Se la minaccia del presidente americano Bush di mettere il veto sulla data di ritiro delle truppe era una sfida, ebbene il senato americano l’ha raccolta e rilanciata con pari intensità. Con un voto largamente partigiano e una maggioranza risicata ma significativa, i senatori degli Stati uniti hanno votato 51 a 47 la legge che finanzia le campagne militari americane secondo le richieste del presidente, ma impone una data di scadenza per il ritiro dei marines da Baghdad. Da ieri la Casa bianca e il parlamento sono ufficialmente in rotta di collisione.
Il pacchetto approvato ieri dal senato prevede che gli Stati uniti spendano 122 miliardi di dollari in una serie di provvedimenti militari in cui le guerre in Iraq e in Afghanistan fanno naturalmente la parte del leone, e il ritiro delle truppe entro marzo del 2008. Un analogo provvedimento approvato alla camera parla di settembre del 2008: le due leggi andranno armonizzate prima di sottoporle alla firma del presidente e al suo «inevitabile» veto. Sono addirittura più soldi di quanti ne avesse effettivamente chiesti Bush al momento di lanciare la sfida al parlamento e chiedere il rifinanziamento delle guerre da qui all’eternità. E il motivo di questa abbondanza di dollari c’è. Nello slang politico di Washington di chiama pork barrell, il barilotto della carne di maiale. Si tratta di provvedimenti economici che dovrebbero essere in qualche modo collegati alla guerra, ma che in realtà sono stati infilati su richiesta di questo o quel senatore in cambio del suo voto favorevole, un po’ come accade per la finanziaria italiana intorno alla mezzanotte dell’ultimo giorno utile per il voto.
Nel feroce pacchetto bellico approvato dal senato, quindi, si trovano anche gustose curiosità come 24 milioni di dollari di finanziamenti ai coltivatori di barbabietola da zucchero (evidente traccia di un senatore della sugar belt americana, gli stati zuccherieri del sud), 12 milioni di dollari per servizi forestali (un altro senatore il cui collegio è evidentemente tappezzato di boschi), 3,5 milioni di dollari per «visite guidate del Campidoglio», 2 milioni di dollari per un programma di eccellenza universitaria nel Vermont, 22,8 milioni di dollari per finanziare ricerche geotermiche eccetera.
La crescente opposizione alla campagna d’Iraq e un po’ di pork hanno quindi determinato l’approvazione della legge che finanzia la guerra e le impone una data di scadenza, e il fuoco di fila tra Casa bianca e Congresso è cominciato. Se portato alle estreme conseguenze – difficile prevedere se accadrà: negli ultimi anni, spesso è bastato pronunciare le parole «sicurezza nazionale» per far liquefare qualsiasi opposizione parlamentare ai piani bellici dell’amministrazione Bush – il conflitto vedrà un vincitore e un vinto. Ed è il presidente, non il Congresso che dallo scorso gennaio è controllato dai democratici, ad avere in questo momento le carte peggiori.
Il voto al senato è arrivato proprio mentre Bush stava arringando uno scelto manipolo di parlamentari repubblicani, invitandoli a opporsi con ogni mezzo all’inserimento di date di ritiro nelle leggi finanziarie. Il presidente non si è fatto sfuggire l’occasione e, circondato da un pugno di fedelissimi, si è offerto alle telecamere: «Siamo compatti nell’affermare con forza – ha detto – che quando le nostre truppe sono impegnate in combattimento devono ricevere tutti i fondi necessari. Abbiamo i nostri comandanti militari impegnati sul campo in difficili decisioni, e non devono avere le mani legate». «Io non so se ci sia mai stato – ha replicato il presidente del senato Harry Reid, un democratico del Nevada – se ci sia mai stato un presidente che abbia così gravemente danneggiato le nostre truppe». Somiglia a quel letale gioco reso celebre da Hollywood in cui due giovani guidano la propria automobile verso un precipizio, e vince chi salta giù dall’auto per ultimo. In Gioventù bruciata finisce malissimo.
Se Congresso o Casa bianca non modificano le proprie posizioni, l’uno togliendo la data del ritiro o l’altra accettando tale data, la legge non passerà e i finanziamenti all’esercito in guerra verranno a mancare. «I soldi che ci sono bastano fino a metà di aprile», ha avvertito il Pentagono. Manca davvero poco. E se – evento poco probabile – l’armata resta al verde, sia Bush che il parlamento non vogliono portarne la colpa.