Il «segreto» di Gubbio, dove vince il sindaco di Rifondazione

Ma che c’è dentro quel piccolo capolavoro di Gubbio? Che si tratti di un “capolavoro”, nessun dubbio. Nel tardo pomeriggio dell’altro giorno, un vigile urbano ha portato nello stupendo palazzo del Comune le schede di tutti e 37 i seggi. Dati che più o meno conoscevano già tutti a Gubbio, ma da quel momento – dalle 17 – hanno ottenuto il timbro dell’ufficialità. Orfeo Goracci, sindaco uscente, dirigente di Rifondazione è stato confermato col 61% dei voti. Dietro di lui, distanziato, lontano 4mila voti e 20 punti percentuali, l’altro candidato. Sostenuto da ds e Margherita. Insomma, un «capolavoro». Sul piccolo, magari si può discutere. Gubbio ha 31mila abitanti e a votare ci va da sempre qualche punto percentuale in più rispetto alla media nazionale. Come è stato anche stavolta. Trentunomila abitanti fanno comunque una piccola città, un medio centro. Ma non per l’Umbria, che non sa proprio cosa sia la dimensione metropolitana.
In ogni caso ha vinto, stravinto. Come ha fatto? E soprattutto chi è il vincitore? Domande difficili. Anche perché se si chiede un consiglio a chi ne sa di più – può essere il segretario regionale del Prc, Stefano Vinti, o può essere un dirigente dei diesse – ottieni la stessa frase. Vaga e un po’ inquietante. «Come si fa a spiegare Gubbio? Se uno non la conosce, non c’è verso…».

Gran parte del «segreto» allora è lì, in quella splendida città medioevale. «Un centro molto strutturato socialmente, culturalmente, politicamente», suggerisce l’esperto. Avverbi che vanno spiegati, con due parole in più (ammesso che sia possibile per un «non eugubino»). Significa che Gubbio ha da sempre un fortissimo insediamento politico della sinistra. Qui il Pci, viaggiava sul 60%, che si era costruito sulle lotte contadine (negli anni ’50, il 90% degli iscritti era mezzadro) e, prima ancora, sulla resistenza. Appena fuori città, c’è il mausoleo che ricorda l’eccidio dei tedeschi, nel giugno del 44, in queste terre che loro consideravano ostili. Una città strutturata culturalmente. Che ha un’identità forte, fortissima. Quasi incomprensibile per chi viene da fuori. Fatta di rispetto delle tradizioni (la millenaria corsa dei Ceri vive di una partecipazione al confronto della quale sbiadisce quella di Siena per il Palio) ma anche di apertura. A tutto. Alle altre culture, agli altri stili di vita. E poi, c’è una forte strutturazione economica. Dove c’è una bassa preoccupazione per il futuro, perché lavoro ce n’è ancora. E qui, la fonte principale di reddito non è, come si potrebbe pensare, il turismo ma il cemento. Gubbio, insomma, è il primo produttore italiano, da solo fa l’8% del cemento nostrano. Con due aziende soprattutto. Una è di Carlo Colaiacono. Che è tutto, o quasi. Dirigente della Confindustria, editore, proprietario di radio, tv. In rapporto è molto più di quanto Berlusconi sia per l’Italia. Un imprenditore che ha sempre concepito il suo rapporto con la politica, esattamente come se fosse un consiglio di amministrazione. Decidendo cosa fare, chi spostare, chi promuovere. Ma il cementiere s’è trovato sulla sua strada, lui. Il sindaco. Orfeo Goracci, 47 anni, sposato, una bimba di cinque. E’ stato esponente del Pci, poi deputato di Rifondazione (lui dice per caso: nel 92 era il secondo in lista e Luciana Castellina, eletta, optò per Strasburgo) prima di scegliere l’amministrazione. «Vengo da una scuola antica – dice – Non ha molto senso discutere cosa sia importante preservare di quella scuola. Una cosa però è certa: quella cultura mi ha insegnato che l’autonomia delle istituzioni è un valore. Assoluto».

Non è sempre stato così. E forse vale la pena cominciare a dirlo: non era stato così neanche negli anni gloriosi delle amministrazioni del Pci. Quando il sistema delle imprese incideva molto sul «governo» locale. Orfeo Goracci ha invece sempre rivendicato «autonomia». E ha vinto. Una prima volta 5 anni fa, una seconda l’altro ieri. In entrambe le occasioni, dall’altra parte s’è trovato i diesse. O meglio, i vertici dei diesse. Sì, perché stavolta, a sostenerlo c’era anche la lista «Uniti a sinistra», che ha preso il 15%, composta quasi esclusivamente da dirigenti della Quercia. Molti ancora con la tessera in tasca. Ma possibile che a Gubbio fosse così difficile trovare un’intesa? Chi sa, racconta che c’erano dissensi sul programma ma c’era soprattutto un «veto» sul nome del sindaco. Nell’Umbria, terra di riformismo, bisognava bloccare, insomma, l’esperimento guidato da Rifondazione. E così si è andati al voto separati. Al ballottaggio sono andati in due: lui, Orfeo, contro un vecchio sindaco (al quale Goracci aveva fatto da vice), Paolo Barboni. E così l’Ulivo, che alle politiche aveva preso il 42% è sceso al 23. Ed il primo partito della città è diventato il Prc, col 27.

C’è chi dice, comunque, che molto del successo del primo cittadino dipenda dal suo carattere autoritaro. Che magari piace agli elettori ma fa male alla politica. Parlandoci non è proprio questa la sensazione, ma l’accusa gira (o è fatta girare). E lui come si giustifica? «Ti potrei ripondere con un dato: gli uffici del sindaco sono aperti tutti i sabato e non c’è bisogno di appuntamento. E in 5 anni ci sono passati 1200 eugubini». Ma un colloquio non fa partecipazione, qualcuno potrebbe obiettare. «E, infatti, abbiamo anche creato una sorta di comitati di quartiere. Dove si discute, si fa politica». E qual è allora la ragione del tuo successo? «Innanzitutto parlerei di nostro successo. E poi, che vuoi che dica? Un modo di governare che è giudicato positivamente e poi un modo di mettersi in sintonìa con la tua gente che non ha nulla a che fare col populismo. Vuol dire provare a “stare dentro” la comunità, viverne i problemi ma anche le passioni». Non lui ma altri raccontano il suo modo di essere “dentro” la comunità. Come quando, pochi anni fa, scrisse al Papa chiedendo che non venisse cancellata la diocesi, che c’è dal 416. E l’ha fatto lui, che non ha mai nascosto la sua identità. «Io credo che radicalità e governo possano andare bene insieme – aggiunge – Vedi, mi capita spesso di incontrare rappresentanti delle imprese. Anni fa, li contestavo quando vestivo con l’eskimo. Ora ci tratto. Ma si può fare, se non perdi di vista il progetto, l’interesse della gente». Eccolo qui, allora, il sindaco che ha vinto. Credi che nel successo di Gubbio ci sia anche una lezione valida per altri? «Siamo piccoli, lo so. Ma la nostra esperienza ci racconta che chi mette assieme unità e alternativa, alla fine vince. E ti dico che un progetto come quello del partito democratico, apre per le forze di sinistra, spazi grandi». Da occupare con la politica.