni e nella formazione stessa dei gruppi dirigenti, non escludendo il ricorso alle primarie tra gli strumenti di consultazione generalizzata degli iscritti.

DOMENICO MOCCIA, NUNZIA AMURA, CARLO BALDINI, VITTORIO BARDI, CARLO CARELLI, WILMA CASAVECCHIA, GIORGIO CREMASCHI, FERRUCCIO DANINI, LUCIA ERRICO, FRANCESCO GRONDONA, RITA GUGLIELMETTI, MAURO GUZZONATO, MAURIZIO LANDINI, MARIGIA MAULUCCI, SERGIO MIRIMAO, ROSA PAVANELLI, FRANCA PERONI, CARLO PODDA, SIMONETTA PONZI, NADIA PRESI, FRANCESCA RE DAVID, GIANNI RINALDINI, NICOLETTA ROCCHI, MAURIZIO SCARPA, LAURA SPEZIA, CLAUDIO STACCHINI, IOLE VACCARGIU…