Il segretario dell’Onu di un tempo

Era stato chiamato per mettere ordine nell’intendenza, ma Kofi Annan lascia le Nazioni unite senza avere portato a termine la riforma attesa. L’egiziano Boutros Boutros Ghali non ebbe la chance del secondo mandato perché gli Stati uniti, anche nell’era Clinton, non gradivano le ambizioni di quell’intellettuale chiuso in se stesso, a cavallo fra diritto e politica oltre che fra Oriente e Occidente. Molto meglio un funzionario integrato nella macchina. E così è stato. Kofi Annan è il primo segretario generale a essere stato scelto fra il personale del Palazzo di Vetro. Senonché le funzioni hanno creato un ruolo anche per il segretario generale venuto dal Ghana.
Kofi Annan non poteva esimersi del tutto di fronte allo sconquasso che in questi dieci anni ha dato più volte l’impressione di costringere l’Onu al bivio più angoscioso: o cercare di imporsi come autorità suprema, a costo di perire nella sfida con il più forte, o scomparire per consunzione e acclarata inutilità. E’ fin troppo facile rinfacciare a Kofi Annan il deficit di personalità, il basso profilo, gli scandali che non hanno risparmiato la sua stessa famiglia. Obiettivamente, il colpo d’ala che poteva cambiare la scena, prima ancora che nei suoi titoli, non era nei mezzi delle Nazioni unite.
Il segretario generale dell’Onu ha vissuto in prima persona lo scontro risolutivo per l’egemonia mentre si succedevano cambiamenti epocali. La fine o il declino degli stati quando gli stati, nel bene o nel male, sono i membri dell’Onu. La rivalutazione della guerra, e neppure la guerra di difesa o di offesa, ma la «guerra totale», contraddicendo alle radici l’impegno conciliativo e compensativo che è proprio di una Carta che raccoglie e fa proprio il grido «mai più guerra». La Carta è figlia del bipolarismo e in qualche modo lo sopportò sullo sfondo di un universalismo che rappresentava il modulo occidentalista riconoscendo solo la variante socialista come eresia della stessa esperienza e come possibile rimedio redistributivo del potere e delle ricchezze. Ma adesso non c’erano più da una parte le superpotenze e dall’altra il mare magnum dei paesi coloniali o ex-coloniali in cerca di un riparo che solo l’Onu può offrire loro.
Senza scappatoie
Il bipolarismo etnico-culturale che ha incominciato a profilarsi negli anni Novanta, fra fondamentalismi contrapposti senza ancoraggi istituzionali ben definiti, e non fra blocchi con i loro leaders abituati a parlarsi eventualmente tramite l’Onu, era completamente fuori tema. D’altra parte, da quando la «globalizzazione» ha investito tutti gli interstizi del vivere comune, Kofi Annan non disponeva neppure della scappatoia, come accaduto in passato, di rifugiarsi nei problemi dello sviluppo o dei comportamenti sociali (le donne, il clima, l’ambiente, la demografia) perché essi costituiscono più che mai, in un contesto di disparità e frustrazioni non più mediate e in ultima analisi corrette dal bipolarismo, l’asse portante del sistema: e ogni normativa (si pensi a Kyoto o alla Corte penale internazionale) è accolta con fastidio.
I suoi predecessori avevano dovuto convivere con la guerra fredda, che aveva provocato strappi e ingiustizie macroscopiche, come dimostrano bene i fatti di Ungheria e di Suez del 1956, di cui in questi giorni si celebra il cinquantesimo anniversario, sia pure con una consapevolezza e una partecipazione emotiva completamente diversa. Nessuno però prima di Kofi Annan si era trovato a fare i conti con una frattura di queste proporzioni. Per le rivalità fra le potenze, la Carta dell’Onu prevede una disciplina, con le apposite procedure, collaudate, anche se sono state più spesso violate che osservate. Il diritto, si sa, è il dover essere, non l’essere. Ma per la guerra di civiltà?
Erodendo l’Onu, lettera e spirito, e tutta l’opera complessa e faticosa del diritto internazionale culminata nella Carta di San Francisco passando per le conferenze di guerra fra Roosevelt, Churchill e Stalin, il «nuovo ordine mondiale» del dopo-guerra fredda ha inaugurato un sistema inedito, un unipolarismo imperfetto, intimamente instabile, prevaricatore, percorso dall’uso sistematico della violenza in una spirale senza sbocco.
Si ritorna al 1648, e oltre
Riportando d’attualità la guerra, si torna a ritroso agli assetti fissati nella pace di Westfalia del lontano 1648, ma la stessa Westfalia è negata nel merito della sovranità degli stati. L’ordine attuale, infatti, è alla mercé della sola superpotenze rimasta, e tutt’al più dei suoi alleati più stretti o più docili, purché disposti a rinunciare sia agli interessi che ai principi. Gli stati illiberali, in transizione fra Est e Ovest o fra Nord e Sud, tormentati da crisi di crescita o di adattamento reali e gravissime, formano una specie di lumpen dell’arena internazionale senza diritti e senza rappresentanza. Quanto al terrorismo diffuso, esso per definizione non ha nessuna titolarità ed è impensabile una sua ammissione nelle aule deputate.
I membri dell’Onu in teoria sono tutti uguali. Anche nel voto sono pari: un voto a testa, per restare fedeli al principio democratico, malgrado la sproporzione delle forze. Solo i cinque Grandi hanno a disposizione un voto pesante per sancire la responsabilità maggiore dei vincitori della guerra da cui l’Onu discende. Nel frattempo, però, c’è stata un’altra guerra con altri vinti e altri vincitori. Si può capire perché gli Stati uniti si permettono di porsi fuori o sopra la legge dell’Onu. Ma l’Onu non sopravviverebbe, e non sopravvive, se trasformasse un sopruso in un diritto. La guerra contrabbandata per pace in Afghanistan, Iraq e altrove, le discriminazioni a senso unico su temi cruciali come la proliferazione, i diritti umani o il diritto alla resistenza, hanno sovvertito ogni parvenza di multipolarismo e multilateralismo e quindi la ragion d’essere dell’Onu. Tutte le volte che Kofi ha cercato di levare la sua voce per ricordare le prerogative dell’ordinamento universale rispetto all’arbitrio dei singoli ha corso il rischio di una delegittimazione fatale.
Fra arrendevolezza e arretramenti, Kofi Annan si è di fatto limitato a giocare la sua parte di segretario generale. Anche questo è bastato a farlo apparire un ostacolo. Con l’offensiva contro Saddam ha dovuto subire la guerra unilaterale ma ha pur detto e ridetto senza mezzi termini che era illecita e illegale. Non è colpa sua se i governi di mezzo mondo, per convenienza o per viltà, si sono aggrappati a qualche confusa risoluzione del Consiglio di sicurezza per giustificarsi con quella pseudo-copertura dell’Onu. Nei consessi plenari sulla Strategia del Millennio nel 2000 e poi nel 2005, l’ultima occasione forse per negoziare la globalizzazione, Kofi Annan non ha nascosto le conseguenze catastrofiche di un mancato adempimento degli standard richiesti alle potenze sviluppate per misurarsi con il divario fra ricchi e poveri. Poco più di moniti, sporadici e sterili, eppure ben al di là del grado di sopportazione di chi vorrebbe disfarsi degli ultimi «fardelli» del Novecento, cooperazione internazionale compresa. Recandosi di persona al recente vertice dei non-allineati a Cuba, ospitato da un Fidel Castro contestato anche nella sua ultima versione di leader vecchio e malato, Kofi Annan ha voluto accomiatarsi dalla sua base. L’epilogo è stato molto simile ad un melanconico tramonto.