Il Signore è il Dio che stronca le guerre

Ci vorrebbe più voce e più voci per gridare la rabbia di fronte all’escalation della guerra in Medio Oriente. Ci vorrebbe una società civile forte, tantissimi cittadini, sindacati, movimenti laici e cattolici, istituzioni e partiti che, mettendo da parte le differenze, si uniscano per dare più forza al grido di dolore che sale dal Medio Oriente, per l’assurda guerra che si sta combattendo, e per chiedere, pretendere, che ci si adoperi con tutte le forze per la pace.
Qualcuno dovrebbe denunciare l’ipocrisia politica che è fin troppo evidente nella gestione del conflitto tra Israele, Palestina e Stati vicini: come se a “qualcuno” convenga che in quella sfortunata regione del mondo ci sia un focolaio di guerra sempre attivo, pronto ad alimentarsi e divampare in ogni momento. A pensarci bene quel “qualcuno” in realtà sono molti, troppi: gli Stati Uniti, molti Stati arabi, le lobbies ebraiche e arabe, probabilmente anche l’Europa e le Nazioni Unite; ciascuno per propri interessi strategici, politici o militari.

Invece è indispensabile intervenire con chiarezza subito, in un momento come questo nel quale le diplomazie sembrano incapaci di proporre una via di uscita alla drammatica situazione creatasi tra Israele e Libano, con sullo sfondo la tragica situazione palestinese; è indispensabile che ci siano momenti di riflessione e di “interposizione” politica, come in questi giorni già alcuni stanno facendo: «Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace». (Lettera di Giacomo 3,18).

E’ indispensabile fare tutto questo pur essendo, comunque, irrimediabilmente troppo tardi! Qualunque risultato si riuscirà ad ottenere, lo si otterrà sulla pelle e sul sangue di troppi morti e feriti israeliani, libanesi e palestinesi.

I politici sempre pronti a giustificare i conflitti e i loro falsi esperti di geopolitica ci diranno ancora tante parole su questa guerra, per giustificarla o comprenderla o darne una lettura strategica o storica; per quanto mi riguarda è squallido non dire che uccidere è una spaventosa aberrazione, sempre! Sia quando si uccidevano gli infedeli dell’uno o dell’altro schieramento per conquistare Gerusalemme, sia quando si mandavano al rogo gli eretici per difendere la presunta Verità contro l’eresia, sia quando si crede che “Dio-è-con-noi” se facciamo pulizia etnica. L’umanità ha bisogno di tante cose, sicuramente non abbiamo più bisogno di martiri e di carneficine.

E’ squallido pensare che si uccide per la propria sicurezza o per pretendere il riconoscimento del proprio Stato: «Un eunuco che vuol deflorare una ragazza, così è chi vuol rendere giustizia con la violenza», ammonisce il Libro del Siracide (20, 4).

Non serve strumentalizzare o ideologizzare la guerra, come fa in Italia sia chi vuole difendere esclusivamente i palestinesi sia chi vuole difendere esclusivamente gli israeliani; non serve paragonare quello che sta succedendo in Terra Santa all’olocausto nazista, né dall’una né dall’altra parte: serve invece dire con forza che le vittime sono tutte uguali, non hanno colore.
Noi cristiani dovremmo riproporre e ripartire dal Dio di Abramo, “il Dio che stronca le guerre”, comune anche a ebrei e arabi, come “arbitro” in questa contesa assurda nella quale tutti hanno già perso: «Egli sarà arbitro fra i popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra” (Isaia 2, 4). Ma noi cristiani ad ebrei e musulmani che applicano alla lettera il mosaico, biblico e coranico, “occhio per occhio, dente per dente” come vendetta e ritorsione contro chi fa loro del male, nel rispetto per le altre fedi, dovremmo saper proporre e testimoniare la grandezza e l’indispensabilità del perdono cristiano, allora «nel deserto prenderà dimora il diritto, e la giustizia regnerà nel giardino. Effetto della giustizia sarà la pace, frutto del diritto una perenne sicurezza» (Isaia 32, 16-17). Ma anche se volessimo prendere in considerazione la “legge del taglione” non possiamo fare a meno di considerare che fu una conquista di civiltà contro la barbarie di chi per uno schiaffo era autorizzato ad uccidere: con la legge “del taglione” era permesso rispondere alle offese dell’altro o colpirlo in proporzione a quanto ti aveva fatto.

Ci sarebbe da riflettere su quanto siano tornati alla barbarie in Medio Oriente, vista la sproporzione delle reazioni dall’una e dall’altra parte: altro che “occhio per occhio”! Ai rapimenti si risponde con bombardamenti a tappeto, agli arresti con i kamikaze, ai quasi inoffensivi razzi katiuscia con i missili di precisione.

Una domanda me la sono sempre posta: come mai ai palestinesi nessuno fornisce armi più potenti e precise, in un mondo dove circola di tutto e in una regione dove armi distruttive certo non mancano? Non che me lo auguri, ma la domanda resta. Forse a “qualcuno” interessa che il conflitto si mantenga, per così dire, a “bassa intensità”!

Spero di non offendere nessuno se noto che la “legge del taglione” è tuttora “adottata” da ogni mafia e da ogni terrorismo e, purtroppo, da un po’ di anni, è stata introdotta ufficialmente, a partire dagli Stati Uniti, anche negli Stati sovrani occidentali che mettono in campo “ritorsioni” contro altri Stati sovrani, considerati canaglia o accusati di dare copertura a presunti terroristi, non si sa in base a quali prove; ritorsioni che, il più delle volte servono esclusivamente a gestire e risolvere problemi di politica interna.

Il brano del Vangelo (Matteo 5, 38-41) che ha “completato” la “legge del taglione”, recita: «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due». Non si tratta di mostrarsi stupidi e arrendevoli nei confronti di chi ci fa del male, ma di spiazzarlo, reagendo dignitosamente e senza violenza. Per percuotere la guancia destra, bisogna colpire il volto di chi ci sta di fronte con un “manrovescio”, cioè con il dorso della propria mano destra; questo era il modo con cui il padrone colpiva lo schiavo, gesto vietato tra persone “libere”.

E’ come se Gesù dicesse: a chi ti tratta da schiavo tu, con dignità e a testa alta rispondi e dimostra di non essere schiavo ma libero; se proprio vuoi colpirmi, fallo da “libero” a “libero”. E lo stesso spiazzamento dell’avversario è nel secondo esempio. Gli ebrei erano nudi sotto la tunica, ed era vergognoso non tanto mostrare la propria nudità, quanto guardare quella degli altri, il pudore ti imponeva di voltarti o di coprirti gli occhi di fronte ad una persona nuda; Gesù dice: a chi ti vuol sottrarre il mantello tu dagli anche la tunica, costringendolo a guardare la tua nudità e a vergognarsi. Il terzo esempio è forse quello che più chiaramente esprime l’intenzione di Gesù: la chiave di lettura è tutta in quel “con lui”: se uno ti costringe a fare qualcosa di incomprensibile, tu fallo ad una condizione, che lui lo faccia con te. E’ un concentrato di saggezza e di dignità nonviolenta. Magari diventasse un modo di comportarsi e di rispondere alle offese!

Gesù era un ebreo e un mediorientale, formato e intriso di quella cultura e di quella tradizione religiosa comune a ebrei e musulmani; pertanto, sono convinto che ogni pio ebreo e ogni pio musulmano comprende bene che lo sbocco naturale dell’“occhio per occhio”, che come si è detto fu già un passo avanti dalla vendetta sproporzionata ad una misurata, è il “porgi l’altra guancia” cristiano: non come resa incondizionata e supina, ma come tentativo di rompere la spirale di violenza spiazzando l’avversario con la propria dignità, senza piegarsi a lui ma costringendolo a cambiare strategia e tattica.

Di fronte a quello che avviene in Medio Oriente, mi ritrovo con quanto diceva Simon Weil: «Sembra di trovarsi di fronte a un vicolo cieco da cui l’umanità potrebbe uscire solo per miracolo; ma la vita umana è fatta di miracoli». E in questo momento io credo, noi tutti dobbiamo credere, ai “miracoli”!