Vista dall’esterno, la Cosa rossa assomiglia a una maionese impazzita. I promotori annunciano gli stati generali per l’8 e il 9 dicembre per presentare il simbolo e la carta d’intentità del partito che verrà, ma, ad oggi, la data non è certissima: i verdi dovrebbero andare a Bali per l’anniversario del protocollo di Kyoto (sarà un caso?), ma più in là ci sono le festività natalizie. Questioni organizzative, dicono. E neanche sul simbolo c’è un grande accordo. In linea di massima il nome scelto è «La sinistra» e nel logo ci sarà un richiamo all’arcobaleno. Ma soprattutto non sono previsti falce e martello: «Sarà un simbolo nuovo, non un patchwork di quelli esistenti», affermano gli spin doctors della Cosa rossa. Ma neanche su questo sono tutti d’accordo. Le opposizioni di Rifondazione insorgono e annunciano battaglia in vista del congresso, il Pdci lavora contro, anche se non apertamente, i verdi hanno qualche mal di pancia. E Bertinotti prepara la sua Bolognina. Ma andiamo con ordine.
Innanzi tutto ci sono gli stati generali che daranno il via a un percorso che in via del Policlinico definiscono – neanche a dirlo – «aperto, plurale, partecipato»: una due giorni di discussioni, dibattiti, sessioni tematiche («sul modello social forum», annunciano gli organizzatori) per rilanciare in grande stile la Cosa rossa. Tra i momenti clou l’approvazione di una carta di intenti cui farà seguito «una campagna d’ascolto» tra iscritti e militanti. Sull’appuntamento sono a lavoro le delegazioni dei quattro partiti. Ma sui nodi di fondo le differenze non sono poche. Per Giordano, che vorrebbe (in prospettiva) un partito vero e proprio, inizia lì una fase costituente vera e propria. Il capogruppo del Pdci Pino Sgobio, che sì e no vuole una federazione, frena: «Gli stati generali sono un momento di dibattito ma il futuro di una cosa seria non si decide in una assemblea. E nel simbolo falce e martello dovrebbero esserci». Il Pdci non può non partecipare a questa fase, ma sul simbolo giocherà fino alla fine per mantenere aperta una via d’uscita e sganciarsi dal progetto dicendo «i veri comunisti siamo noi». Ma il verde Paolo Cento avverte: «Sulla cosa arcobaleno ci stiamo ma se non è questa la direzione non resteremo con le spalle al muro».
Il simbolo: la sensazione è che sia diventato la cartina di tornasole di uno scontro politico tra chi la Cosa rossa la vuole e chi no. Il gruppo dirigente di Rifondazione, soprattutto i bertinottiani, sembrano aver messo in conto una forzatura sul modello Occhetto alla Bolognina, cercando lo strappo prima del congresso e accelerando, appunto, su nome e simbolo. Con l’attuale bozza elettorale in campo, dicono, ci sono le condizioni per accelerare. Obiettivo: andare oltre senza perdere consensi. Il vassallum infatti prevede una soglia di sbarramento media del 5-6% per ogni circoscrizione: l’elettorato rosso è ben spalmato su scala nazionale (Sicilia esclusa). Quindi, con questa legge, Rifondazione dovrebbe mantenere più o meno i deputati attuali. E soprattutto la Cosa rossa nascerebbe a immagine e somiglianza dell’unico partito che può andare da solo. Al contrario i piccoli da soli non possono andare. Non solo, ma pure le scissioni sono fortemente a rischio. Il sottosegretario all’Economia Alfonso Gianni chiarisce: «Con la questione del simbolo si capisce la disponibilità di chi vuole una vera fusione e chi un assemblaggio dell’esistente. Una federazione tra partiti non basta. È chiaro che c’è il rischio di perdere pezzi, ma quelli che perdiamo sono inferiori a quelli che guadagniamo nella società». I bertinottiani forzeranno anche domenica in occasione della riunione della maggioranza del Prc. Per loro il documento congressuale deve essere il più oltrista possibile, anche perché, dicono, chi solleva l’obiezione «così ci vogliono far fare un’alleanza coatta» in verità cerca alibi per far saltare il tavolo. Tanto vale dunque verificare chi ci sta. Ma all’interno della maggioranza Claudio Grassi mette i paletti: «Sono contrario allo scioglimento ma anche alle liste uniche. Vedremo il documento della maggioranza. Il soggetto unitario e plurale va bene ma alle elezioni ognuno deve andare col proprio nome e col proprio simbolo». Dentro Rifondazione la partita identitaria assumere toni anche tesi: la minoranza dell’Ernesto annuncia battaglia. Fosco Giannini la mette giù dura: «La rinuncia al simbolo si è sempre rivelata un cavallo di Troia per la mutazione profonda della cultura comunista. E grave che scelte così grandi come la cancellazione sia del simbolo e dell’autonomia del Prc nella Cosa rossa si ratifichino senza la minima consultazione dei militanti». Che nel Prc ci sia un disagio crescente lo testimonia anche un’iniziativa di alcuni bertinottiani della Toscana che in nome della «opposizione alla deriva governista» e della «autonomia del partito» hanno raccolto un migliaio di firme al loro appello e si sono autoconvocati per il 25. Presente anche Mantovani, che fa ancora parte della maggioranza: «Quello che vedo su Liberazione sembra il Pd ma è meno democratico. Lì almeno si sono fatti i congressi».