Il Sert del carcere di Rebibbia rischia il collasso

«Il nostro organico è carente per l’80 per cento: quaranta persone ma con poche ore di lavoro. E attendiamo da tempo il decreto di transizione della sanità carceraria alla sanità pubblica, per garantire uguali diritti ai cittadini detenuti».
La denuncia è di Sandro Libianchi, responsabile del Ser. T del carcere di Rebibbia, intervenuto ieri alla presentazione della seconda indagine conoscitiva sulla condizione strutturale e gestionale dei Ser. T. della città. «Sert a mente tre anni dopo. Criticità dei Sert a Roma» è il titolo della ricerca, illustrata questa mattina presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio.

Frequentato da 1.600 detenuti all’anno, uomini e donne (gli stranieri, stabili, sono circa il 25 per cento), il Sert del penitenziario romano rischia il collasso. «Facciamo un appello al ministro della Giustizia, perché sblocchi i fondi della tossicodipendenza», ha aggiunto Libianchi a margine del convegno, sottolineando che il livello medio di chi assume sostanze si sta elevando: «Arrivano in carcere anche professionisti, trovati con un sacchetto di cocaina in tasca».

E sono molti i recidivi, con alle spalle oltre 10 carcerazioni nell’arco di 5 anni. Carenti le misure alternative, le proposte di inserimenti in centri diurni o in posti lavorativi. «Con questa carenza di personale non possiamo andare avanti – ha osservato Libianchi, aggiungendo: -Aumentano gli errori possibili se si fanno le cose in fretta e sotto pressione. Ci sono rischi diagnostici nella terapia sia metadonica sia con farmaci».

I pazienti che arrivano al Sert sono nella maggioranza poliassuntori, che associano l’uso di eroina o cocaina a quello di fumo e alcol. «Nelle condizioni in cui ci troviamo – ha concluso il responsabile del Sert di Rebibbia – possiamo garantire solo un primo soccorso, ma non riusciamo ad elaborare programmi terapeutici personalizzati. E ci vorrebbe un maggiore coordinamento tra i vari interventi effettuati in carcere».

Ma non tutti i tossicodipendenti arrivano in carcere o nei Sert: c’è un mondo sommerso, quello dei poliassuntori del fine-settimana. Lo fa notare Germana Cesarano, presidente della cooperativa Magliana 80: «Con le nostre unità di strada intercettiamo migliaia di giovani e di meno giovani che ci chiedono un sostegno ma non si sentono tossicodipendenti perché si impasticcano e fanno uso di cocaina e alcool solo nel week-end. Li incontriamo presso le discoteche o i rave, ma non esistono stime su questa popolazione che non avverte la propria dipendenza».

Secondo una ricerca diffusa qualche tempo fa sono 16.179 i consumatori di sostanze illegali presenti in carcere al 30 giugno 2005 il 27,6 per cento uomini (15.511) e il 23,4 per cento donne (668). In trattamento metadonico 1.974 soggetti e alcoldipendenti 1.386. I detenuti stranieri tossicodipendenti sono 3016 (81 le donne).

Alla data della rilevazione 6792 persone con problemi di alcol e droga usufruiscono della detenzione domiciliare prevista dall’Art. 47ter della legge 354/75. Su un totale di 1525 detenuti affetti da Hiv (pari al 2,6 per cento dei detenuti presenti) 1260 sono tossicodipendenti, di questi la maggior parte, è ristretta negli istituti di Lombardia (250 soggetti con Hiv) Lazio (222) e Piemonte (218).

Sul totale dei detenuti affetti da Aids risultano affetti da malattie indicative di Aids l’11,5 per cento; sintomatici il 22,2 e asintomatici il 66,4. C’è da sottolineare che il numero può risultare sottostimato poiché il test per l’Hiv è volontario.